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LBA Longform - Stefano Gentile e la magia di Sassari: “Dinamo simbolo di una intera regione. Non c’è posto migliore di qui”

L'esterno italiano è pronto per la terza avventura ai playoff con il Banco di Sardegna

LBA Longform - Stefano Gentile e la magia di Sassari: “Dinamo simbolo di una intera regione. Non c’è posto migliore di qui”

Ci sono tappe, nella carriera di un giocatore, che segnano indelebilmente, condizionando quello che sarà il futuro tanto della squadra quanto del giocatore in questione. Pensiamo a Jack Devecchi, nato a Sant’Angelo Lodigiano ma ormai sassarese DOC, arrivato in prestito in Sardegna nel 2006/2007 e inizialmente destinato a tornare all’Olimpia Milano, per poi rientrare sull’isola decidendo di non abbandonarla mai più. Prendendo in analisi proprio la Dinamo Sassari, si possono trovare tanti altri esempi simili; basti pensare a David Logan, che dopo due stagioni da ragazzino a Treviso decide di tornare ancora una volta laddove si era consacrato nell’annata del Triplete. Oppure, a chi è arrivato in Sardegna nel 2018 per l’ennesima avventura da nomade nella sua carriera, e si è completamente innamorato di questa terra, dei suoi colori e della passione per la pallacanestro: “Credo che la forza della Dinamo sia quella di rappresentare un’isola e un popolo che è molto simile al mio: sottovalutato e orgoglioso, che ha voglia di rivalsa e di dimostrare le proprie qualità. Io mi sento anche un po’ così, per quanto riguarda la mia attitudine. Per motivi logistici, vivi la squadra e l’annata come se fossi in famiglia, quindi sono legatissimo a tutte le persone che sono passate per qua. Tra di noi abbiamo un ottimo rapporto, perché passiamo tanto tempo e viaggiamo insieme; si crea un’unione che va oltre lo sport e il lavoro, si sviluppano amicizie fortissime”. Alcune di queste potrebbero essere le parole di Jack Devecchi, di Stefano Sardara, di Gianmarco Pozzecco: tutti protagonisti del recente passato e del presente del Banco di Sardegna Sassari. Invece, a pronunciarle è Stefano Gentile, ormai anima e cuore di una squadra nella quale ha raccolto diverse soddisfazioni in queste quattro stagioni in mezzo al Mediterraneo.

E in effetti, da quando il 25 giugno 2018 ha firmato il contratto per giocare al PalaSerradimigni, ne sono cambiate di cose. La squadra che si apprestava a vivere la stagione 2018/2019, quella che sarebbe valsa la vittoria della FIBA Europe Cup, era iniziata con Stefano Esposito in panchina, alla guida di un gruppo in cui spiccavano Achille Polonara e Marco Spissu, oltre a nuovi arrivati come Jack Cooley, Terran Petteway, Jaime Smith e Rashawn Thomas. Tutti questi hanno salutato, mentre il playmaker con la numero 22 si vede ancora da quelle parti, e continuerà a vedersi, visto il rinnovo fino al 2025 annunciato a gennaio: “Nella carriera di un giocatore sono importanti tante cose, e come principali ci sono la stabilità e la sicurezza del proprio lavoro e della propria famiglia. In questo momento, la situazione in cui mi trovo è ideale. Stando più tempo ho sviluppato dei rapporti anche esterni alla pallacanestro, ma sono a mio agio con tutti anche all’interno della società. Il fatto di poter continuare il mio percorso in una squadra e in una città come Sassari è una bellissima cosa, per me, la mia famiglia e per la mia carriera. Nel 2025 avrò 35 anni, quindi la fine è più vicina dell’inizio. Mi farebbe sicuramente piacere continuare, perché so che qui si sta bene e si lavora bene. Il mio lavoro è apprezzato e la mia famiglia si trova divinamente qui a Sassari. Sicuramente la società ha sempre ambizione, voglia di fare bene e rimanere al top. Non c’è posto migliore. Non vedo per quale motivo non potrei rimanere il più possibile, finché mi reggono le gambe”.

