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LBA Longform – La storia di Guglielmo Caruso: “Qui a Varese si è creato un contesto ideale per i giovani come me”

Dalla provincia di Napoli alla California, oggi all’Openjobmetis per imparare da Luis Scola

LBA Longform – La storia di Guglielmo Caruso: “Qui a Varese si è creato un contesto ideale per i giovani come me”

“Io quasi quasi prendo il treno e vengo, vengo da te. Il treno dei desideri, nei miei pensieri all'incontrario va” cantava Adriano Celentano nella celebre “Azzurro”. Non è una citazione presa a caso, così come non lo è il colore scelto per rappresentare Guglielmo Caruso, giovane stella della nostra Serie A nato in un giorno storico per la pallacanestro – appunto – azzurra. Il 3 luglio del 1999 dev'essere stato un momento davvero magico per la famiglia Caruso: la nascita di un figlio è una gioia indescrivibile difficile da paragonare a qualsiasi altro traguardo raggiunto nella propria vita; a Parigi quella stessa sera, l'Italia allenata da Bogdan Tanjevic era sul tetto d'Europa dopo aver battuto la Spagna 56-64 e Gregor Fucka veniva premiato come MVP della competizione.

“Ho avuto la fortuna di giocare per tutte le selezioni della nazionale, dalle under alla senior giocando le competizioni più importanti ed è una cosa che ti riempie di orgoglio. La mia fortuna è quella di aver potuto anche giocare con i ragazzi più grandi (1998) conquistando un bronzo all'europeo di categoria e successivamente l'argento al mondiale; sono stati momenti molto importanti per la mia carriera perché mi hanno permesso di lavorare sul gioco non solo durante la stagione, ma anche durante l'estate ed infatti queste esperienze mi hanno poi spinto a prendere la decisione di andare negli Stati Uniti, una scelta che probabilmente senza la nazionale non avrei preso. Sono felice di aver potuto vivere l'esperienza azzurra dai 14 anni fino alla convocazione con la senior nell'estate 2021, una soddisfazione che ti spinge a lavorare di più perché una volta arrivato lì capisci che un giorno potrai far parte stabilmente di quel gruppo. In futuro mi piacerebbe raccogliere il testimone di giocatori come Melli, Ricci, Tessitori, ragazzi con cui ho avuto il piacere di allenarmi durante i raduni e che nella loro carriera hanno vinto tanto.”

Il colore azzurro appartiene al ragazzo partenopeo cresciuto con il Vesuvio sullo sfondo contornato dal cielo e dal mare di una Napoli in festa; una città che vive per il calcio e con il mito di Maradona difficilmente riesce a dare spunti per appassionarsi alla pallacanestro, soprattutto quando sogni di diventare un calciatore perché ancora nessuno ti ha fatto scoprire come ci si sente con una sfera arancione tra i polpastrelli.

“Fino a 11/12 anni giocavo a calcio, perché a Napoli è difficile che un bambino non sogni di diventare un calciatore. Poi ho avuto la fortuna di avere un paio di amici tra la fine delle elementari e le medie che mi convinsero a provare la pallacanestro, inoltre il fatto che a 11 anni ero già un po' più alto rispetto ai miei coetanei mi ha spinto a dare una chance a questo sport per vedere fino a dove potevo arrivare. Infatti devo ringraziare quei miei amici che mi hanno convinto a provare il basket, uno sport che fino a quel momento quasi non sapevo nemmeno esistesse e per cui non avevo minimo interesse tanto ero offuscato dalla voglia di giocare a calcio. La passione è rimasta, ma poi ho scoperto di poter amare due sport allo stesso tempo: il calcio da tifoso, il basket perché oltre a piacermi mi stava facendo capire che effettivamente era la strada giusta da percorrere e mi stava dando dei risultati”.

La scoperta della palla a spicchi porta Guglielmo Caruso a pensare in grande, a quel famoso treno dei desideri di cui parla Adriano Celentano: così dai parquet della provincia di Napoli un giovane adolescente viene notato e convinto a trasferirsi in provincia di Torino dove continua gli studi e i progressi con la sua nuova passione.

“A 14 anni ho deciso di trasferirmi a Torino e proseguire lì la mia vita. Ho avuto la fortuna di trovare in coach Vincenzo Di Meglio una seconda figura paterna e in quegli anni non fosse stato per lui probabilmente oggi non giocherei in Serie A. Mi ha preso sotto la sua ala, mi ha fatto migliorare e non mi ha mai fatto mancare nulla; insieme a lui anche Andrea Bausano che era il direttore sportivo in quel momento sono state due figure fondamentali. Grazie a loro e alla fiducia che hanno riposto in me sono anche arrivate le prime convocazioni in nazionale, oltre alle soddisfazioni di squadra con la vittoria dello scudetto U20 sotto età. Dopo l'esperienza a Torino ho capito di essere pronto per una nuova esperienza perciò volevo andare al college negli Stati Uniti, ma prima dovevo finire il liceo e così una volta abbandonate le giovanili ho debuttato con Napoli – neopromossa in A2 – dove ho trovato libertà di esprimermi nonostante venissi da un infortunio alla spalla; terminata la stagione nella serie cadetta sono andato a Santa Clara in California per frequentare il college, un'esperienza incredibile anche se macchiata dal Covid e da un infortunio alla gamba.”

