Di Cesare Milanti
Il sole è tramontato da una ventina di minuti, ma il cielo sopra il Basso Tirreno è dipinto in quelle mille sfumature violacee che si possono ammirare in tante località marittime della nostra Penisola, e non solo. Perché il luogo nello specifico è in Sicilia, in provincia di Messina: un borgo di pescatori in principio anonimamente tranquillo, che dal 1978 ha trovato una ragione in più per distaccarsi dai tanti comuni che si sviluppano sulla costa: la pallacanestro.
Il sole è tramontato alle 20:23, ma il 17 giugno 2019 a Capo d’Orlando si è rientrati prima dalla giornata al mare. I piccoli hanno ormai terminato le scuole da una settimana abbondante, i maturandi avrebbero effettuato la prima prova scritta due giorni dopo e gli universitari si saranno presi una sera di svago dallo studio forsennato per la sessione d’esami estiva. È un lunedì, ma non è azzardato affermare che in molti si siano presi una giornata di ferie a lavoro. Perché è l’ultima chance per l’Orlandina, un’ancora di salvezza da calare per cercare un momento di serenità, l’occasione di aprire un varco per poi, eventualmente, pareggiare i conti.
Dei circa 13.000 abitanti - un numero che si amplifica nei mesi estivi, tra turisti e parenti in giro per l’Italia che tornano a casa -, sono in 3.508 a recarsi in Piazza Peppino Bontempo, formando una fiumana bianca e blu prima ai tornelli degli ingressi e poi sugli spalti del PalaFantozzi, l’evoluzione necessaria del campo in cui, nei primissimi anni del basket a Capo d’Orlando, si giocava all’aperto, nel cortile delle scuole elementari del paese. Un palazzetto, quello gremito il 17 giugno 2019, che ha applaudito beniamini di casa come Vincenzo Esposito, Gianmarco Pozzecco, Gianluca Basile, Matteo Soragna, Dominique Archie, Ryan Boatright e Drake Diener, giusto per nominarne alcuni. E che in questa serata si aggrappa ai talenti di Jordan Parks e Brandon Triche, entrambi oltre i 20 punti di media a partita, per riportare a galla una serie finale che sembra compromessa.
Dall’altra parte c’è la De’ Longhi Treviso di Massimiliano Menetti, che ha dominato la stagione regolare insieme alla Fortitudo Bologna e si è spinta fino all’ultima serie stagionale, proprio contro i siciliani. Una squadra che vanta Amedeo Tessitori, Matteo Imbrò - originario di Porto Empedocle, dunque con qualche motivazione in più -, Davide Alviti e tanti altri elementi di valore che ricopriranno un ruolo importante nella LBA degli anni successivi. Soprattutto, però, una compagine che a pochi giorni dal San Valentino 2019 aveva fatto innamorare i suoi tifosi ingaggiando letteralmente un fuoriclasse, nel senso che per la Serie A2 si trattava davvero di un colpo fuori scala, fuori categoria. Quella sera, il palcoscenico non se lo prendono né Parks né Triche, né tantomeno le migliaia di tifosi speranzosi di rivedere l’Orlandina ai piani alti della pallacanestro italiana: 3-0 per Treviso, perché dopo le vittorie casalinghe al PalaVerde, Gara 3 finisce 65-76. La decide David Logan.
La decide l’innesto invernale, una sorta di deus ex machina che aveva familiarizzato già abbastanza con il nostro campionato, per usare un eufemismo: figuriamoci quanto valido avrebbe potuto essere il suo contributo alla causa promozione per una piazza che di basket di altissimo livello si è nutrita molto a cavallo tra anni ’90 e primi anni ’00. Pare un regalo di Natale arrivato in ritardo, e il fatto che è venuto alla luce il 26 dicembre 1982 qualcosa dovrà pur dire. Sveliamo il suo tabellino in quella gara, la classica prestazione for the ages propria dei Professori - no pun intended - del gioco, mentre gli alunni restano a guardare, magari prendendo nota sul come sia possibile anche solo provare ad avvicinarsi al suo rendimento: 36 punti (8/8 dentro l’area e 6/12 dall’arco), 4 rimbalzi, 3 assist e 3 palle recuperate, 40 di valutazione complessiva. Glaciale, con l’obiettivo di chiudere la pratica ben fisso dal primo all’ultimo dei suoi 34’ trascorsi in campo. Un pistolero - visto il cappello che indosserà a fine partita, ricevendo il titolo di MVP delle Finali e bissando il premio di Miglior Giocatore della Coppa Italia LNP trovato dopo la vittoria contro Omegna - a pochi passi dal mare. Polvere da sparo nelle conclusioni dal perimetro prevista nella sceneggiatura del miglior Sergio Leone, a delineare l’ennesima dimostrazione di forza in una carriera da campione d’incassi.
