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Courtside NBA - Chi sale e chi scende nella settimana

Uno sguardo alla situazione oltreoceano

Courtside NBA - Chi sale e chi scende nella settimana

Settimana-tipo di partite NBA, riprese a totale regime dopo la pausa per l’All-Star Game, in cui spiccano indubbiamente le due gare da 56 e 50 punti di LeBron James, oltre alla conferma dei momenti estremamente positivi (o clamorosamente negativi) di alcune squadre sulle quali siamo pronti a tuffarci nel nostro recap degli ultimi 7 giorni.

Chi sale: Dallas Mavericks – Minnesota Timberwolves

Dallas Mavericks: al netto dell’incidente di percorso contro i New York Knicks (sconfitta per 107-77 complice anche un disastroso 6/44 dall’arco) la squadra allenata da Jason Kidd può ormai annoverarsi tra le note positive della stagione, soprattutto considerando l’inizio a rilento e un miglioramento progressivo che di settimana in settimana ha riportato i Mavs saldamente in zona Playoffs, con un quinto posto che ha nel mirino la piazza superiore, occupata dai Jazz e distante appena una partita. Proprio contro Utah, lunedì, era arrivata una vittoria di qualità (la quinta consecutiva, striscia interrotta coi già citati Knicks), l’ennesima se si pensa che nell’ultimo mese le contender (almeno sulla carta nelle previsioni di inizio anno) cadute al cospetto di Luka Doncic e soci sono state diverse, a partire dai Miami Heat e passando per i Golden State Warriors (2 volte) e i Los Angeles Lakers nella sfida del 1 marzo. A sorprendere maggiormente quando si parla dei texani è una compattezza difensiva che sin dal primo giorno è sembrato essere l’obiettivo del coaching staff, capace di elevare la squadra detentrice del poco onorevole 20esimo dato per defensive rating della scorsa stagione, alla quinta attuale miglior difesa NBA. Un miglioramento considerevole al quale ha fatto sì da contrappeso un attacco peggiorato nei numeri, ma che a dispetto di quanto si credeva subito dopo la trade deadline (chiusa con lo scambio che ha portato Kristaps Porzingis a Washington in cambio di Spencer Dinwiddie e Davis Bertans) sembra adesso addirittura più complementare alle caratteristiche di Luka Doncic, che con 4 bersagli attorno e un altro giocatore in grado di creare dal palleggio – spesso 2 se si considerano i minuti del terzetto completato da Jalen Brunson con lo sloveno e appunto Dinwiddie - sembra molto più a suo agio nel generare comode conclusioni dall’arco per i compagni, attirando su di sé le attenzioni delle difese per poi far uscire la palla coi soliti, perfetti tempi. Dalla trade i Mavs hanno ad oggi un record di 9-3, il terzo migliore della lega nelle ultime 12 partite, proprio grazie alla “Luka Ball” che stanno giocando: lo sloveno in 11 partite giocate dalla partenza del lettone ha finora medie stellari di 35.0 punti, 11.0 rimbalzi e 6.5 assist e sembra aver trovato, oltre alla forma fisica finalmente degna del suo nome a differenza dei primi 2 mesi di regular season, una grande sintonia con Kidd e più in generale una rinnovata fiducia nell’ambiente Mavs. Per una difesa totalmente rivoluzionata quindi, un attacco che sta esplorando nuovi modi di sfruttare il suo leader (dalla trade Dallas è anche prima in NBA per penetrazioni a partita, anche queste effetto dell’aggiunta di un altro giocatore abilissimo a battere l’uomo come Dinwiddie). L’impressione è che in una Conference dove a parte i Phoenix Suns tutte hanno dimostrato di avere punti deboli o comunque defezioni per le quali è difficile immaginare un percorso lungo in post-season, un assetto così funzionale attorno al perno Luka Doncic possa rendere i Mavs molto più temibili di quanto si credesse a inizio anno, anche in ottica Finali di Conference. Il campione è ancora ridotto, ma se il trend fosse confermato (la difesa ad esempio deve ancora assestarsi dalla trade, mancando della protezione al ferro che Porzingis offriva) non ci sarebbe la fila per trovarseli di fronte ai Playoffs, questo è sicuro.

Minnesota Timberwolves: incredibile ma vero, i Timberwolves sono una delle squadre più interessanti di quest’anno. Affidare il progetto nelle mani dell’esordiente Chris Finch, inizialmente partito tra lo scetticismo generale, si è invece rivelata una mossa saggia da parte della franchigia, che dopo anni di delusioni e di accumulo di talento via-draft si ritrova finalmente ad avere un roster competitivo, profondo e performante sia in attacco che in difesa grazie anche alla maturazione di quelli che per molto tempo sono stati giocatori di grande talento ma sempre poco continui, come Karl Anthony Towns e D’Angelo Russell. Minnesota, e questo è coerente con le idee che sin dal primo giorno Finch ha rivelato di avere per questa squadra, è la seconda squadra per pace dell’intera lega grazie a un gioco veloce, divertente e ad alto ritmo che sfrutta a pieno le caratteristiche dei suoi giocatori. Inoltre, è prima in NBA per triple tentate (41.6 a gara) e tra i team che ricorrono maggiormente agli isolamenti, anche in questo caso facendo leva sulle abilità del terzetto che fa sognare i propri tifosi composto da Karl Anthony Towns, D’Angelo Russell e Anthony Edwards, un abile mix di realizzatori, tiratori e anche difensori. Proprio sulla difesa è utile menzionare anche quello che è il supporting-cast della squadra, con la coppia Jaden McDaniels e Jarred Vanderbilt che grazie ad atletismo, fisicità, capacità di giocare off-the-ball senza quindi elidere i possessi dei “Big 3” e soprattutto istinto nell’usare le lunghe leve per sporcare ogni linea di passaggi degli attacchi avversari rendono i quintetti di Finch estremamente versatili e difficili da affrontare. A completare la squadra, il decisivo innesto di Pat Beverley che ha portato leadership e una sana dose di cattiveria in un ambiente abituato alle sconfitte, lo scorer Malik Beasley (reduce da una partita con ben 11 triple mandate a segno contro i Thunder). Insomma, per la prima volta nella loro storia recente i tifosi Timberwolves possono dirsi finalmente orgogliosi della squadra allestita dalla dirigenza e dal “Process” che sta progressivamente portando i discontinui giovani ammassati negli anni a diventare un gruppo maturo e in grado di sfruttare al meglio il suo talento fisico e tecnico. Non è ovviamente un punto di arrivo, ma come base di partenza il roster di cui dispone Chris Finch basta e avanza per essere speranzosi per il prossimo biennio di costruzione. A riprova del valore di Minnie, si veda la partita di stanotte contro i Miami Heat: 8 giocatori in doppia cifra, miglior scorer in panchina (Jaylen Nowell) e statement-victory contro la miglior squadra della Eastern Conference.

