Di Filippo Stasi
Stefano, la scelta di rimanere a Venezia per la settima stagione nonostante i tanti riflettori puntati su di te in estate - complice il premio di MVP della Serie A 2020/21 - significa che credi ancora profondamente nel progetto Reyer. È così?
Secondo il mio parere, nei mesi estivi se n’è parlato fin troppo. Non è un segreto che in estate siano arrivate proposte da parte di Club di alto livello... Però abbiamo voluto rispettare il contratto che mi lega alla Reyer, cercando di dare continuità al lavoro svolto negli ultimi anni. Questo ci ha portato a crescere e non a caso infatti, rispetto al mio primo anno a Venezia, le ambizioni societarie sono progressivamente cambiate. Abbiamo vinto due scudetti, una Coppa Italia, una FIBA Europe Cup e ancora vogliamo lottare per portarci nella posizione di provare ad arricchire ulteriormente il palmarés della Reyer. Inoltre, poter lavorare ancora con coach Walter De Raffaele, il suo staff e un gruppo squadra che nel nucleo è stato confermato in blocco, mi fa continuare a credere nella bontà e nella solidità in un progetto tecnico che poggia già su basi molto solide, ma che può portarci a raggiungere altri traguardi.
Il ritorno in campo - dopo quasi un anno ai box - di Michael Bramos: quanto è importante per voi poter contare su un campione come lui?
È fondamentale avere a disposizione, in campo e in spogliatoio, un campione della sua caratura ed esperienza. Mike è un professionista serio, metodico, fortissimo mentalmente: quando entra in campo e si allaccia le scarpe, riesce a isolarsi perfettamente da tutto il resto per svolgere al meglio la seduta di allenamento o i compiti che gli sono stati assegnati in partita. Nel nostro modo di interpretare la pallacanestro, tende ad emergere sempre la forza del collettivo rispetto a quella dei singoli, ma avere al proprio fianco Bramos posso assicurare che aiuta! La sua presenza sul parquet ci dà equilibrio sia nella nostra metà campo che in quella avversaria e, personalmente, il fatto che sia arrivato a Venezia nel 2015, proprio come me, ha facilitato il crearsi di una particolare alchimia tra noi. Ci basta uno sguardo per intenderci, sul rettangolo di gioco riusciamo a trovarci quasi ‘a memoria’ e anche nei momenti extra basket siamo in sintonia. Sono molto contento che - da un mese a questa parte - sia tornato a calcare il parquet del Taliercio perché ha patito un infortunio talmente grave da aver reso incerte le tempistiche per il suo rientro. Nel 2021 aveva perso un po’ il sorriso, comprensibilmente, ma ora sta ritrovando serenità di pari passo con la miglior condizione. Sarà la nostra arma in più per questo 2022 che abbiamo iniziato al meglio superando Napoli in rimonta, lo scorso mercoledì.
A proposito di te e Bramos, riaffiora alla mente l’ultimo minuto di Gara 5 della finale scudetto del 2017 contro l’Aquila Trento (vostra avversaria questa sera nell’anticipo della 15a giornata). Tuo il canestro del -1, di Mike la tripla-vittoria a 6 secondi dalla fine nella gara chiave, pivotal come direbbero oltreoceano. Hai percepito una particolare, sana rivalità tra Venezia e Trento negli anni seguenti quella combattuta serie di finale?
Per certi versi sì, perché come ho detto prima noi non siamo cambiati tanto rispetto a cinque anni fa, così come l’Aquila Trento che - come allora - può contare su Forray e Flaccadori, due giocatori che incarnano il DNA della società. Oramai ci conosciamo bene a vicenda: contro di loro è sempre battaglia e anche questa sera sappiamo che troveremo pane per i nostri denti. Però il nostro obiettivo è chiaro e faremo di tutto per perseguirlo: portare a casa due punti che sarebbero determinanti in ottica qualificazione alle Final Eight di Coppa Italia a Pesaro. Il girone d’andata non è ancora concluso, possiamo ancora essere padroni del nostro destino, per cui sarà importante dare tutto quello che abbiamo. Purtroppo non saremo al completo, ma vale lo stesso discorso per loro. Sarà una grande sfida.
Dopo lo sguardo al passato in maglia Reyer, guardiamo ora a quello - più recente - con la Nazionale. Innanzitutto, quante difficoltà riscontrate voi giocatori nel disputare partite di Qualificazioni ai Mondiali a stagione in corso, considerando anche le defezioni dei tanti giocatori costretti a rinunciare alla maglia Azzurra per disputare l’Eurolega? E poi ti chiedo se vuoi condividere qualche momento piacevole della splendida estate dell’Italbasket, tra Belgrado e Tokyo.
