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Courtside NBA - Chi sale e chi scende nella settimana

Uno sguardo al campionato oltreoceano

Courtside NBA - Chi sale e chi scende nella settimana

La stagione regolare NBA volge al termine e in attesa di scoprire la griglia finale e le ultime due partecipanti di ogni Conference dopo i play-in, scopriamo chi sale e chi scende dopo l’ultima settimana di partite nella nostra consueta rubrica.

 

Chi sale: Miami Heat - Los Angeles Clippers

Miami Heat: Dal brutto episodio durante la partita contro i Golden State Warriors, con la star Jimmy Butler e il veterano Udonis Haslem separati dai compagni durante un alterco in un time-out, gli Heat si sono compattati e in Florida è decisamente tornato il bel tempo. 6 vittorie consecutive dopo che in stagione non erano mai andati oltre le 5 (in tre occasioni) e proprio a ridosso dell’inizio dei Playoffs, utili a mettere al riparo dagli attacchi di Bucks e Celtics il primo posto nella Eastern Conference. Un risultato che ha dell’incredibile se si pensa alle defezioni avute dalla squadra di Spoelstra, che per via degli infortuni ha potuto schierare i suoi 3 migliori giocatori Kyle Lowry, Jimmy Butler e Bam Adebayo in sole 34 partite e per un totale di 660 minuti (con un net rating di + 7.5), che diventano addirittura appena 24 se ai 3 tenori si unisce il quasi certo sesto uomo dell’anno Tyler Herro (119 minuti complessivi). Il coach degli Heat ha dovuto fare a meno poi di Markieff Morris per oltre 60 partite dopo la rissa con Jokic e solo nelle ultime settimane si è rivisto nelle rotazioni Victor Oladipo, giocatore sulla cui difesa e capacità di creare tiri dal palleggio ad attacco rotto si punta ancora tantissimo, nonostante il tempo passato lontano dal parquet negli ultimi anni. Miami chiuderà quindi con 53 o 54 vittorie e attende con ansia di scoprire la rivale al primo turno di Playoffs, che arriverà dagli scontri tra Brooklyn Nets, Cleveland Cavaliers, Atlanta Hawks e Charlotte Hornets. Quattro rivali sostanzialmente alla portata di Butler e soci, che nel corso di questa annata hanno evidenziato in maniera abbastanza chiara i loro pregi e difetti: una difesa versatile orchestrata dal candidato a difensore dell’anno Bam Adebayo e in grado di cambiare sistematicamente su ogni situazione di blocco, un giocatore essenziale come Tyler Herro che in uscita dalla panchina si è ritagliato un ruolo fondamentale di grande impatto con oltre 20 punti di media a gara, e un carattere che in un gruppo con così tanta esperienza e ricco di veterani potrà fare la differenza in serie da 7 partite. Di contro, e con incidenza ben maggiore di quanto non dica il decimo offensive rating della lega, gli Heat hanno problemi ben precisi nella metà campo d’attacco. Lo spacing dipende in maniera quasi vitale dalla presenza di giocatori come Duncan Robinson (in vistoso calo quest’anno) e Max Struss, una delle tante perle pescate dallo staff tecnico e esplosa nel corso della stagione, e permettersi due giocatori non pericolosi oltre l’arco come Butler e Adebayo comporta dei sacrifici: quando Miami si trova ad attaccare contro le difese schierate diventa semplice arginarne le poche bocche da fuoco. La post-season serve proprio a questo però: studiare le mosse degli avversari e trovare contromisure. Per ora, gli Heat ci arrivano col vento in poppa dopo una settimana di vittorie contro Toronto, Charlotte e Atlanta. Poco prima, sul loro percorso erano cadute anche Bulls e Celtics, per non farsi mancare nulla. Non si è mai primi per caso.

Los Angeles Clippers: anche in questo caso, proprio nel momento più importante della stagione, c’è stata la svolta. E in casa Clippers la svolta è di quelle importanti visto che Tyronn Lue può finalmente contare di nuovo sulla superstar Paul George, in attesa - a questo punto occorrerà attendere il prossimo anno - di rivederlo all’opera con Kawhi Leonard. PG è tornato proprio in tempo per conquistare settima o ottava piazza passando per il playin, dove l’esperienza di un gruppo rodato ad alti livelli e reduce dalla cavalcata dello scorso anno farà la differenza. Le vittorie consecutive, compresa quella della notte contro i Sacramento Kings, sono quattro, con un attacco finalmente riacceso dalla presenza di un giocatore come George ma anche dal rientro di Norman Powell, che in uscita dalla panchina promette di essere un fattore in eventuali serie su 7 sfide. Con lui, anche l’altro giocatore arrivato alla trade deadline di febbraio ovvero Robert Covington sembra tornato ad altissimi livelli e in post-season la sua difesa e la sua dimensione perimetrale saranno armi di cui difficilmente Lue farà a meno. I Clippers, sempre con l’asterisco visto che nel loro nuovo assetto non si sono mai potuti permettere Kawhi quest’anno, si ritrovano con un roster lunghissimo e nel quale giocatori che in stagione hanno avuto minuti e spazio a sorpresa con un impatto più che positivo, troveranno probabilmente pochissimo spazio nei Playoffs per problemi di abbondanza e necessità di accorciare le rotazioni. Merito delle mosse della dirigenza, ma anche della capacità del coaching staff di lavorare su gregari insospettabili oggi diventati ingranaggi di un sistema che ha egregiamente sopperito all’assenza delle star. Oggi affrontare i Clippers in un primo turno vuol dire probabilmente dover sudare molto più di quanto non accada contro una settima o un’ottava qualificata.

