Di Filippo Stasi
L’ospite settimanale di “5 domande a” presenta un curriculum di altissimo livello: 11 anni di carriera - 8 dei quali in Italia - accumulando vasta esperienza in EuroLega e vincendo tutto in Italia, oltre a un’EuroCup da protagonista a Malaga. Oggi Jeff Brooks è all’Umana Reyer Venezia per portare leadership e duttilità alla causa. Ma anche pericolosità offensiva, come gli chiede il suo allenatore…
Jeff, la Reyer sta vivendo un momento decisamente positivo: 5 vittorie ottenute nelle ultime 6 partite. L’inizio di stagione non è stato brillante, ma ora la squadra è tornata a farsi minacciosa in ottica playoff. Cosa è cambiato secondo te nell’ultimo periodo? Venezia va sempre considerata una contender? La squadra sta trovando continuità di rendimento. Abbiamo faticato tutta la stagione nell’essere solidi e continui non solo tra una gara e l’altra, ma anche nel corso di una stessa partita. Certi up&down li abbiamo ancora ogni tanto; l’unica sconfitta che abbiamo colto in campionato nelle ultime settimane è arrivata a Bologna, con la Virtus che è stata capace di rimontare una ventina di punti, complice un nostro calo di tensione… Però stiamo eliminando gradualmente questi alti e bassi, ottenendo risultati importanti come quello di domenica scorsa contro Reggio Emilia. Cinciarini sta guidando la squadra in maniera egregia! Hopkins è un lungo pericoloso, capace di far male in diversi modi e sono ben allenati in generale. Non è stato facile batterli, ma siamo in un buon momento e vogliamo mantenere questo trend di crescita collettiva. Penso che ognuno di noi, qui a Venezia, stia trovando piena consapevolezza del suo ruolo. La società ha fatto qualche aggiustamento in corso d’opera, aggiungendo ad esempio un playmaker esperto come Jordan Theodore al posto di Tarik Phillip, che è un ragazzo d’oro e un giocatore davvero forte, fidatevi; semplicemente non era molto adatto al sistema di gioco che ha trovato qui, per questo ha fatto fatica a esprimersi al meglio. Ora sono sicuro che a Burgos abbia trovato una dimensione più adatta alle sue caratteristiche e gli auguro di concludere al meglio la stagione! Questi incidenti di percorso capitano ogni anno, in ogni squadra e specialmente in Serie A: non è facile per un giocatore straniero adattarsi al basket italiano. Comunque, l’importante è trovare il modo per tornare a esprimersi ad alti livelli e Venezia credo ci stia riuscendo. Puntiamo ai playoff naturalmente, ma la nostra concentrazione al momento è dedicata all’impegno di EuroCup di questa sera, contro Gran Canaria; dopodiché, penseremo a preparare la partita di domenica contro la Fortitudo Bologna. One game at a time.
Di pari passo con la squadra, sei parso in crescita anche tu a livello individuale. Nelle ultime uscite hai garantito punti ed energia in entrambe le metà campo. L’impressione è che quando giochi aggressivo in attacco, senza disdegnare l’iniziativa personale, la Reyer ne tragga giovamento. Coach Walter De Raffaele cosa ti chiede in merito? Lo hai già intuito: quando ricevo in ritmo e con spazio, il coach mi chiede sempre di tirare a canestro quella dannata palla (ride, ndr). Intendiamoci: è una cosa che non ho problemi a fare, ma sono un giocatore da sempre votato al gioco di squadra. Certi tiri me li prendo con fiducia, altre volte ho pazienza e cerco di far girare ancora la palla per regalarne uno migliore a un compagno. Sto cercando di sforzarmi ad essere meno altruista in campo, il coach me lo chiede e io cerco di andare incontro il più possibile alle sue richieste. Ogni giorno, al termine dell’allenamento, mi fermo in palestra per una sessione extra di tiro con l’obiettivo di farmi trovare pronto, abituato mentalmente a prendere e tirare, catch&shoot senza esitazioni. Ogni giocatore in campo deve rappresentare una minaccia per la difesa avversaria. Il coach vorrebbe quindi vedermi più intraprendente anche nell’uno contro uno, di tanto in tanto, perché sa che possiedo mezzi tecnici e atletici per mettere in difficoltà il mio diretto avversario. Non vuole che mi estranei dal gioco per dare luce ai miei compagni in attacco; preferisce tenermi coinvolto e attivamente partecipe non solo alla costruzione della manovra offensiva, ma anche alla sua finalizzazione. Mi ritiene un giocatore di talento, oltre che un buon glue guy e un team player; giustamente pretende tutto da me, non solo una parte delle mie qualità. Sto apprezzando molto il lavoro di coach De Raffaele e del suo staff, sta a me cercare di mettere in pratica le loro richieste per aiutare questo gruppo a raggiungere i suoi obiettivi.
