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Courtside NBA - Chi sale e chi scende nella settimana

Courtside NBA - Chi sale e chi scende nella settimana

Primo appuntamento del 2022 della rubrica dedicata al meglio e al peggio degli ultimi 7 giorni di basket americano. Lasciato l’NBA Christmas Day alle spalle si entra nella volata per l’All-Star Game di febbraio, dopo il quale inizierà la corsa alle posizioni Playoffs e vincere o perdere una partita in più potrebbe essere cruciale ai fini di un piazzamento in post-season. Nel frattempo, scopriamo chi sale e chi scende in questo inizio di anno.

 

Chi sale: Miami Heat e Charlotte Hornets

 

Miami Heat: 5 vittorie consecutive, 9 nelle ultime 11, e nonostante i tantissimi infortuni un record di 10 partite sopra la linea di galleggiamento del 50%. Per una squadra colpita, come tante altre in realtà, dalle defezioni causa covid e orfana del suo big man Bam Adebayo fuori per infortunio, il 23-13 attuale che vale il quarto posto ad una sola partita e mezza dal primo gradino della Eastern Conference, è un risultato straordinario. Che diventa ulteriormente encomiabile se si pensa a come coach Erik Spoelstra stia riuscendo a trovare energia e punti dai più insospettabili dei giocatori. E così, dopo una seconda parte di dicembre che ha visto salire in cattedra i Max Strus e Gabe Vincent della situazione (11 punti di media in due lo scorso anno, oltre 20 nel mese di dicembre), è toccato nella notte all’ultimo arrivato Kyle Guy guadagnarsi il premio di rivelazione di giornata assieme ai preziosi minuti di Omer Yurtseven, centro tunisino alla stagione di esordio in NBA e reduce da 7 partite di fila con più di 10 rimbalzi catturati. A vestire i panni del trascinatore, come sempre, è stato però Jimmy Butler, anima di un roster che in estate ha coraggiosamente puntato, scommessa abbondantemente vinta finora, su un veterano di lusso come Kyle Lowry, arrivato via sign-and-trade dai Toronto Raptors, e sulle firme complementari di altri giocatori non esattamente giovanissimi come PJ Tucker, fresco di titolo NBA coi Milwaukee Bucks, e Markieff Morris, ai box dopo lo scontro con Nikola Jokic nella focosa partita contro i Nuggets. La tanto lodata Heat Culture, tuttavia, è andata ben oltre i nomi di spicco, trovando in giocatori come Caleb Martin degli utilissimi role players e più in generale non patendo quasi mai i quintetti di pura emergenza schierati sera dopo sera, grazie a una marcata identità difensiva e ad un attacco che pur mancando di realizzatori puri contro la difesa schierata, riesce a trovare in soluzioni più rapide la chiave per evitare i problemi contro la difesa a metà campo. Nel segno di Butler e di Tyler Herro, che partita dopo partita continua ad aggiungere imprevedibilità a un gioco offensivo di cui oggi la squadra non può assolutamente fare a meno.

 

Charlotte Hornets: nel gruppone di squadre che dal quinto posto dei Cleveland Cavaliers all’undicesimo dei Toronto Raptors conta ben 7 team nello spazio di 3 partite, gli Charlotte Hornets rappresentano forse quella con più pregi e allo stesso tempo più difetti di tutte. Non si potrebbe dire altrimenti del terzo miglior roster per offensive rating di tutta l’NBA, a cui fa da poco onorevole contraltare la 28esima difesa della lega. Una squadra con punti di forza ben definiti, la transizione in primis (23.6 punti di media ottenuti in questa situazione, i migliori in NBA), con 6 uomini in doppia cifra di media, e trascinata dalla coppia LaMelo Ball-Miles Bridges, appaiati a quota 19.7 punti a partita e asse portante del team di coach James Borrego, che sugli immaginifici assist del primo e sulla potenza e versatilità del secondo, alla stagione della consacrazione e trasformatosi in un’ala ormai capace di giocare faccia e spalle al canestro punendo puntualmente le difese avversarie in un continuo mismatch, sta costruendo l’attuale record di 19 vittorie e 17 sconfitte. Sconfitte che, nella quasi totalità dei casi, la squadra di proprietà anche di Michael Jordan costruisce nella metà campo difensiva, dove l’assenza di un lungo con caratteristiche marcatamente difensive e capace di proteggere il ferro e intimidire le penetrazioni avversarie si avverte in maniera costante. Tuttavia, in un roster che si sviluppa a vista d’occhio abbinando alla crescita dei singoli una pallacanestro divertente e godibile, la dirigenza sembra aver individuato la lacuna da tempo e si sta muovendo sottotraccia per aggiungere il tassello necessario per rendere Charlotte qualcosa in più di una squadra da lotta play-in: il potenziale per essere tra le prime 6 e guadagnarsi i Playoffs senza torneo di spareggio c’è, la coppia di superstar in divenire pure. La fisicità e l’energia di Kelly Oubre Jr unita alla capacità di fare canestro di Rozier e al tuttofare Gordon Hayward, perfetto equilibratore del quintetto, completano il resto. L’impressione è che le 3 vittorie di fila siano destinate a essere soppiantate da un mini-filotto di sconfitte, abitudine ormai stabile di questo gruppo. La crescita però resta da tenere d’occhio ed è convinzione diffusa che l’esplosione di questo progetto dipenda ormai da 1-2 mosse per portare il talento assemblato negli ultimi 2 anni alla consacrazione definitiva.