Treviso torna in Serie A, dunque, e il protagonista di quella promozione si guadagna - e ci mancherebbe - un prolungamento del contratto per altre due stagioni. Dopo Sassari e Avellino, sarà la sua terza avventura nel massimo campionato italiano, la quarta se consideriamo anche una breve parentesi iniziale in Legadue con l’Edimes Pavia nel 2005, insieme a quello che sarebbe diventato il miglior italiano di sempre in NBA, Danilo Gallinari. Un’avventura, quella, iniziata con i classici dubbi che tormentano un giovane americano che si sposta a vivere dall’altra parte dell’Atlantico: “Quella mia prima esperienza europea con Pavia è stata un mix di alti e bassi. Era tutto nuovo per me, solo e molto giovane, quindi mi ci è voluto un po' per adattarmi alla cultura e a tutto ciò che mi circondava. Dovevo capire quali fossero le mosse giuste per me e per la mia carriera. All'epoca penso che si trattasse una buona scelta (eccome statisticamente, visto che chiuderà quella parentesi con 17.1 punti di media in 12 gare giocate, ndr); purtroppo l’allenatore e lo staff tecnico non sono stati così pazienti come necessario, visto che ero un rookie nella mia prima esperienza professionale all'estero”.
Un ambientamento, quello che ha imparato ad affinare nel corso di una carriera in cui conta esperienze professionali in 17 squadre diverse, alquanto necessario. E se ne avesse la possibilità, David Logan darebbe consigli ben più formativi al ragazzo che lasciava University of Indianapolis dopo quattro anni nei Greyhounds (“Sono andato a un piccolo college di Division II. Ho avuto una buona esperienza al college, mi è piaciuto il mio tempo lì. Ho giocato ad Indianapolis, in cui sono cresciuto, quindi sono stato vicino alla famiglia per tutti e quattro gli anni in cui sono stato lì, quindi è stato abbastanza buono. Ho ottenuto il meglio da me stesso ogni anno che ho giocato al college, il che mi ha permesso successivamente di produrre una buona carriera professionale”), di cui l’ultimo a 28.6 punti di media con il 41% da tre: “Ora è tutto molto diverso, perché hai la tecnologia necessaria per far sì che tu possa superare la nostalgia di casa. A quei tempi non c’era questa possibilità, quindi era dura. Voglio dire, niente Facetime con la tua famiglia e cose del genere. Allora era molto più difficile. Al David del 2005 vorrei solo dire "Fai tutto ciò che puoi e parla con i ragazzi che sono stati in Europa prima di te". Non sono riuscito a parlare con nessuno, a farmi un'idea di come doveva essere e cosa aspettarmi quando sarei arrivato qui. Vorrei solo dirgli di capire la sua direzione e quella del basket europeo in generale”. L’ha capito da solo, ma i passaggi sono stati necessari e lunghi. Insomma, il contrario del suo impatto in campo, specialmente in determinate esperienze della sua carriera.