La pallacanestro diventa una seconda pelle e sebbene il detto dica “Quando si va a Napoli si piange due volte: quando si arriva e quando si va parte”, Guglielmo lascia ancora la sua città natale e decide di volersi misurare con il basket oltreoceano diventando Willie (come verrà soprannominato il California). Non è la destinazione, ma il viaggio ad incuriosire il nostro protagonista: la NBA è un sogno per tutti, purtroppo però una realtà per pochi; tuttavia Caruso si dimostra uno studente del gioco e vuole apprendere più segreti possibili da come viene concepita la palla a spicchi nel continente americano.

“Mi attraeva parecchio l'idea della pallacanestro americana: la prima cosa che ti viene in mente è la NBA, poi pensi a tutti gli Stati Uniti, ai college e anche grazie ai social media riesci ad assaporare un po' di ciò che si respira laggiù. È un mondo affascinante e io appena ho saputo di avere l'occasione di poter intraprendere quella strada anche fosse stato per un solo anno, l'idea mi ha attratto a tal punto di accettare quel tipo di sfida. Inoltre io ero giovane, un prospetto ancora acerbo e di sicuro non ancora pronto per giocare in Serie A, perciò mi sono messo di fronte ad una scelta: continuare in A2 sperando di crescere e aspettando l'occasione giusta oppure fare un'esperienza diversa, imparare nuove cose, un nuovo modo di approcciare al gioco; alla fine quando sei giovane hai ambizione e non ti poni limiti, magari giochi in NBA o magari no però a quell'età di provare tutto se hai il desiderio di arrivare il più in alto possibile”.

Il ritorno in Italia è questione di tempo: la pandemia e la fine dell'esperienza a Santa Clara riportano Willie nel Belpaese che lo accoglie a braccia aperte; senza avere ancora fatto una presenza da professionista debutta con la nazionale di coach Sacchetti nell'amichevole contro la Tunisia dove segna anche 4 punti. A 22 anni il momento di essere chiamato 'giovane' sta per finire e nonostante lo scetticismo di lanciare nella mischia giocatori ancora inesperti, Caruso trova nella Openjobmetis Varese una famiglia pronta a farlo crescere e migliorare. La città trasuda pallacanestro da tutti i pori, la società è storica e vincente ma ha in mente un progetto in cui i prospetti sono al centro dell'attenzione.

“Insieme a Matteo (Librizzi, ndr) e Nicolò (Virginio, ndr) l'anno scorso abbiamo vissuto quella situazione in cui magari si giocava poco e ci si allenava solo, ma spesso anche allenarsi e basta può fare la differenza. In altre squadre i giovani magari sono aggregati alla prima squadra però nemmeno si allenano con loro, perché vengono date priorità ad altri membri come gli americani o i veterani e così i più giovani rimangono a guardare senza poter sfruttare anche solo l'occasione di imparare qualcosa dai più esperti. Negli ultimi anni la situazione sta migliorando. I giovani che ci sono adesso tra Serie A e Serie A2 hanno ottimo potenziale e stanno avendo già le chances di mettersi in mostra. Secondo me però ci sono molti più ragazzi di talento di quanti effettivamente riescano poi a trovare spazio nel nostro campionato. Qui a Varese è diverso: stanno facendo un lavoro incredibile dallo staff tecnico alla società in generale. Matt Brase e i suoi assistenti allenano tutti a prescindere da chi sei, quanti minuti giochi, se hai esperienza in NBA o se non hai mai fatto una partita da professionista. A volte ad allenarsi con noi ci sono ragazzi di 16/17 anni e vengono trattati tutti allo stesso modo, questo aiuta e fa crescere poi quando l'allenatore inizia a capire come inserirti nei meccanismi della squadra non esita a farlo. Per questo motivo trovo che il lavoro della società sia perfetto, perché mandano in campo chiunque se lo meriti: infatti, Matteo (Librizzi, ndr) e Nicolò (Virginio, ndr) quando si sono fatti trovare pronti sono stati messi in campo per contribuire e dare energia alla squadra; magari il loro tempo sul parquet è limitato ad un paio di minuti, ma già farsi trovare pronti e fare bene dà fiducia, perché in futuro quei minuti possono aumentare e loro due hanno tutto per diventare in futuro giocatori fondamentali per la squadra. Io stesso non sono per niente arrivato, devo continuare a lavorare sodo e gli unici limiti sono quelli imposti da noi stessi, quindi possiamo solo imparare ed imparare. La nostra fortuna è che la società con Luis (Scola, ndr) e tutto lo staff tecnico punta alla crescita di questo tipo di giocatori; c'è un lavoro specifico di player development qui a Varese che ha creato una situazione ideale per me così come per loro due (Librizzi e Virginio, ndr).”

