Intervista

LBA Longform - I 30 anni di Michele Vitali: una esperienza dopo l'altra e nessuna comfort zone

Intervista alla guardia dell'Umana Reyer Venezia che domani festeggia il suo compleanno

LBA Longform - I 30 anni di Michele Vitali: una esperienza dopo l'altra e nessuna comfort zone

di Cesare Milanti

 

È il 30 maggio 2018 e il PalaLeonessa è vestito a festa. Non importa il risultato finale, viste le premesse: primi playoff agguantati nella storia della società, prima semifinale e confronto da outsider contro l’Olimpia Milano. Le ultime tre partite sono state un boccone amaro servito in una location dalla nouvelle cousine del nostro basket, e Brescia ha dimostrato di poter reggere palcoscenici del genere, tanto in campionato quanto in Coppa Italia: se Peppe Poeta e compagni hanno trionfato con Torino nelle F8, la compagine allenata da Andrea Diana ha concluso la sua seconda regular season consecutiva in Serie A con uno sbalorditivo terzo posto. Un bronzo che vale oro, visto che nel 2016/2017 arrivavano al grande ballo con l’abito della neopromossa. Il PalaLeonessa è vestito a festa, e ci sono due fratelli pronti a divertirsi per 40’. Luca e Michele, che un’avventura così l’hanno sempre sognata. Insieme:

“Condividere l’esperienza di Brescia con Luca è servito tantissimo. Intanto era un sogno reciproco quello di giocare insieme, però è stato bello perché non è stato cercato o forzato, bensì è capitato al momento giusto per tutti e due. Sono stati due anni incredibili, perché oltre a condividere con Luca il campo - e lì si parlava tra compagni di squadra -, chiaramente avevamo l’opportunità di recuperare tanti anni di lontananza. In più ho conosciuto persone bellissime, tanti giocatori che mi hanno aiutato a migliorare. Mi hanno dato la consapevolezza del tipo di giocatore che potevo essere: sono cresciuto tantissimo se penso a come sono arrivato a Brescia e quando poi ho lasciato per Andorra”. Luca e Michele, classe 1986 e 1991. Fratelli a tratti indistinguibili per l’ardore da sempre mostrato in campo, fin dai tempi della Virtus Bologna. Il primo cresciuto al fianco di Marco Belinelli e autore di un grande exploit in maglia Olimpia Milano, con tante soddisfazioni in Eurolega; il secondo arrivato in famiglia cinque anni più tardi del primogenito, e anch’esso legato ai bianconeri. In effetti, una parentesi condivisa l’avevano già vissuta, ma con ruoli diametralmente opposti: nel 2011/2012, agli ordini di Alessandro Finelli sotto le Torri, con Luca a condividere la cabina di regia con Poeta e Michele a raccogliere i suoi primissimi minuti in Serie A. Dei momenti, dal settore giovanile alla prima squadra, che il minore dei fratelli Vitali non toglierà mai dal cassetto dei ricordi:

“Chi mi ha accompagnato nel mio percorso di crescita alla Virtus ha rappresentato tanto, perché è grazie a loro se nelle giovanili ho imparato a navigare in questo ambiente. Per questo non posso che ringraziare Giordano Consolini, che tutt’ora ogni tanto sento. Ci sono stati anni veramente molto belli, perché eravamo un gruppo molto forte, con tanti giocatori che ora sono in Serie A. Penso che anche per la Virtus questo sia un grande risultato: penso a Moraschini, allo stesso Fontecchio che ora è a Baskonia, a Baldi Rossi e a tanti altri. Veramente un grande gruppo, con ricordi indelebili”. Gara 4 è ormai finita, il maxischermo dice 70-76. Gli oltre cinquemila bresciani che avevano colorato gli spalti del palazzetto tornano a casa, con un mezzo sorriso abbozzato sulle labbra. Una stagione insperata, ma che ha dato i suoi frutti con il duro lavoro partita dopo partita, consolidando un gruppo ricco di mine vaganti pronte a esplodere. Una di queste è Michele Vitali, alla prima grande consacrazione della sua carriera: uno dei più impiegati, con spirito di sacrificio su ambo i lati del campo e quei 12.6 punti a partita che nella fase finale della stagione diventano 13.7. Milano ha staccato il pass per la finale contro Trento, con i biancorossi che andranno dritti verso il proprio 28° Scudetto. Brescia si accontenta di una lotta fino all’ultimo possesso con la squadra di Simone Pianigiani, consapevole di aver dato tutto. Tempo di ricaricare le batterie e pensare alla prossima stagione, senza uno dei due Vitali. Michele ha bisogno di nuovi stimoli, nuovi palcoscenici. Emozioni inedite, dopo quelle ruggite al fianco della Leonessa. E quindi parte, senza voltarsi indietro. Parti, ora:

“L’esperienza ad Andorra è stata molto significativa, perché mi ha insegnato tanto. Ci sono stati momenti di difficoltà, perché chiaramente mi sono trovato passando da Brescia ad Andorra, nel campionato europeo più importante, con una tipologia di gioco completamente diversa e con squadre molto più profonde. Di conseguenza, magari, ti trovavi - senza particolari motivi, ma solo per esigenze di squadra - una partita con pochi minuti e tre giorni dopo giocarne 25. E semplicemente dovevi farti trovare pronto. Lì ho interiorizzato questo ulteriore step per un giocatore, ciò che richiede la partita. È stato veramente fondamentale per la mia crescita, e questo lo realizzi dopo, magari verso fine anno; sul momento cerchi solo di imparare e capire. Quando termina la stagione capisci che hai fatto un passo in avanti di maturità, crescendo e passando attraverso quelle difficoltà, uscendo dalla comfort zone che può essere casa tua, l’Italia, la tua lingua, i tuoi modi di fare, la tua famiglia. Ti metti completamente in gioco - almeno parlo personalmente -, in un contesto nuovo, in uno stile di vita diverso a cui ti devi adattare velocemente”. La leggenda del football americano Ray Lewis ha affermato una volta che “la tua comfort zone debba essere disturbata, prima di ottenere qualcosa di grande”. E allora perché fermarsi all’abitudine, alle certezze, a uno stato psicologico piatto? Vale sempre, figuriamoci nel corso della carriera di un cestista, o di un qualunque tipo di atleta. Michele Vitali l’ha capito, e a qualche settimana di distanza dal ritorno negli spogliatoi del PalaLeonessa a playoff conclusi, si è buttato in direzione Liga ACB, l’élite della pallacanestro continentale a livello nazionale. Nei Pirenei orientali, incastonati tra Francia e Spagna. Senza gli affetti di sempre, gli amici e la famiglia; senza le tue tradizioni, la tua quotidianità affinata nelle esperienze pregresse, sempre in Italia. Ma con tanto da ottenere, dentro e fuori dal campo. Anche (e soprattutto) quando pervengono ostacoli apparentemente insuperabili: “Mi ricordo che partimmo molto bene in campionato, vincemmo la Liga Catalana contro il Barcellona. Poi, però, abbiamo avuto un momento di difficoltà. Mi sembra che avessimo perso tra campionato ed Eurocup quattro o cinque partite di fila. Venendo dall’Italia c’è la percezione del “cambia tutto, viene stravolto tutto quanto”: c’è poco equilibrio nel credere in un progetto a lungo termine. Avevo il timore che tutto cambiasse, stravolgendo quello che avevamo costruito nelle settimane precedenti. Invece c’era grandissima serenità e la consapevolezza che si trattasse di un percorso che andava fatto step by step, in cui ci sarebbero stati dei momenti di difficoltà che però non avrebbero minato la programmazione che si era fatta in estate. La percezione che io avevo era di una grande serenità all’interno dello staff tecnico, nei compagni e nel continuare ad avere questo clima positivo credendo in quello che si faceva. Infatti, noi uscimmo da quel momento di difficoltà andando a vincere a Madrid contro il Real: non è stato un caso, perché c’era un credere in quello che facevi. Quella è stata una differenza rispetto a qui, in cui la si vede “tragica”, volendo subito il risultato”. Andando un po’ più nello specifico, Michele chiude la sua prima partita in casa del Real Madrid con 17 punti, 3 rimbalzi e 2 assist, oltre a una tripla glaciale negli ultimi istanti della partita. Colleziona esperienza europea, affrontando compagini affermate nel Vecchio Continente. Si confronta con colleghi del calibro di Sergio Llull, Jaycee Carroll, Kyle Kuric e compagni di squadra come Dylan Ennis e Andrew Albicy. Semplicemente, si misura con ambienti e atmosfere inedite.