 

Chi scende: Cleveland Cavaliers

Cleveland Cavaliers: mentre le squadre di sopra sembrano essersi accese (o riaccese) proprio a ridosso dell’inizio della post-season, in Ohio purtroppo la fase più calda della stagione ha visto la truppa di Bickerstaff crollare nel post All-Star Game fino a doversi giocare l’accesso ai Playoffs con gli spareggi play-in, qualcosa di impensabile fino a un paio di mesi fa, quando i Cavs attentavano alle primissime posizioni della Eastern Conference. Una squadra però costruita sull’asse Garland-Mobley-Allen non poteva che crollare inevitabilmente con l’assenza prima di una sola delle due torri, poi di entrambe viste le partite saltate anche dal probabile rookie dell’anno, rientrato proprio poche ore fa per la sfida (persa) contro i Nets che dovrebbe aver condannato Cleveland all’ottava o anche alla nona piazza, a seconda dell’esito dell’ultima partita ancora da giocare contro i Bucks. Mentre perdere contro Durant e Irving può però essere messo in preventivo anche col recupero di Mobley ma visto il perdurare dell’assenza di Jarrett Allen, e applicando lo stesso discorso anche alla battuta d’arresto contro i 76ers di Embiid, a preoccupare i tifosi Cavs deve essere il passo falso contro gli Orlando Magic, squadra in missione tanking che ha praticamente vinto senza nemmeno impegnarsi a farlo nella notte del 5 aprile (120-115), mettendo a nudo tutte le incertezze di un gruppo che ha costruito le proprie fortune su un core del quale oggi è impossibile fare a meno. Non occorre però disperarsi più di tanto, in realtà: il saldo settimanale è negativo, il trend senza Allen e Mobley è da brividi, ma quello che si sta costruendo in Ohio può regalare grandi gioie ai tifosi dei Cavs nei prossimi anni. L’esplosione di Darius Garland, coincisa con l’infortunio di Sexton che ha definitivamente dato spazio, responsabilità e fiducia alla point-guard che si appresta in estate a legarsi per i prossimi anni alla franchigia con un contratto da superstar, unita alla composizione di una delle più impattanti coppie difensive della lega, è sufficiente per poter dire che a Cleveland le ombre del passato e la tragica era post-LeBron James sono ormai solo un brutto ricordo. I Cavs sono giovani, ambiziosi e soprattutto hanno idee ben precise sul basket che intendono giocare. Playoff o meno, sono uno dei team del futuro.

Chicago Bulls: i fischi dei tifosi alla quarta sconfitta consecutiva per mano degli Hornets, il 25esimo record dal post All-Star Game, un preoccupante 2-21 contro le 4 migliori squadre di Eastern e Western Conference. Si potrebbe in parte giustificare il tutto con infortuni e assenze, visto che si parla di una delle squadre più prese di mira quest’anno, ma la spiegazione non reggerebbe comunque visto il livello di alcune prestazioni. I Chicago Bulls, primi a Est proprio alla pausa per la partita delle stelle, sono in caduta libera. E hanno conquistato in extremis e proprio per l’inopinata sconfitta dei Cavs contro i Magic un matematico sesto posto che ha però il sapore del fallimento dopo una prima parte di stagione che aveva risvegliato sogni di gloria in tanti dei suoi tifosi. L’infortunio di Lonzo Ball ha evidentemente spezzato l’incantesimo del team di Donovan, privato in un solo colpo del miglior difensore perimetrale della squadra e del giocatore in grado di armare le bocche da fuoco del team Zach LaVine e DeMar DeRozan, che hanno comunque dignitosamente tenuto botta negli ultimi due mesi ma ricorrendo a un basket diverso da quello gradevolissimo fatto vedere nella prima parte del 2021/22. Una tegola non da poco per una squadra che ha poi dovuto rinunciare a lungo all’energia di Alex Caruso e che solo da poche settimane ha riabbracciato quel Patrick Williams che pronti-via si era infortunato a inizio stagione. In attesa di scoprire chi sarà l’avversaria del primo turno e con la certezza che in ogni caso mancherà il più grande dei Ball, la missione più importante del GM Karnisovas può però dirsi compiuta: i Bulls, al completo, sono tornati ad essere una squadra da alta clarification. La seconda inizia a breve e sarà trattenere LaVine e convincerlo a sposare il progetto Bulls, magari intervenendo in post-season per arricchire ulteriormente il roster ed elevarlo al livello delle altre contender. Un passo alla volta, Chicago sta tornando nell’élite NBA.

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