Quelli che inizieranno oggi contro la Germani Brescia saranno i terzi playoff disputati da Stefano Gentile con questa maglia, e al 99% sarebbero stati quattro se una pandemia non avesse sconvolto le nostre vite nel 2020. Un traguardo a tratti insperato durante la stagione, ma che si è definitivamente concretizzato con una serie di risultati importanti nel girone di ritorno, una volta che la filosofia di Piero Bucchi si è definitivamente instillata nel gruppo: “Con lo staff abbiamo fatto una sorta di calendario dove c’erano tutte le partite e ci siamo resi conto che avevamo necessità di vincerne un certo numero per poter ambire a fare i playoff. Abbiamo lavorato sodo in palestra e ci siamo focalizzati su quell’obiettivo, con un grande livello di concentrazione per ogni singola partita”. In questa fondamentale striscia di successi nel finale di stagione, c’è stata anche la prorompente vittoria 108-73 contro la Virtus Bologna, che qualche giorno dopo avrebbe alzato al cielo l’Eurocup: “Andare a Varese a vincere non era scontato e noi avevamo bisogno di due punti certi contro la Virtus Bologna per mantenere il sesto posto. Se finisci settimo o ottavo, al primo posto incontri Milano e Virtus, che sono le due squadre meglio equipaggiate del campionato e tutto diventa più complesso. Avevamo la possibilità con due punti di mantenere il sesto posto e addirittura con quattro di ambire a qualcosa di più. Nonostante fosse la Virtus, sapevamo che stavano preparando la finale di Eurocup e sarebbe stata una partita dove se avessimo approcciato con la giusta intensità, loro avevano altri interessi. Avevamo questa motivazione in più dei due punti fondamentali”. Una partita speciale per Stefano Gentile, che l’ha vissuta da ex. Dopo la conclusione del suo travagliato biennio a Reggio Emilia, infatti, il nativo di Maddaloni aveva deciso di scendere in A2 per aiutare i bianconeri a superare i playoff e tornare ai piani alti della pallacanestro italiana, dando via all’ennesimo ciclo vincente nella storia di questa società: “La realtà dei fatti è che a Reggio non c’era più posto per me, nel senso che avevo poco spazio e la situazione si era incrinata. Avevo voglia di nuovi stimoli e nuove sfide: nel momento in cui si è fatta avanti la Virtus Bologna, con il progetto che avevano e che è stato portato avanti nel tempo in maniera sempre più ambiziosa, per me è stata una scelta facilissima. Allo stesso tempo, a livello umano mi è dispiaciuto lasciare la situazione in sospeso a Reggio Emilia, però onestamente era la scelta da fare per la mia carriera”.

Dietro a quel “lasciare la situazione in sospeso a Reggio Emilia”, c’è un’esperienza partita bene, incrinatasi più e più volte ma con alcune soddisfazioni lungo il cammino, per poi naufragare per colpe né del diretto interessato né della società. Due stagioni in cui Stefano Gentile ha visto il parquet del PalaBigi meno del previsto: “Nella stagione precedente eravamo arrivati in finale Scudetto, vincendo la Supercoppa Italiana con Reggio Emilia. I due anni con la Reggiana sono stati i più difficili nella mia carriera, perché ho subito tanti infortuni. Sono arrivato all’inizio della prima stagione dopo un intervento e stavo bene, ma con il doppio impegno non sono riuscito a mantenere la forza nella mia gamba; quindi, ho dovuto rifare un altro mese di stop. In semifinale Scudetto stavo giocando da protagonista ma mi sono strappato, quindi niente finale. L’anno dopo idem: mi sentivo bene e la squadra girava benissimo, eravamo secondi in classifica, poi a Varese mi sono distrutto la caviglia e sono rimasto fuori quattro mesi”. Tornando all’attualità, c’è un suo ex compagno di squadra che ora troverà di fronte tanto al PalaLeonessa quanto al PalaSerradimigni, in questo quarto di finale biancoblu tra Germani Brescia e Banco di Sardegna Sassari: l’MVP del campionato, Amedeo Della Valle. Per il trascinatore assoluto dei lombardi, il figlio di Nando non ha che ottime parole da spendere: “Mi ricordo benissimo che dopo quel mio brutto infortunio a Varese mi scrisse un bel messaggio, mi venne a trovare. Con Amedeo ho ottimi ricordi: abbiamo vinto una Supercoppa e fatto una finale Scudetto insieme. Purtroppo, come detto, il mio periodo di Reggio è stato costellato da infortuni e problemi fisici; quindi, non sono riuscito ad avere continuità: questo un po’ mi dà rammarico, perché quella squadra era molto forte, con una bella ossatura italiana. Era bello, c’era tutto per fare bene e ci siamo riusciti. Ho un ottimo rapporto con lui”.