Lo stesso avverrà nell’annata successiva, interrotta dall’emergenza pandemica, e nel 2020/2021: rispettivamente con Dinamo Sassari e Bamberg, ancora una volta tra l’Italia e l’estero, lo yin e lo yang di Mik Vitali. Ma guai a chiamarle coincidenze: “Chiaramente l’annata di Sassari è stata interrotta dal Covid-19, quindi si è trattata di una variante che per molti ha stravolto tanto. Io ho sempre cercato una situazione, una squadra che mi aiutasse a crescere e migliorare. La decisione di andare ad Andorra era legata alla volontà di mettermi in gioco nel campionato considerato il più forte d’Europa. Bamberg è stata una scelta analoga, perché avevo voglia di rimettermi in gioco in un altro campionato differente dopo sei mesi di stop. In Germania è stata una bellissima sorpresa, perché non avevo quasi mai giocato contro squadre tedesche; mi aspettavo un campionato prevalentemente fisico e magari un po’ meno tecnico, invece è stato molto divertente, perché avevi la possibilità di incrociare stili di basket differenti dovuti ad altrettanti tipi di allenatori. C’era l’italiano, l’olandese, lo spagnolo… ogni partita potevi potenzialmente confrontarti con uno stile di gioco differente. Si trattava di un basket molto preparato, tecnico. Secondo me l’aver alternato un’annata all’altra dall’Italia all’estero è dovuto a un insieme di cose; forse senza la pandemia sarebbe stato diverso. Adesso ho scelto Venezia perché continuo ad avere voglia di migliorare, ma allo stesso tempo voglio competere per vincere e stare al top. Ho sempre cercato la situazione giusta per me, per essere stimolato a continuare a migliorare e fare qualcosa di importante”. Dalla Baviera alla Laguna, però, c’è un volo che passa per il Giappone. Pit stop a Tokyo Inutile negarlo: chi non ha ancora negli occhi l’impresa dell’Italbasket nell’ultima estate tra Belgrado e Tokyo, probabilmente dovrebbe fare un salto da un oculista. Una cavalcata breve considerati gli standard della stagione cestistica, ma intensa dall’inizio alla fine: dall’amichevole cancellata a causa di qualche positività nel Venezuela al confronto con la Francia, che poi sarebbe arrivata a giocarsi la finale dei Giochi Olimpici contro gli Stati Uniti. Dalle difficoltà patite contro Porto Rico agli exploit in terra serba e nipponica. Una montagna russa di emozioni, a cui la guardia bolognese ha aggiunto un’ulteriore giornata speciale:

“È stata veramente un’estate folle, perché è stata talmente bella e piena di emozioni che ho ancora i brividi. Torni da Bamberg e quattro giorni dopo inizi con la Nazionale, e io avevo il matrimonio! È stata un’organizzazione sopra l’altra, cercando di incastrare tutto. Diciamo che il cammino per il Preolimpico è stato tortuoso, con l’amichevole cancellata contro il Venezuela: arriviamo lì senza un’amichevole ufficiale con la squadra del Preolimpico. Siamo lì con sfrontatezza e voglia di fare, ma ci troviamo a -15 nella prima partita contro Porto Rico. Ma uno degli aspetti più belli di quest’estate è che abbiamo avuto tanti momenti di difficoltà come squadra, riuscendo sempre a rialzarci: la prima partita, la finale contro la Serbia quando nel secondo quarto sono rientrati… senti il pubblico addosso vista l’importanza della sfida. In ogni momento di difficoltà avevamo quella voglia di sacrificarsi uno per l’altro: uno poteva prendere un rimbalzo, uno buttare dentro un canestro di talento, un tuffo su un pallone. Siamo sempre emersi da questi momenti critici, come poi accaduto alle Olimpiadi: non ci siamo fermati in quei tre giorni a Belgrado. Vinciamo il Preolimpico e c’era un’atmosfera pazzesca: dallo spogliatoio al pullman, siamo usciti dal palazzetto un’ora e mezza dopo perché abbiamo festeggiato come dei matti. E io la domenica mi sposavo! Mi sposo e il lunedì dopo riparto per Roma per iniziare ad allenarmi in vista di Tokyo; quindi, è stato un insieme di feste, combaciando anche la vittoria dell’Italia agli Europei di calcio. Poi è partito il viaggio che non mi dimenticherò mai: rimarrà per sempre impresso, era il sogno che avevo da bambino quando giocavo al campetto o quando guardavo l’Italia ad Atene nel 2004 e sognavi di poterci arrivare, prima o poi. Poi è stato tutto ancora più bello per come è arrivato, visto che in Serbia nessuno ti dava neanche lontanamente vincitore: “speriamo non prendano 30 punti”, dicevano. Invece, andiamo alle Olimpiadi e portiamo la stessa faccia sfrontata con un obiettivo comune che era talmente più grande delle ambizioni personali che non ce ne fregava niente del singolo. Quello che conta è vincere e anche la gente ha capito questa nostra voglia, questo amore che viviamo per la maglia azzurra e per provare a fare davvero qualcosa di importante. Ci siamo andati molto vicini, perché se Heurtel non mette quella bomba allo scadere… è chiaro che c’è rammarico per com’è andata, però capisci che hai fatto comunque qualcosa di veramente grande”. Un gruppo, quello guidato da Meo Sacchetti, in cui hanno detto la propria anche i vari Simone Fontecchio, Achille Polonara, Nicolò Melli e Marco Spissu. Nomi citati non casualmente, visto che – proprio come accaduto a Michele Vitali -, tutti condividono un’esperienza formativa nel resto d’Europa nel proprio curriculum, chi prima e chi dopo, in grado maggiore o minore. A tal proposito, il pensiero dell’attuale guardia tiratrice della Reyer Venezia è chiaro: “Consiglierei un’esperienza all’estero al 110%. Perché ti arricchisce tantissimo, ti apre la mente facendoti vedere situazioni, posti e stili di vita e gioco nuovi, rendendoti costretto ad adattartici. Ti permette di instaurare relazioni diverse rispetto alla sola possibilità di parlare italiano. Ti fornisce completamente una nuova visione sotto tanti aspetti, facendoti crescere sia come persona che come giocatore. Una cosa che però dev’essere fondamentale è l’avere un equilibrio mentale: ci saranno tanti momenti di difficoltà, come ci sono in Italia, però è chiaro che in quel caso è più semplice superarli, avendo la famiglia vicino e sentendoti a casa. Comprendi che magari sul momento fai meno fatica a capire determinate situazioni, ma alla fine dell’anno, quando ti fermi a pensare, ti rendi realmente conto quanto aver superato determinati momenti di difficoltà ti abbia rafforzato e reso una persona migliore in tutto e per tutto. Ovviamente, poi, dipende dall’opportunità che un giocatore può avere e dal tipo di scelta che uno voglia fare; tante volte, ad esempio, vai all’estero e ti devi guadagnare tutto. Io sono dell’idea che anche in Italia gioca chi se lo merita: se giochi bene stai in campo, se no vai in panchina. Ma tutto dipende dal tipo di carriera che un cestista vuole realmente affrontare”. Andata e ritorno E dunque dopo l’esplosione a Brescia al fianco di Luca, l’inedita consacrazione estera con Andorra, il ritorno temporaneo da stella in Italia con la Dinamo Sassari e un’ulteriore nuova avventura con Bamberg, il viaggio in gondola di Michele Vitali l’ha portato a metà strada tra le sue due essenze: Venezia, tanto italiana quanto internazionale, cullata dalle onde ma sempre capace di infiammarsi, un po’ come accade all’interno del Taliercio ormai da diversi anni. Il numero 31 ha avuto modo di confrontarsi con gli orogranata in svariate occasioni in passato, tanto con Brescia quanto con Sassari, ma è in questi primi mesi in Laguna che sta sperimentando cosa significa essere parte integrante del progetto ambizioso dell’Umana Reyer:

“Mi sto trovando molto bene ed è stato anche semplice inserirmi. Chiaramente tante persone già le conoscevo, dai compagni allo staff tecnico, passando per Walter, ma chiaramente da avversario. Quello in cui mi trovo è un contesto dove si lavora bene e anche qui vale il concetto della Nazionale: non c’è il singolo, quello che conta è vincere. Non importa se un giocatore fa 20 o 5 punti, l’importante è che vada in campo per fare quello che serve alla squadra per vincere e questo è importantissimo. Si tratta di un obiettivo che combaciava con il mio; quando parlai con De Raffaele quest’estate ci dicemmo chiaramente come migliorare, che tipo di lavoro fare. Come obiettivi di squadra è combaciato tutto alla perfezione. Sono molto contento di essere a Venezia”. La sua LBA è iniziata al ribasso, ma con la consapevolezza che bisogna passare da momenti di rodaggio per dare le accelerate decisive nel corso del viaggio. Si cresce superando le difficoltà, anche quando arrivano 30 candeline da soffiare. Michele Vitali lo sa bene: “In passato, quando pensavo troppo in avanti facevo dei danni. Meglio godersi la giornata”. Giorno dopo giorno, un’esperienza dopo l’altra. Fuori dalla comfort zone.

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