Il David Logan che conosciamo oggi è, a 39 anni, una sicurezza per la buona totalità delle squadre del nostro campionato. Sarebbe decisivo in ogni squadra e ambiente, seppur con ovvi ruoli differenti in base alle ambizioni della determinata compagine; un po’ come accaduto in una delle sue prime grandi esperienze professionali, nel 2011/2012. Dopo una stagione in Israele, quattro in Polonia, dove prende il passaporto che gli consente di giocare EuroBasket 2009 in casa (“Qualcuno mi aveva suggerito di prendere il passaporto, non ricordo di preciso chi mi avesse instillato quest’idea: ci ho pensato un po’ su e alla fine ho deciso di giocare per la Polonia. Avevo già disputato qualche stagione lì, quindi conoscevo i ragazzi che giocavano con la Nazionale. È stata una bella fase della mia carriera”), e uno al Baskonia, nella sua prima annata Eurolega al servizio di Dusko Ivanovic, arriva la chiamata dei campioni d’Europa in carica. È il Panathinaikos di Mike Batiste, Dimitris Diamantidis e Sarunas Jasikevicius, con in panchina Zeljko Obradovic e Dimitris Itoudis: “Giocare per il Panathinaikos ad OAKA è stata un'esperienza incredibile, probabilmente la migliore atmosfera in cui ho giocato in tutta la mia carriera, con il Maccabi Tel Aviv subito dopo. Quello era un gruppo fantastico, ho imparato molto da due compagni di reparto come Diamantidis e Saras: erano più grandi ed esperti di me e potevano già vantare una grandissima carriera. Quella stagione in Grecia è stata fantastica: ho giocato per uno dei migliori allenatori d’Europa e siamo arrivati alle Final Four di Eurolega. Anche se non l’abbiamo vinta, non me ne pento. Avrei voluto che il nostro percorso fosse stato diverso, non perdere la prima partita con il CSKA Mosca. Sarebbe stato davvero bello vincere, ma non rimpiango nulla di quello che ho vissuto”.
Come anticipato, il suo non è un ruolo da protagonista; sia al Baskonia che al Pana partirà dietro nelle gerarchie: “Non ero la prima scelta offensiva in quelle squadre, quindi a volte dovevo farmi trovare pronto in uscita dalla panchina, quando la squadra aveva bisogno di me. La mia esperienza in Eurolega mi ha visto essere e rimanere pronto, agendo come un buon professionista”. In quelle che saranno le prossime tappe del suo percorso, però, le cose iniziano a cambiare: al Maccabi prima e all’ALBA Berlino poi - seppur in Eurocup con i tedeschi - sono sempre più le occasioni in cui è il prodotto di UIndy a togliere le castagne dal fuoco. Chiude entrambe le esperienze sopra gli 11 punti di media a partita (13.4 nella capitale tedesca) e diventa l’uomo delle Coppe: vince in Grecia, Israele e Germania, dove aggiunge anche la Supercoppa. Con la squadra allenata da Sasa Obradovic, poi, disputa un’ottima Eurocup, in cui incontra la Virtus Roma di Jimmy Baron e Trevor Mbakwe, oltre a una Dinamo Sassari che si affaccia per la prima volta nella sua storia alla pallacanestro continentale. Contro i sardi vince in entrambe le occasioni, siglando 14 punti in casa e 18 punti in trasferta, al PalaSerradimigni. Un buon preludio al capitolo principe del suo romanzo.
Logan, Sosa, Sanders, Lawal, Dyson, Brooks. E poi Kadji, Mbodj, Sacchetti, capitan Devecchi e tanti altri protagonisti, con Meo in panchina. Una squadra che è entrata nella storia, il gruppo che ha reso David Logan il killer cestistico più spietato d’Italia. La tua squadra del cuore giocava contro la Dinamo Sassari? In qualunque weekend, in qualsiasi ambiente, eri pronto a non digerire il pranzo o la cena della domenica, perché l’eventualità che David Logan salisse in cattedra erano sempre molto alte. È successo durante la stagione regolare, ma soprattutto in Coppa Italia e playoff. A Desio, la Final Eight dei sardi si conclude con un 94-101 contro i campioni d’Italia in carica dell’Olimpia Milano: Logan ne piazza 25 (“Una delle migliori partite della mia carriera, di sicuro”) e contribuisce alla vittoria del secondo titolo stagionale dopo la Supercoppa Italiana dell’ottobre precedente, sempre contro i biancorossi.