Il calendario è già serrato per le squadre che - come la Reyer - oltre alla Serie A nel weekend devono onorare l’impegno infrasettimanale in Eurocup. I rinvii di diverse partite ai quali stiamo assistendo nell’ultimo periodo complicano ulteriormente una situazione già di difficile gestione per noi atleti: non abbiamo mai tempo per tirare il fiato e ripartire con energie rinnovate. L’unica pausa del campionato fino ad ora è stata occupata dal doppio impegno con la Nazionale per le Qualificazioni ai prossimi Mondiali, quindi parliamo di partite che ogni atleta vorrebbe onorare. Purtroppo non per tutti è possibile farlo: l’Eurolega non si ferma e alcuni compagni, loro malgrado, sono periodicamente tagliati fuori dalla convocazione in Azzurro. Ma anche per chi vi partecipa è complicato, perché in pochi giorni si devono preparare gare non solo in funzione dell’avversario, ma anche di noi stessi. Le varie defezioni costringono il CT ad adottare temporaneamente rotazioni inusuali, ma soprattutto si hanno a disposizione pochissimi allenamenti per creare una chimica di squadra degna dell’obiettivo per il quale si sta giocando. Questo è il problema principale che quasi tutte le nazionali - non solo l’Italia - sono costrette a fronteggiare. È da qualche anno che si è adottato questo format, ma personalmente penso vada rivisto, perché giocarsi l’accesso a un torneo prestigioso come un Mondiale in condizioni non ottimali - anzi spesso precarie - può costare caro in termini di risultati. Ed è un peccato, perché poter prendere parte a competizioni del genere regala emozioni impagabili. I giorni vissuti a Belgrado prima e Tokyo poi sono stati magici. In Serbia naturalmente volevamo dare tutto, giocando per vincere, ma eravamo pienamente consci di essere sfavoriti sulla carta. Batterli in casa loro è stato - oltre che d’ispirazione per l’Italia di mister Mancini all’Europeo - letteralmente pazzesco, oltre che inaspettato. Talmente inatteso che solo al termine del vittorioso torneo Preolimpico ho realizzato una strana coincidenza alla quale prima non avevo badato: nei giorni trascorsi a Belgrado, la sera mi riguardavo la serie ‘La casa di carta’, più per conciliare il sonno che per reale interesse a dirla tutta (ride, ndr)… Mi addormentavo quasi sempre con una scena con protagonista Tokyo, forse il personaggio che compare con più frequenza nelle prime stagioni. Solo a Preolimpico finito mi sono reso conto che a Belgrado mi addormentavo guardando Tokyo, magari inconsciamente la sognavo pure la notte… E alla fine ce la siamo guadagnata sul campo, l’Olimpiade di Tokyo! E goduta, insieme. Peccato solo per l’assenza di spettatori, a impoverire un’esperienza che per il resto è stata strepitosa.
Tra gli highlights più belli della tua stagione - senza nulla togliere alle prodezze che fai in campo ogni fine settimana, da MVP in carica - ce ne sono due rimarchevoli: la sportività con la quale hai accettato il ‘non-fischio’ arbitrale nel concitato finale di Brindisi, da una parte; dall’altra, il tuo attivismo come testimonial del progetto benefico ‘Diritti a canestro’, portato avanti da Club Basket Frascati, FIP, Unicef Italia e CONI. Possiamo dire che sei candidato MVP anche per quello che fai oltre la pallacanestro?
L’episodio di Brindisi è stato controverso e dibattuto, ma la realtà è che come sbagliamo noi giocatori può succedere anche agli arbitri la stessa cosa. Ho apprezzato molto che nell’immediato post partita l’arbitro sia venuto a spiegarmi il suo punto di vista, senza avanzare pretese in merito alla bontà del suo giudizio. Ciò è importante, un giocatore apprezza questo tipo di dialogo con gli ufficiali di gara. Va detto che tante volte noi per primi complichiamo loro la vita, perché crediamo di essere sempre dalla parte della ragione e loro del torto, specie quando si ha l’adrenalina a mille nelle vene… Io per primo - sebbene sia di indole un ragazzo tranquillo - so di potermi migliorare ancora di più sotto questo profilo; devo fare a botte col mio impeto in certi momenti del match, ma se riesco a esercitare un buon autocontrollo, questo si riflette in positivo sulla bontà della mia prestazione. Rimanere mentalmente in partita, senza farsi condizionare dagli episodi, fa tanto. Passando al progetto ‘Diritti a canestro’, sono contento di dare il mio contributo come testimonial di un progetto nato sì da pochi mesi, ma destinato a crescere. L’obiettivo dell’iniziativa è favorire l’integrazione tra italiani e stranieri attraverso il basket e lo sport, che può facilitare il processo di ambientamento per quei giovani che da poco tempo si trovano in Italia e devono quindi ambientarsi alla realtà del nostro Paese, spesso e volentieri diversa da quella da cui provengono. In questo caso la pallacanestro può essere uno strumento utile per aiutare questi ragazzi a trovare una passione e al contempo una strada da percorrere che, passo dopo passo, può aiutarli a crescere sotto tutti i punti di vista. Il potere dello sport è enorme ed è un bene che venga sfruttato anche per iniziative simili.