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LBA Longform – Amedeo Tessitori: “Sono felice del mio percorso, devo ringraziare la mia famiglia, i miei fratelli e gli amici che mi hanno sempre spinto ad andare avanti”

Dai boschi della Toscana alla Serenissima, un “working class hero” alla corte del doge Walter De Raffaele

LBA Longform – Amedeo Tessitori: “Sono felice del mio percorso, devo ringraziare la mia famiglia, i miei fratelli e gli amici che mi hanno sempre spinto ad andare avanti”

A 13 anni lascia casa per trasferirsi a Siena e cominciare la sua gavetta nel mondo della palla a spicchi. La città del Palio in quel momento sta vivendo un periodo d'oro con la pallacanestro, ma Amedeo è dall'altro lato della sponda e veste i colori rosso e blu della Virtus Siena non quelli bianco, verde e nero della Mens Sana. Il giovane Tessitori deve affrontare questa nuova vita da solo ad un paio d'ore da casa e come nella “Working Class Hero” di John Lennon in realtà ci sarebbe tutto il tempo davanti per crescere, ma nessuno te ne concede abbastanza; quella telefonata che lo ha “costretto” a diventare uomo ancor prima di essere adolescente è ancora oggi il momento più nitido nella mente di Amedeo Tessitori.

“Mi ricordo ancora il giorno in cui ho detto sì ad Umberto Vezzosi quando decisi di andare alla Virtus Siena. Lui mi chiama e mi dice che mi vorrebbero da loro dandomi circa cinque o sei giorni per pensarci. Furono cinque o sei giorni di inferno a casa mia con mia madre che mi diceva “No, tu non ci vai” e io le urlavo “Sì, io ci voglio andare”. Passati questi sei giorni sono a mangiare a Lucca con i miei genitori, mi richiama Umberto e mi chiede se ho preso una decisione; io gli rispondo di sì che voglio andare e lui allora mi dice che di lì ad una settimana avrei dovuto presentarmi a Siena. Riattacco il telefono e mia madre subito si mette a piangere al tavolo, mentre mio padre mi guarda e mi dice “Vai pure, ma da oggi sono cavoli tuoi”. Ecco quel momento lì non so perché ma mi diede forza e se oggi dovessi parlare con il me tredicenne gli direi di aspettare uno o due anni in più prima di prendere quella decisione e lasciare casa. Nei primi cinque anni quando sei adolescente sei solo contento di andartene via e salutare i tuoi genitori, ma ora che inizio ad avere qualche anno in più penso che uno o due anni in più a casa mia con i miei fratelli e la mia famiglia li avrei fatti volentieri, sono certo che mi avrebbero insegnato qualcosa in più della vita. Aspettato quell'annetto e mezzo in più prima di lasciare casa allora poi gli direi di fare quel che gli pare, tanto a quell'età va bene tutto”.

Amedeo però nasce cestista per caso o meglio non è certamente quello il primo pensiero che gli passa per la testa. In famiglia sono i suoi fratelli maggiori ad approcciare alla disciplina, lui ne segue solo le orme accompagnato dai genitori; a poco a poco ci si accorge che proprio il più piccolo dei Tessitori ha qualcosa di speciale e tutto ad un tratto arriva il momento di trasferirsi, cambiare vita, scuola, amici rimanendo avvolti in un turbine di novità che non concede tempo. Mamma e papà nonostante le difficoltà nel separarsi prematuramente dal figlio non pongono ostacoli, lo lasciano libero di scegliere e di proseguire il cammino consapevoli di quanto fossero larghe le spalle del giovane Amedeo.

“Quando ricevetti la chiamata dalla Virtus Siena lì cominciai a capire effettivamente dove mi potesse portare la pallacanestro, perché ero davvero costretto a lasciare tutto quanto per iniziare una nuova vita. La regione era la stessa, ma Siena stava a due ore di macchina e questo per me significava dovermi trasferire in foresteria e frequentare una scuola superiore al di fuori da dove ero cresciuto. Qui devo assolutamente ringraziare i miei genitori, perché nonostante avessi solo 13 anni non mi hanno mai imposto la loro idea e mi hanno lasciato libero di scegliere ciò che volevo fare. Ho avuto la fortuna di incontrare una società incredibile che ha fatto sbocciare l'amore e la passione per il basket: dal presidente all'allenatore (Umberto Vezzosi, ndr) che mi ha praticamente cresciuto negli anni a Siena come uomo e come giocatore; grazie a loro ho capito che avrei potuto fare di questo sport un lavoro”.

Trascorsa l'adolescenza quasi all'interno di una bolla, in un battito di ciglia Amedeo Tessitori è un giovane ragazzo maggiorenne che deve fare i conti con il proprio salto di qualità e la porta del professionismo lo catapulta di fronte ad una realtà tosta a cui lui non si sottrae e di cui sembra già conoscerne alti e bassi. Lui sa quanto deve lavorare sodo e per un lungo di 18 anni che deve terminare il suo sviluppo, anche il più piccolo dei dettagli può fare la differenza.