Saranno tre, perché a giugno i Giganti diventano tali anche in campo: superate Trento e Milano, arriva una finale Scudetto epica contro Reggio Emilia. Ognuna delle due squadre vince a casa propria - con una Gara 4 in cui il leader americano ne infila 17 consecutivi e una Gara 6 immensa dopo tre supplementari, che Logan gioca in uno stato di grazia surreale -, finché non si arriva alla decisiva Gara 7 del 26 giugno 2015, in cui gli uomini di Meo Sacchetti portano a casa un tricolore e un Triplete che sanno di storia: “È stato un anno pazzesco, Avevamo in squadra un sacco di persone davvero competitive e fisiche, quindi spesso abbiamo avuto tensioni con gli avversari nelle partite. La cosa più importante che ricordo di quel gruppo, però, è che quando arrivava il momento di giocare una partita importante, ogni volta che avevamo bisogno di una vittoria, eravamo sempre lì l'uno per l'altro: tutti si compattavano per raggiungere il risultato. Non conoscevo nessuno dei ragazzi prima dell'inizio della stagione, ma ora siamo tutti in contatto: io e Jeff (Brooks, ndr) viviamo a un'ora e mezza di distanza l'uno dall'altro negli Stati Uniti così ogni estate ci vediamo con le nostre famiglie. Ho visto molto Edgar (Sosa, ndr), a Orlando. Parlo ancora molto con Shane e Jerome (Lawal e Dyson, ndr)”.
Di tutti quelli che ha nominato, non rimane nessuno in Sardegna l’anno successivo: Brooks va all’Avtodor Saratov, Sosa agli iraniani del Petrochimi Bandar Imam, Lawal al Barcellona, Dyson a Torino e Sanders a Milano. Lui rimane e fa in tempo a confezionare un altro cioccolatino contro Reggio Emilia: 37 punti e 7/10 dal perimetro, in quella che è la sua miglior prestazione realizzativa in Italia. Sarà un’annata in cui dimostrerà, ancora una volta, quanto il suo contributo fosse fondamentale, se qualcuno non l’avesse ancora compreso. Ma il 2015 è irripetibile e Sassari si sgretola proprio contro Reggio Emilia: 3-0 ai quarti di finale, l’ultima avventura di David Logan con la maglia della Dinamo… o forse no. Prima del 36enne Logan arrivato a Treviso, ha aggiunto altre location al passaporto: in Lituania con il Lietuvos Rytas, Avellino, in Francia con Strasburgo e in Corea del Sud con il Busan KT Sonicboom.
Poi due anni in Veneto, fino alla decisione dell’estate 2021: “Ho vinto molto a Sassari e non ho avuto problemi quando ho lasciato la Dinamo nel 2016. Quando mi hanno contattato perché volevano che tornassi, per me non è stato un problema, anzi: si è trattato di una scelta facile. Ho giocato in Italia per sei o sette anni, mi piace dimostrare il mio valore in questo campionato e vivere in Sardegna è magnifico”. Un ritorno forse inaspettato, ma esattamente come altre tante tappe del suo percorso, necessario; l’arrivo in un gruppo con svariati elementi di talento, in cui David Logan occupa il ruolo della chioccia per antonomasia in uscita dalla panchina.
E se all’inizio di questo 2021/2022 gli isolani hanno vissuto qualche battuta d’arresto, dall’arrivo di Piero Bucchi in panchina il rendimento dei sassaresi si è cristallizzato tra vittorie convincenti e sconfitte contro compagini attrezzate, o comunque per pochi punti. È la storia del campionato in corso, in cui le differenze di talento tra diverse squadre si sono assottigliate, come analizza lo stesso Logan: “In questo momento, la classifica è cortissima: vinci due partite e sei in un’ottima posizione, ma se ne perdi due sei fuori dai playoff. È la parte più importante della stagione, quindi dobbiamo arrivare con lo stato di forma migliore possibile. Penso che abbiamo avuto un inizio di stagione difficile e adesso ci stiamo riprendendo: ora siamo forti mentalmente”. Lo si è visto nella vittoria contro la capolista Milano, con David Logan che ha dimostrato ancora una volta come i meneghini siano la sua vittima preferita: 25 punti con un massimo in carriera di 8 triple realizzate e, grazie alla zampata nel finale di Gerald Robinson, una vittoria chiave in ottica playoff. Una prestazione arrivata a 39 anni, 3 mesi e 8 giorni, che fanno di lui il più anziano a siglare 25 punti in una partita con la maglia Dinamo Sassari.