Le esperienze nella vita di Guglielmo sono state molte e nonostante i 23 anni compiuti la scorsa estate, ci sono tanti aneddoti da raccontare: alti e bassi, alcuni dovuti a momenti di forma strepitosa e altri dovuti agli infortuni che a livello mentale danno sempre dispiaceri profondi; dall'azzurro della nazionale al granata di Santa Clara University passando per il rosso acceso di Varese, i colori nel percorso di Caruso oscillano tra mille sfumature alcune dalle tonalità più cupe e altre dalle tonalità più vivide.

 "L'anno scorso è stato un po' rocambolesco per me sia a livello mentale sia a livello fisico. Gli infortuni arrivati in diversi momenti della stagione non mi hanno permesso di essere abbastanza continuo; inoltre la squadra lottava per non retrocedere e quindi in un posto come Varese che vive di pallacanestro la tensione si sentiva parecchio. È stato un anno difficile, ma mi ha fatto crescere perché il primo anno può essere dura, però una volta superato lo scoglio cresci e riesci a viverla meglio. Io sono riuscito a superare i momenti meno facili grazie ai miei compagni, alla società, ai tifosi, a tutti coloro che mi hanno sostenuto in quei periodi in cui sembrava andare bene e invece una sconfitta o un infortunio rendevano tutto più difficile; a livello mentale soprattutto è stata dura, poi la chiamata in nazionale e la preparazione estiva mi hanno aiutato nuovamente ad uscirne. Come primo anno posso ritenermi soddisfatto nonostante le sfortune che per fortuna sono riuscito a superare. Anche e soprattutto a livello di squadra siamo stati bravi ad uscire dai momenti no; il gruppo dell'anno scorso era fantastico, ad un certo punto ci siamo fatti un esame di coscienza e abbiamo capito cosa dovevamo fare per salvare la stagione. Quest'anno su quelle stesse note, ovvero una squadra molto affiatata in cui nessuno si sente escluso, stiamo mostrando anche sul campo col nostro modo di giocare anche l'aria che si respira nello spogliatoio: stiamo facendo ottime partite, anche quelle in cui abbiamo perso non abbiamo mai mollato e abbiamo giocato bene, la sconfitta è arrivata magari per qualche distrazione di troppo ma senza perdere mai il controllo. Sono quegli errori di maturità che però aiutano la squadra a crescere, a capire dove sono arrivati gli sbagli per non commetterli la partita successiva.”

Il treno dei desideri passa una volta sola e Guglielmo Caruso aveva già deciso di acquistare il biglietto. Non sempre il posto a sedere è stato comodo, ma l'accoglienza ha aiutato a scacciare via le paure che ci si può portare lungo il viaggio, specie se inizi questa avventura da adolescente e una volta diventato un giovane uomo la stai ancora portando avanti. Tutti sognano una carriera come quella dei propri eroi, emulare le gesta del giocatore preferito è l'obiettivo che ci si pone; sebbene il limite sia il cielo, avvicinarsi troppo al sole rischia di lasciarti scottato e riprendere il proprio volo può diventare complicato.

“Se vuoi diventare un atleta professionista devi saper reggere quel tipo di pressione, non devi farne una malattia ma un po' di pressione bisogna sempre mettersela addosso se hai tanta ambizione. Questo serve a motivarti, a spingerti a fare meglio ogni giorno e quindi un po' di pressione bisogna saperla gestire; tuttavia esiste un limite perché troppa pressione ti frena e un giovane non dovrebbe vedere il proprio eroe come unico obiettivo da raggiungere. È giusto ambire al massimo perché può spronarti a migliorare, però questo non significa che esiste un solo livello di successo a cui aspirare: ci sono dei fenomeni che nascono una volta ogni dieci o venti anni, non tutti possono diventare giocatori che dominano in NBA per esempio. Ci sono degli step da fare prima di arrivare ad un certo livello e voler a tutti costi emulare ciò che si vede in TV o sui social media può diventare controproducente e tarparti le ali, perché ti poni fin da subito un limite troppo alto che se non riesci a soddisfare ti butta giù. Estremizzare i propri obiettivi può portare all'esatto contrario di ciò che ci si era prefissati. Devi sentirti ogni giorno un giocatore migliore, arrivare a fine giornata ed essere conscio di aver imparato cose nuove ed essere migliorato come persona e come giocatore; infine alzi la testa e dopo tanto lavoro vedi dove sei arrivato, a quel punto puoi iniziare nuovamente a metterti nuovi obiettivi davanti e provare ad arrivare ancora più in alto.”

Ancora una volta il cielo sopra la testa di Guglielmo Caruso è azzurro e sullo sfondo rimane una sfumatura rosea che fa presagire un prospero domani.

 

Redazione Overtime - Storie a Spicchi

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