“Il mio primo contratto da professionista arriva con Sassari e lì affronto la realtà vera e propria: le prime difficoltà, poi io ero un lungo ancora acerbo fisicamente e magari un po' indietro tecnicamente; il primo anno, perciò, faccio tanta fatica ad emergere, oltretutto nel momento in cui sembra io riesca ad uscire un po' da queste difficoltà iniziali e coach Sacchetti mi concede più spazio in campo ho la sfortuna di dovermi fermare sette mesi per un serio problema osseo alla mano. Mi opero, devo attraversare tutta la riabilitazione e nel frattempo la società decide di tagliarmi, così dopo l'esperienza in Sardegna vado a Caserta ma anche là affronto un periodo non particolarmente fortunato: iniziamo molto male perdendo le prime quattordici partite e a fine stagione retrocediamo. Ero davvero piccolo, avevo 19 anni e penso di averne viste davvero di tutti i colori e le mie disavventure non terminano nemmeno nella stagione successiva quando vado a Cantù, perché avviene il cambio di proprietà e a metà anno ci sono mille cambiamenti e non riesco a trovare stabilità. Tra una peripezia e l'altra mi faccio un esame di coscienza e decido di fare un passo indietro per riprendere fiducia nei miei mezzi; così torno in A2 firmando con Biella e là trovo una società con tanta passione per il basket, un pubblico caldo e in Michele Carrea un allenatore che crede in me e mi trasmette tanta fiducia. Grazie al nuovo ambiente ritrovo la mia pallacanestro, i due anni a Biella mi danno modo di giocare al meglio ed ottenere nell'estate del 2018 la chiamata da Meo Sacchetti con la nazionale per le qualificazioni ai mondiali”.

L'azzurro di Italbasket e la possibilità di partecipare alla FIBA World Cup mettono Amedeo Tessitori in condizione di essere un elemento imprescindibile per la pallacanestro italiana. Dopo aver scacciato via i brutti pensieri degli anni passati tra infortuni e la poca fiducia concessa – due aspetti che possono abbattere il morale di un giovane ragazzo – sembra tutto pronto per tornare a fare il grande salto, questa volta però da protagonista.

“Personalmente tutte le volte che ho sbagliato, e ho sbagliato tante volte come giusto che fosse perché avevo 19 anni, imparavo ogni volta qualcosa. Cercavo di non commettere mai lo stesso errore così da immagazzinare esperienze e capire in fretta come andava il mondo del basket e del professionismo; piano piano avendo anche la fortuna di avere una famiglia amorevole al mio fianco che mi supportava in ogni situazione, con i miei fratelli che mi aiutavano in tutti i momenti e con gli amici che nonostante non fossero all'interno del mondo della pallacanestro credevano in me e mi davano quella forza necessaria per andare avanti. Se ci fosse stata una società che mi avesse aiutato a capire come andava il mondo a quell'età, perché è molto difficile che un ragazzo che passa dalle giovanili al professionismo in poco tempo sappia subito come comportarsi: come va la vita, quali sono le regole più importanti, quali sono le cose che puoi controllare e quelle che non puoi. Ho fatto il mio percorso e non ho nessun tipo di rammarico. Sono contento perché magari l'ho presa più larga e prendendola in questo modo magari vedi più cose, sbagliando impari più cose e arrivi ad un punto in cui nonostante tu ci abbia messo più tempo del previsto hai l'esperienza necessaria per andare avanti”.

Quello della nazionale non è l'unico azzurro che lancia Tessitori in una nuova dimensione. Il suo trasferimento a Treviso è un segno del destino, poiché è la settima squadra in cui si troverà a giocare e sebbene la simbologia sia solo una mera coincidenza questo numero rappresenta la completezza, la crescita personale e un destino prospero e fortunato.

“Treviso è stato un momento molto bello della mia carriera. Avevo la possibilità di tornare a giocare in Serie A dopo Biella e invece decisi di voler conquistare la massima serie sul campo. Non fu tutto rose e fiori, ma dalle mie esperienze pregresse avevo imparato che più l'anno è difficile e tosto e più le soddisfazioni che arrivano sono enormi: infatti riuscimmo a vincere la Coppa Italia e a salire in Serie A; successivamente quell'estate venni convocato per giocare i mondiali con la nazionale e fu il mio primo grande evento da giocatore ancora di A2. Quando sei ragazzo magari sei con la testa altrove e non ti accorgi dell'importanza che ha vestire la maglia dell'Italia, ma quando indossi quella della nazionale maggiore ti viene la pelle d'oca. Mi ricordo la prima partita del mondiale contro le Filippine ero talmente nervoso da farmela addosso dall'ansia e mentre facevo riscaldamento mi guardavo intorno e vedevo Gigi Datome, Danilo Gallinari, Marco Belinelli, Ale Gentile, tutti giocatori allucinanti e mi chiedevo cosa ci facessi lì in mezzo a questi campioni. Io sono un ragazzino di un paesino di bosco sperduto in Toscana con la mia famiglia che non sa nulla di sport e quindi io cosa ci faccio qui in mezzo a loro. Dopo quando cantai l'inno mi sfogai, mi liberai totalmente di questa ansia e di questi pensieri; in campo andò tutto bene e riuscii persino a segnare da metà campo”.