Con il Banco di Sardegna, dopo la sconfitta in trasferta contro Pesaro, si appresta ad affrontare quello che è il suo recente passato, la Treviso che David Logan ha riportato nuovamente in Paradiso passando per il mare. Una parabola, la sua, in contrasto con quella discendente delle sue conclusioni da lontano, nonostante l’età; in un’esperienza che per la stragrande maggioranza dei suoi coetanei avrebbe significato i primi passi sul viale del tramonto, il nativo di Chicago ha preso la palla al balzo per l’ennesima sfida: “La promozione dalla A2 è stato uno dei momenti migliori: aiutare Treviso a raggiungere la Serie A era il mio obiettivo fin dall’inizio, volevo mettermi alla prova con questa sfida. Dal mio arrivo, siamo stati in grado di avere una buona seconda parte della stagione e alla fine vincere il campionato a Capo d’Orlando”. Se quei primi mesi hanno significato l’antipasto e la prima stagione ai piani alti con Treviso un primo abbondante, è con il secondo anno che arriva l’abbuffata: 17.3 punti a gara tanto in regular season quanto nelle tre partite di playoff contro la Virtus Segafredo Bologna, con le percentuali da tre che passano dal 39% al 44.4%, perché se la palla scotta in un’atmosfera che si fa bollente, David Logan non cambia affatto il suo essere glaciale: “Sono stati tre anni molto felici. Non conoscevo Max (Menetti, ndr) prima di firmare lì, avevo sentito buone cose sul suo conto, ma non lo conoscevo personalmente. Abbiamo avuto un buon rapporto e la società mi ha sempre trattato perfettamente, quindi non posso lamentarmi affatto.”.
La costa è diversa, ma a Sassari il nativo di Chicago si è confermato nuovamente come uno dei migliori realizzatori del campionato, nell’anno in cui le candeline da spegnere saranno 40. Una stagione oltre la quale c’è l’ignoto: “Non so cosa farò dopo quest'anno, se continuerò a giocare o no. Penso che molto dipenderà da come si sente il mio corpo a fine stagione, oltre alle offerte che arriveranno dalle squadre interessate a me. Aspetterò e vedrò in estate, non voglio prendere una decisione affrettata ora. Ne parlerò con la mia famiglia, vediamo come va. Penso che ad ogni modo, finita la mia carriera da giocatore, rimarrò nel mondo del basket: mio figlio sta giocando ora, quindi vuole che alleni la sua squadra (ride, ndr)”.
Un’annata, quella del suo ritorno a Sassari, che vuole concludere nel migliore dei modi, a partire dalla partita odierna. All’andata, i suoi 22 punti erano stati decisivi nella vittoria esterna dei sardi, con Logan premiato come miglior giocatore della settimana in LBA dopo le due triple glaciali e decisive nel finale di partita: “È sempre stimolante affrontare il tuo passato, perché vincere contro una tua ex squadra è soddisfacente: quella tripla contro Treviso la ricorderò a lungo, così come quella di tabellone contro Reggio Emilia in Finale Scudetto (se non sapete di cosa si parla, andate a recuperare subito questa prodezza al termine del primo overtime di quell’infinita Gara 5, ndr)”.
David Logan ha indossato tante vesti in una carriera che ha dell’infinito. Lo studente universitario con i panni del fuoriclasse in un panorama troppo esiguo per il suo valore come quello della Division II; quello del rookie in Europa, comprensibilmente spaesato fuori dal campo ma con l’obiettivo stabile quando dagli spogliatoi si corre verso il parquet. Ma anche il corpo estraneo nella Nazionale polacca, la spugna che apprende i segreti dei più grandi in Eurolega e il killer spietato che mette al tappeto ogni avversario gli si frapponga, sia affacciato sul Tirreno che con vista sull’Adriatico. Adesso, accumulato un certo grado di esperienza alle spalle, il Professore si è preparato il corso sul finale di stagione del Banco di Sardegna Sassari: all’esame sono ammessi solo i frequentanti, la prima lezione va in onda contro la “sua” Treviso.