Chi scende: Sacramento Kings – Washington Wizards

Sacramento Kings: cambiare tutto, per non cambiare nulla. La mossa dei Kings a ridosso della deadline di un mese fa, che ha in parte rivoluzionato il roster con le cessioni di Tyrese Haliburton e Buddy Hield in direzione Indiana per far spazio al lungo Domantas Sabonis e soprattutto scoperto le reali intenzioni della dirigenza che punta (puntava è il caso di dire) a una qualificazione al torneo Play-in per iniziare a sviluppare una cultura vincente in un team che ormai da due decenni manca in post-season. Purtroppo per i tifosi di Sacramento però, il trend non sembra per nulla essere cambiato e i Kings oggi sono saldamente in controllo del terzultimo posto nella Western Conference, più vicini al peggio record NBA che al torneo play-in, distanti 4 partite dalla decima piazza e in striscia di 8 sconfitte nelle ultime 10 gare. Guardando il bicchiere mezzo pieno e abbandonando ogni velleità di successo almeno per quest’anno, la partenza di Haliburton sembra aver definitivamente sbloccato De’Aaron Fox (41 punti nella notte contro i Jazz), che dalla trade viaggia a 29 punti e 7 assist di media con percentuali del 51% dal campo e 40% da tre, valsi però finora 4 vittorie a fronte di 9 sconfitte. Numeri importanti per un giocatore che ha mostrato tanto talento ma troppe volte perdendosi in periodi più o meno lunghi di difficoltà, e che oggi sembra pronto con Sabonis appunto a costituire la spina dorsale di un progetto tecnico che deve trovare una base solida e provare a costruire una volta per tutte con l’obiettivo di centrare la post-season. Le 4 sconfitte consecutive arrivate dal 5 marzo a oggi, con una settimana chiusa con le 3 “L” contro Knicks, Nuggets e Jazz avvicinano paradossalmente ancora di più il quintultimo peggior record della lega occupato proprio dai Pacers. Con un po’ di realismo e senza fare ulteriore confusione, puntando al draft potrebbe arrivare un innesto capace di allargare il core di questa squadra e dare vita a un nuovo corso che possa regalare qualche soddisfazione a un ambiente ormai depresso e senza più aspettative.

Washington Wizards: I Wizards sono ormai in picchiata. 3 sconfitte in settimana, 7 delle ultime 10, undicesimo posto a Est dopo aver occupato la prima posizione e aver sostato per almeno un mese nelle zone alte della classifica. Di Washington in queste ore si parla più per i primati al contrario, come aver concesso 44 punti nella notte a Josh Hart e fatto registrare a LeBron James il secondo cinquantello nel giro di 7 giorni. Niente di eclatante, se si pensa che con l’infortunio e la scelta di rientrare direttamente il prossimo anno della stella del team Bradley Beal sui Wizards è calato definitivamente il sipario almeno per quest’anno, con l’obiettivo di utilizzare le ultime settimane di regular season per accumulare certezze e provare a ripartire dal prossimo anno con un gruppo ben definito di giocatori e quanto più possibile “committed” alla franchigia: in questo, le scelte estive proprio di Beal possono rappresentare uno spartiacque per le sorti a breve termine della squadra. Provare quindi a recuperare la miglior versione di Kristaps Porzingis, da poco rientrato dopo l’acquisto via trade dai Dallas Mavericks, consolidando allo stesso tempo lo status di star della che ha visto Kyle Kuzma emergere forse in maniera anche inaspettata come go-to-guy della franchigia, e provare a convincere proprio Bradley Beal dei margini di crescita di un progetto al quale pare sia pronto a giurare nuovamente fedeltà John Wall, che messo ai margini del roster dai Rockets potrà eventualmente declinare (ipotesi molto difficile) la player option da 47 milioni e legarsi con un contratto più lungo alla squadra che lo ha lanciato in NBA, sono gli obiettivi da qui a luglio della dirigenza. Diversamente, immagine una trade per incamerare un accordo del genere sacrificando anche preziosi assets per la costruzione della squadra appare improbabile, al di là di ogni dichiarazione e intenzione della point-guard. Le certezze, insomma, non sono tantissime in casa Wizards, ma quel che è sicuro è che dopo questa estate il progetto di Washington sarà quasi del tutto rinnovato o restaurato, se possibile. Beal è l’ago della bilancia, ma se occorrerà andare avanti nell’interesse di entrambe le parti non è da escludere un addio e un nuovo capitolo pronto a essere scritto nella Capitale.

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