 

Chi scende: Indiana Pacers e Houston Rockets

 

Indiana Pacers: la squadra allenata da coach Rick Carlisle, nuovo arrivato in panchina che in estate aveva suscitato enorme entusiasmo e grandi aspettative sulla stagione dei Pacers, è ormai arrivata al punto di non ritorno. Nonostante un roster sulla carta molto profondo, due dei miglior lunghi NBA e tanto talento diffuso anche nel reparto esterni, la franchigia ha finora faticato tremendamente a trovare continuità, come testimonia il record di 14 vittorie e 22 sconfitte che vale un poco onorevole terzultimo posto nella Eastern Conference. L’ottima scelta all’ultimo draft Chris Duarte sembra essere ad oggi l’unica nota positiva della squadra, ostaggio della difficile convivenza tecnica tra Myles Turner e Domantas Sabonis e carente di tiratori dal perimetro, come testimonia la terzultima percentuale da 3 di tutta la lega (32.3%). Indiana dà l’impressione di avere tanto, a volte anche troppo, per costruire un gruppo quantomeno da Playoffs, lasciando però l’amaro in bocca per il rendimento di alcuni giocatori che appaiono in attesa di trade o poco in sintonia con il nuovo coaching staff. Il risultato è una stagione fortemente negativa, condizionata anche da diverse partite perse per circostanze poco fortunate come quella della notte contro i Chicago Bulls. L’infortunio di T.J. McConnell e l’assenza di T.J. Warren influiscono rispettivamente sull’attitudine difensiva e sull’imprevedibilità perimetrale della squadra, che avrebbe comunque risorse a sufficiente per issarsi al di sopra di roster ben meno attrezzati di lei. Le tante voci di rebuilding in atto e la situazione contrattuale di Myles Turner su tutti hanno però contribuito ad aumentare l’incertezza fuori dal parquet, rendendo i Pacers un gruppo molto instabile che nemmeno l’esperienza di uno dei più navigati coach NBA sta riuscendo a risollevare. Il giudizio, ad oggi, non può che essere negativo, in attesa del terremoto che cambierà volto alla squadra.

 

Houston Rockets: la missione di inizio anno della squadra allenata da Silas non era evidentemente quella di attentare a una posizione Playoffs, sensazione che non si aveva sulla carta guardando il roster a ottobre e che non è sembrata una possibilità neanche nella striscia di 7 successi consecutivi con cui Christian Wood e soci avevano reagito alla tremenda serie di sconfitte, 15 di fila, in apertura di annata. La squadra è palesemente agli albori di una ricostruzione tecnica post addio di James Harden che ha visto alternare scelte di mercato quantomeno discutibili (su tutte quella di rinunciare a Jarrett Allen, finito poi ai Cavs e tra i migliori big-man della lega, come pedina di scambio per il mancino) ad intuizioni che rischiano di aver inserito nel motore alcuni dei giovani più interessanti del panorama NBA, su tutti il lungo turco Alperen Sengun che, nonostante le sconfitte, regala spettacolo notte dopo notte nei (soli) 18.4 minuti di media a disposizione, figli anche della ancora deficitaria gestione dei falli. Oltre a Sengun però, il core costruito negli ultimi 2 anni e che conta anche la seconda scelta dell’ultimo draft Jalen Green (22.3 punti e 51.5% da 3 su oltre 8 tentativi dal rientro dall’infortunio), le due scelte della scorsa stagione Jae-Sean Tate e Kenyon Martin Jr, la point-guard Kevin Porter Jr e l’ex Real Garuba, assieme ad alcuni giocatori “pronti all’uso” come il tiratore Garrison Matthews, firma estiva recentemente blindata per i prossimi anni. In più, preziosi giocatori già affermati e in procinto di essere usati sul mercato come asset per continuare la raccolta di scelte e accelerare la ricostruzione: Eric Gordon, John Wall e Christian Wood. Il 26esimo attacco della lega assieme alla 29esima peggior difesa sono indici però di un gruppo di giocatori talentuosi sulla carta, ma poco motivato ad ottenere vittorie e ancora in balìa delle onde. É uno dei mille aspetti critici di progetti che attendono il draft e nel frattempo provano a sviluppare il materiale a disposizione, con un occhio sempre fisso al record e senza mai rischiare di perdere gli ultimi ambitissimi posti per ripartire con le pick più alte. Nella logica degli esperimenti che Silas non ha mai avuto il timore di fare finora il rischio sembra tutto sommato calcolato, ma se l’obiettivo è inserire tra pochi mesi il giocatore in grado di diventare l’uomo franchigia via draft, occorre costruire nell’attesa un gruppo che giochi un basket di un certo tipo. E Houston, in questo momento, sembra vivere alla giornata in totale confusione. Nel frattempo, le sconfitte in serie sono 7 e la tensione, vedi ultima sfida contro i Nuggets con tanto di ammutinamento di Kevin Porter Jr e dello stesso Wood, sale vertiginosamente

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