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5 domande a... Justin Robinson: "Noi vogliamo vincere subito, abbiamo grandi ambizioni. La città di Trapani mi ha accolto a braccia aperte"

Justin Robinson

Uno dei volti della Trapani Shark, il playmaker Justin Robinson, è il protagonista della rubrica di LBA "5 domande a...", in cui racconta del suo ambientamento nella città siciliana, del suo brand e di molto altro ancora.

 

Prima vittoria per la città di Trapani dopo 32 anni dall'ultima ottenuta in Serie A. Tu qui sei già considerato una sorta di eroe per via delle tue prestazioni, perciò ti chiediamo come ti senti ad essere parte di questo nuovo inizio per la città?

Sono onorato di far parte di questa società, amo il supporto che ci stanno dando la città e i tifosi. Siamo una squadra neopromossa, però non vogliamo essere il solito team che si accontenta di fare una stagione tranquilla; noi vogliamo vincere subito, per questo motivo il successo che abbiamo ottenuto nel weekend è stato molto importante, perché ci ha messo subito in carreggiata dopo la sconfitta contro Bologna.

Come descriveresti il tuo rapporto con i compagni e con coach Jasmin Repesa? C'è qualcosa di particolare che l'allenatore ti chiede di fare durante le partite?

Siamo un gruppo di giocatori esperti, sappiamo perfettamente quale sia il nostro obiettivo, perciò quando veniamo qui ad allenarci per noi è 'business time', non c'è tempo da perdere. Avere esperienza serve per non farci abbattere dalle sconfitte: infatti, prendiamo la situazione in mano, risaliamo sopra il carro e siamo motivati a ricominciare da zero per fare meglio la settimana successiva. In questo ci è di grande aiuto il coach, perché si fida tantissimo di tutti noi e mi ha mostrato grandissima empatia fin dal primo allenamento; quando sbaglio mi fa capire dove ho sbagliato e mi spiega come posso migliorare la volta successiva. Nella prima partita per esempio ho perso molti palloni, questo mi è servito per comprendere quali giocate fossero necessarie e quali devo evitare di forzare. Proprio perché coach Repesa si fida di ciò che posso fare sul parquet, mi chiede semplicemente di seguire il mio istinto e di leggere al meglio quello che sta “scrivendo” la partita, facendo però qualcosa per lui e per la squadra non per me stesso. Essere stati fin da subito sulla stessa lunghezza d'onda mi ha permesso di guadagnare tanta fiducia nella mia pallacanestro, potendo allo stesso tempo diventare la sua estensione in campo.

Hai avuto modo di visitare Trapani? Com'è stato il tuo primo giorno in città? Hai ricevuto un benvenuto caloroso dai tifosi e dagli abitanti?

È una piccola cittadina in cui si respira un clima familiare, perciò come dicevo mi ha dato l'idea di sentirmi a casa non appena sono arrivato. Sono entrato sotto la pelle degli abitanti esattamente come loro sono entrati sotto la mia; l'accoglienza calorosa e il fatto di essere riconosciuto per strada mi fa sentire il benvenuto. Per noi è fondamentale avere questo tipo di supporto, abbiamo subito voluto sentirci coinvolti, perché l'amore e la fiducia che la gente ci ha mostrato sono qualcosa da tenere stretto. Abbiamo giocato in trasferta a Treviso e i tifosi hanno fatto un viaggio lunghissimo per venirci a sostenere, per me questa è una cosa incredibile; allo stesso modo vedere quanta gente riempie il palazzetto nelle gare casalinghe è sia difficile sia eccitante, perché hai la responsabilità di non deludere chi paga il biglietto per vedere vincere la propria squadra. Mi hanno accolto a braccia aperte qui, perciò quello che posso fare è cercare sempre di dare il massimo e mostrare a mia volta l'affetto che provo per queste persone.

Quando eri bambino andavi con la tua famiglia a vedere i Washington Wizards, poi una volta cresciuto sei diventato tu stesso parte della squadra. Ci racconteresti com'è stato quello che sembra essere a tutti gli effetti un sogno diventato realtà?

Chiaramente quando si è bambini e si va a vedere la propria squadra al palazzetto, il sogno diventa direttamente quello di poter giocare in NBA. Esserci riuscito penso sia uno degli obiettivi più grandi che io abbia realizzato nella mia vita e un motivo d'orgoglio per la mia famiglia. Giocare a circa quarantacinque minuti da casa mia, nel posto in cui sono cresciuto, indossando la divisa della squadra che andavo a vedere quando ero piccolo, condividendo il parquet con stelle del calibro di John Wall e Bradley Beal da cui ho potuto imparare moltissimo, è stata una benedizione per la mia carriera. Tutto questo non mi fa sentire già arrivato, perché ho ancora tantissimo da imparare e il mio viaggio come giocatore professionista è lungo, però sapere di aver ripagato al meglio tutti i sacrifici e gli sforzi che la mia famiglia ha fatto per me, ecco questo mi fa sentire davvero bene. È una bellissima sensazione. Ogni volta che sono approdato in una squadra diversa ho sempre avuto una mano da giocatori più esperti: John Wall, Isaiah Thomas, Jrue Holiday, George Hill e tanti altri mi hanno aiutato lungo il corso della mia carriera; nonostante fossi sempre il più giovane all'interno del gruppo, con i loro insegnamenti sono riuscito a capire quanto si deve lavorare duro per rimanere a lungo a livelli così alti. Devo molto a tutti loro, perché sono potuto crescere sia fisicamente sia mentalmente proprio grazie a ciò che mi hanno insegnato.

Parliamo del tuo brand chiamato Production Over Hype. Da dove nasce l'idea e quando l'hai trasformata in qualcosa di reale?

Ho pensato molto alle parole di mio padre che mi diceva spesso di pensare a ciò che sarebbe venuto dopo il college e a ciò che sarebbe venuto dopo la mia carriera. Il nome si ricollega un po' a tutta l'attenzione che si genera nel momento del Draft: io nonostante avessi numeri migliori di altri prospetti non sono stato scelto, perciò ho dovuto lavorare più sodo per ritagliarmi uno spazio nella Lega; tuttavia, tu non devi guardare i numeri degli altri e devi sempre migliorare i tuoi, infatti non c'è miglior sensazione di quella di aver alzato la propria asticella. Quindi la produzione dev'essere maggiore dell'hype, questo seguire la mia strada e il mio flusso è servito per arrivare fin dove sono ora, nonostante io non sia più nella NBA. Diciamo che il brand si lega a filo diretto con ciò che sto facendo nella mia carriera: finché porto avanti lo slogan “Production Over Hype” come giocatore, così continuo a fare con il marchio.

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