La realtà dei fatti è che Stefano Gentile, che si è innamorato di questo sport quando papà si era spostato nell’Atene biancoverde (“Il basket non era nelle nostre ambizioni, ma una volta arrivati ad Atene ci siamo avvicinati anche noi: la cultura cestistica e la passione che si respira attorno al Panathinaikos, 20.000 persone a OAKA… Lì è iniziata la nostra passione per la pallacanestro e il mio cammino verso farlo diventare un lavoro”), ha sempre vissuto in palcoscenici in cui, bene o male, si puntava sempre verso l’alto. È un esempio l’annata 2013/2014, con la Cantù di Stefano Sacripanti, con Joe Ragland, un giovane Awudu Abass e Pietro Aradori: “Probabilmente a livello numerico può essere stata la migliore in carriera (ha viaggiato a 10,4 punti di media tirando con percentuali da 92% ai liberi e 45% dal campo, ndr). Non la considero la mia migliore stagione in carriera, perché quelle in cui sono riuscito ad arrivare fino in fondo o ad alzare un trofeo sono quelle che reputo le migliori: penso a Reggio Emilia, a Sassari, anche le promozioni con Virtus Bologna e Casale Monferrato. In quell’anno lì c’era un connubio perfetto tra italiani e stranieri, talento e atletismo; siamo andati in quei playoff concentrati e consapevoli che avremmo potuto fare molto bene. Il 3-0 contro la Virtus Roma è stata sicuramente una grandissima lezione per me, nella prima volta che mi affacciavo ai playoff in carriera in maniera importante e da protagonista, con una squadra di alto livello. È stata una grandissima esperienza fatta sul campo, che mi sono portato poi avanti nelle stagioni successive, imparando cosa vuol dire giocare i playoff, dove tutto quello che hai fatto in regular season conta relativamente poco”.

Quell’annata a Cantù era arrivata dopo che nel 2012/2013 era tornato a vestire i colori indossati da ragazzino, quando veniva svezzato in quella che era stata la bacheca dei trofei di Ferdinando Gentile: “Caserta l’ho sempre vissuta come se fosse la mia patria, perché ho vissuto l’epopea di mio padre con la Juvecaserta e crescendo tutti mi parlavano di quello. Ho sempre avuto questa grande passione per quei colori, l’ho sempre vista come la mia squadra. Ho fatto il mio primo contratto da professionista con loro e poi dopo ci ho giocato qualche anno dopo, con un ruolo un po’ diverso. Sono stato molto contento di continuare quello che un po’ ha fatto mio padre. Mi faceva molta specie andare al palazzetto e vedere la sua maglia ritirata, allenarmi tutti i giorni al PalaMaggiò, per me un po’ un luogo sacro. Sono stato molto fortunato e orgoglioso di fare quest’esperienza, e ora che la Juvecaserta non c’è più mi sento ancora più fiero”. Caserta che, sommata a tutte le altre squadre per cui ha giocato in carriera, rappresenta solo una delle dieci tappe nel percorso di Stefano Gentile, tra le già citate Cantù, Virtus Bologna e Reggiana, passando per Trento e Casale, arrivando all’attualità con Sassari. Una dimensione cestistica quasi da nomade, che ora sta cercando di accantonare visto l’affetto che percepisce in Sardegna: “Il fatto di cambiare tanti ambienti e situazioni, sia dentro che fuori dal campo, mi ha aiutato tantissimo a crescere come persona e come atleta nel maturare e confrontarmi con nuovi pubblici e realtà. Da quel punto di vista sono stato molto fortunato e sono grato a ogni luogo in cui sono stato. Penso di aver lasciato un bel ricordo ovunque, ogni volta che torno ho amici e tifosi che mi apprezzano. Quindi sono fiero e contento di quello che sono riuscito a fare della mia carriera in tutte le squadre in cui ho giocato. È un po’ sintomo dei tempi il fatto che sia più difficile e raro rimanere legato per tanto tempo ad una squadra, perché ci sono dei cicli, le situazioni in campo e societarie sono sempre in divenire. Mi piace pensare che sono stato in tante grandi piazze, bene o male all’apice di quello che quella società era riuscita a fare nell’ambiente cestistico. Sicuramente sono stato anche fortunato a trovare un posto come Sassari, che ha una continuità e progettualità non comune al panorama cestistico italiano, per continuare a crescere e dare quello che posso, cercando di raggiungere gli obiettivi più alti possibili in una squadra competitiva. È la situazione perfetta”.

