Aprendosi a Matteo Sorio sul “Corriere di Verona”, il centro Taylor Smith ha raccontato la sua prima esperienza da “Underdog” per essere un lungo che non arriva ai 2 metri di altezza: “Avevo 13 anni e giocavamo contro la squadra di DeMarcus Cousins, futuro Nba All Star. Lui era già gigante e fortissimo. Sentivo i commenti a bordo campo: "Adesso quello lo ammazza". Vincemmo noi e da allora so che conta il cuore, non la taglia. All'inizio ero guardia. Adoravo toccare sempre palla. Poi un'estate sono cresciuto quasi mezzo metro e ho dovuto traslocare in area…”
Smith ha anche scelto il suo quintetto all-time: “Parto da Arvidas Sabonis, che era Jokic prima di Jokic. E anche Kyle Hines ha cambiato il gioco. Poi Vlade Divac e David Robinson, visto che vengo da San Antonio e tifo Spurs. Tra gli esterni amavo Gary Payton, faceva sembrare di vertente il difendere e ciò incuteva timore”.
A spingere per il suo arrivo in Serie A in estate è stato l’amico e compagno Karvel Anderson: “Ai tempi di Ravenna e Imola ci dicevano che non saremmo mai arrivati in A. Lui è uno che quando si accende è finita. In certe gare diventa improvvisamente serio, gli vengono gli occhi a fessura e prende a segnare...”
Smith ha anche un bel rapporto con la tifoseria: “I tifosi ci sostengono sempre, quelli della curva li conosco per nome, a breve faremo una cena. Ho visto l'Hellas dal vivo, era la mia prima partita di calcio in Italia, pazzesco il volume del tifo. Verona è città di calcio e di basket: merita di stare in A”.