L’Italia è la tua seconda casa: una volta terminato il quadriennio universitario a Penn State, hai cominciato la tua carriera professionistica a Jesi nel 2011, per poi debuttare in Serie A - e in EuroLega - la stagione seguente con la maglia di Cantù. Poi le tappe a Caserta, Sassari, Milano e oggi Venezia, con nel mezzo 3 anni trascorsi tra Saratov e Malaga… Quali sono i ricordi più belli che conservi da tutte queste esperienze? Ogni città in cui ho vissuto rappresenta un capitolo importante della mia vita. Il mio viaggio è cominciato a Jesi e la prima volta oltreoceano non si scorda mai... Poi c’è stata la grande occasione di Cantù, che mi ha subito portato a vincere una Supercoppa e a fare esperienza in EuroLega... Passare dall’A2 al massimo livello continentale è stato sfidante. La stagione a Caserta - che vorrei veder tornare presto in Serie A, perché un Club storico come la Juve merita questi palcoscenici – mi ha fatto maturare molto: mi hanno responsabilizzato e ho vissuto una stagione entusiasmante, che ha fatto da preludio all’annata del Triplete con Sassari… Qualcosa che non dimenticherò mai, troppo speciale! Poi dopo tre anni all’estero ho riabbracciato l’Italia firmando per l’Olimpia Milano, il Club più prestigioso dato che disputa ogni anno l’EuroLega. Farsi allenare da coach del livello di Pianigiani e Messina, al fianco di campioni che hanno scritto pagine importanti del basket europeo è stata una benedizione. In generale sono grato all’Italia per quanto ha dato - e continua ancora a dare - a me così come alla mia famiglia. Ai tempi di Cantù ho conosciuto Benedetta, la mia attuale moglie. Abbiamo un figlio di 5 anni, Jordan, che sta crescendo qui… L’Italia mi ha dato tantissimo, non solo una carriera splendida che voglio ancora godermi fino alla fine. Sono veramente grato per quanto ho ricevuto nella mia vita grazie alla pallacanestro. Nothing but blessings, si dice dalle mie parti. Solo gratitudine.
Hai fatto riferimento più volte, giustamente, alle tue esperienze in EuroLega, la massima competizione a livello continentale. Ci hai giocato a lungo e con diverse casacche, misurandoti con campioni e talenti veramente unici. Ce ne menzioni qualcuno, quelli che ti hanno impressionato maggiormente? Ne voglio citare tre, uno dei quali è stato mio compagno la scorsa stagione a Milano. Parlo di Kyle Hines. L’EuroLega dovrebbe ergere un monumento o quanto meno intitolare un premio in suo onore, quando deciderà di ritirarsi! A mio parere è il più forte di tutti. Si tende a parlare più spesso delle guardie, perché tendono ad essere sempre al centro del gioco, ma quello che è capace di fare Kyle Hines sul parquet non ha prezzo! Ha leadership, tempismo perfetto, emotivamente è sempre sotto controllo e ti trasmette serenità solo a stargli accanto, anche nelle fasi calde della partita. Poi legge il gioco in anticipo, perché lo conosce; dunque, sa perfettamente cosa serve alla squadra in un preciso momento del match. E quel che serve è pronto a farlo lui in prima persona. Voglio dire: spesso lo vediamo portare palla in attacco, mentre in difesa marca il centro avversario... È il migliore, non c’è altro da aggiungere. Il suo palmarès parla chiaro a sostegno della mia tesi. Per gli altri due nomi invece, scelgo due giocatori che ho dovuto marcare spesso avendoli affrontati anche nella Liga spagnola, quando giocavo all’Unicaja Malaga… Tornik’e Shengelia e Anthony Randolph. Il georgiano è un grande colpo per la Virtus Bologna perché è un 4 completo: forte fisicamente, capace di mettere palla per terra, di andare forte a rimbalzo… È sempre difficile affrontarlo, perché trova con intelligenza qualche cosa che riesce a fare meglio di te per batterti. Lo stesso discorso vale per Randolph del Real Madrid: un talento cristallino, una guardia tiratrice nel corpo di un lungo atletico e con braccia interminabili. Ha vinto tutto da protagonista con i Blancos e pure un Europeo con la nazionale slovena… Parliamo di tre giocatori d’élite. Sotto canestro, nell’ultima decade, è difficile trovare di meglio.
Sei un super appassionato di moda: da dove nasce questo interesse? Raccontaci come lo stai coltivando. Mi fa piacere ricevere questa domanda. La moda è una mia grande passione e la sto sviluppando concretamente da testimonial del brand Take Off Milano, che si propone di aiutare i suoi clienti a superare sia i limiti personali sia quelli sociali, creando nuovi canoni e abbattendo quelli superati o lontani dal nostro modo di essere. Il mondo della moda mi attrae perché ogni persona ritengo voglia indossare qualcosa che la rappresenti. Il modo di vestirsi rispecchia la propria identità, la propria personalità, il proprio modo di essere… Il mio pallino sono le scarpe, ne ho diverse paia, alcune delle quali decisamente pittoresche... Mia moglie le odia (ride, ndr). Perché uso l’hashtag #Himalayas sul mio profilo Instagram? Tutti sanno che l’Himalaya è un luogo freddo: cold in gergo si usa anche per indicare una persona che è a suo agio, presentabile, equilibrata, di bell’aspetto… Per questo motivo ho scelto questo hashtag ad accompagnare le foto che posto: mi sento ‘fresco’ nel modo di vestire e di pormi. Sono completamente a mio agio, rilassato, mentalmente aperto verso ciò che è nuovo, diverso o fuori dall’ordinario. Anche il mio nome su Instagram, King Free, vuole enfatizzare la libertà d’espressione individuale al di là dei canoni socialmente accettati.