In questa serie playoff, non ci sarà la possibilità di vedere all’opera i due fratelli Gentile uno contro l’altro, visto che l’Happy Casa Brindisi non è riuscita a piazzarsi tre le prime otto del campionato. Di sfide ne hanno vissute tante, sia da avversari (per la stragrande maggioranza) che da compagni di squadra, in quell’annata con la Virtus Bologna 2017/2018 citata in precedenza. E se a Basket City è durata solo un anno, anche in quel caso fuori dai playoff, entrambi hanno avuto modo di giocarsi tante partite decisive. Alessandro, in particolare, ha alzato al cielo uno Scudetto che ha chiuso un ciclo aperto da 18 anni: “Ricordo benissimo i giorni dello Scudetto dell’Olimpia nel 2014, eravamo lì a sostenerlo con tutta la famiglia. Ho partecipato alla cena di festeggiamento nonostante io fossi “avversario”. Nel momento in cui finisce la stagione per uno dei due, credo che l’altro sia il primo tifoso assoluto a prescindere da quello che è successo in stagione. Ero stracontento per lui, aveva fatto dei grandissimi playoff ed era una cosa che Milano cercava da anni. Ha fatto un qualcosa di storico, riportando lo Scudetto a Milano da capitano dopo che l’ultimo era stato vinto con mio papà da capitano: solo questo vale una carriera. Ero molto felice nonostante quello che era successo a me nei playoff con Cantù. Quando abbiamo giocato insieme, ci siamo trovati benissimo, perché ci conosciamo come noi stessi. Siamo cresciuti insieme, sappiamo benissimo a livello mentale tutti i nostri aspetti. Sicuramente vincere qualcosa insieme darebbe quel tocco in più di gioia nel poter festeggiare insieme un traguardo: chissà che non succeda, siamo ancora giovani. O meglio, lui è ancora giovane”.

Stefano Gentile sdrammatizza sugli anni che si porta sulle spalle, ma la verità è che nell’anno delle 33 candeline, può risultare ancora un fattore in Serie A, specialmente quando la palla scotta nei playoff. In più, Sassari può contare sull’apporto di altri due esperti d’eccezione. Il primo, tornato a stagione in corso dopo aver lasciato gli ucraini del Prometey dopo lo scoppio della guerra, e il secondo rientrato a Sassari, dove aveva lasciato ricordi dolci come il miele: Miro Bilan e David Logan. Anche il numero 22, ovviamente, è convinto che con loro la Dinamo possa avere una marcia in più: “Miro non lo devo presentare io, sicuramente è uno dei centri più dominanti del campionato. Ha una capacità realizzativa e una conoscenza della pallacanestro tipica dei giocatori dell’est, dei giocatori slavi che mangiano pane e pallacanestro da quando sono nati. È una grandissima aggiunta alla nostra squadra, sia dal punto di vista tecnico-tattico che da quello umano. Sono stato contentissimo quando ho saputo che sarebbe potuto arrivare, nonostante mi dispiacesse un po’ per Mekowulu, un ottimo ragazzo che ha sempre provato a fare il suo meglio. Per quanto riguarda David, penso che potrà giocare fino all’oltretomba. Io che ho 32 anni, e lui 39, quasi 40, lo guardo e dico: bene, l’hanno costruito in laboratorio e il mio fisico non mi permette di fare quello che fa lui. Sono un po’ invidioso, ma allo stesso tempo credo che potrà giocare tutto il tempo che vuole. Mi farebbe molto piacere se potessi condividere ancora una stagione con lui, magari più di una. Speriamo che ci voglia fare questa grazia. Dipenderà sicuramente da quello che vuole fare lui. Arrivati a quest’età, mi rendo conto che l’aspetto familiare diventa sempre più importante”.

E quindi ora via con un quarto di finale che non ci si può perdere e in cui il classe 1989 non vede l’ora di cimentarsi, soprattutto per il valore dell’avversario: “Brescia è la squadra rivelazione del campionato, perché con un organico nuovo e rivoluzionato hanno fatto una grandissima stagione. Faccio i complimenti a loro e soprattutto a Marco De Benedetto, GM dell’Anno, che conosco molto bene dai tempi di Casale. Hanno fatto un ottimo lavoro con lo staff e con Alessandro Magro nel costruire una squadra che avesse fame, consapevolezza ed esperienza. Noi proveremo a rovinargliela un pochettino questa fantastica stagione: vediamo se ci riusciamo”. Tentar non nuoce, e Stefano Gentile non è nuovo a palcoscenici del genere. Orgoglioso, come il popolo che rappresenta, e voglioso di rivalsa.

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