Un turning point, un punto di svolta decisivo dopo tanti anni a lavorare e a sudare per trovare spazio meritato. La fiducia che riescono a dare i colori della nazionale non ha eguali per questo la striscia positiva è destinata a proseguire. Il mondiale con l'Italia è solo uno dei momenti più belli da mettere nel cassetto dei ricordi, certamente il primo di una lunga serie.

“È stata la prima vera soddisfazione come se avesse dato il 'la' ad un susseguirsi di cose. Infatti dopo con la nazionale sono arrivate le Olimpiadi grazie al successo con la Serbia a Belgrado, anche quello un momento indimenticabile. Appena finita la partita le prime persone che ho chiamato sono state mio padre e mia madre: io non ho detto niente, non riuscivo a dire niente dall'emozione; poi siamo andati a Tokyo e anche giocare le Olimpiadi è stata un'altra esperienza allucinante”.

Rivincita è la parola che meglio descrive il secondo atto di questa impresa da eroe della classe operaia. Amedeo non ha mai smesso di crederci e si è sempre rialzato, quando finiva al tappeto non ha mai pensato di mollare e tutto ciò che è stato seminato nel tempo oggi ha dato tutti i suoi frutti. L'infortunio nell'ultima parte della stagione 2020/2021 gli ha impedito di partecipare attivamente alla vittoria dello scudetto con la Virtus Segafredo Bologna, ma la vita sa concedere seconde chance a chi se le merita e la vittoria dell'EuroCup nel 2022 ne rappresenta l'ennesima testimonianza.

Nel corso della sua carriera Tessitori ha potuto condividere gioie e dolori con tanti compagni. Il suo essere genuino e un grande lavoratore lo ha portato a stringere tante amicizie sul parquet e a mettere da parte le rivalità, la costante rimane sempre quella di voler dare il meglio per sé e per la propria squadra.

“Ho avuto un'altra fortuna in questi anni, perché nelle squadre in cui ho giocato ho sempre trovato ragazzi incredibili con cui ho legato moltissimo. In particolare però quando abbiamo affrontato il Cedevita in EuroCup e ho rivisto Amar Alibegovic mi ha fatto un po' strano perché con lui ho vissuto proprio dei bei momenti. Sono curioso di sapere quali saranno le mie sensazioni quando riaffronterò la Virtus Bologna e rivedrò ad esempio Ale Pajola con cui ho anche vissuto insieme l'esperienza olimpica”.

Di buono spirito e di grandi valori come un eroe dei fumetti – sebbene non indossi nessun mantello – qualità che gli sono state insegnate fin da bambino da una famiglia premurosa e felice di vederlo realizzarsi. Nel mezzo però un ruolo fondamentale lo hanno giocato anche i fratelli maggiori, i quali gli hanno instillato quel senso di appartenenza e quella voglia di creare comunità che successivamente Amedeo Tessitori ha portato negli spogliatoi.

“Ho un tatuaggio sul braccio destro ispirato agli Avengers e ai Fantastici 4. Si nota quello che è un misto tra una lettera 'A' e un numero 4, accanto c'è una piccola 'V'; tutti noi fratelli abbiamo il nome che inizia con la lettera 'A' e tutti e due i nostri genitori hanno il nome che inizi con la lettera 'V', perciò mio fratello maggiore fece questo disegno e disse a noi fratelli che quella doveva essere il nostro tatuaggio. Mio fratello di mezzo che ha paura dei tatuaggi ancora deve farselo (ride, ndr)”.

Oggi la sua casa è a Venezia. Il ragazzo toscano si è unito ad un nuovo gruppo di giocatori sotto la guida di un altro nativo della sua regione. Coach Walter De Raffaele – nonostante le origini livornesi, un po' contrapposte a quelle pisane di Amedeo Tessitori – è un doge nella Serenissima dopo ormai più di dieci anni sulla panchina dell'Umana Reyer tra le stagioni da vice e quelle da capo allenatore. Non è stato complicato sentirsi subito parte della grande famiglia orogranata che dentro al Taliercio vive in un particolare tempio dedicato solo ed esclusivamente alla pallacanestro.

“L'inserimento a Venezia è stato molto facile perché la società è ben organizzata, la struttura dietro è ottima dallo staff tecnico agli addetti ai lavori. Walter De Raffaele poi è un grandissimo allenatore e io mi sono subito riuscito a sentire a mio agio all'interno della squadra. Certamente all'inizio quando sei parte di un nuovo gruppo devi capire al meglio come inserirti sia nel contesto generale sia in quello di gioco, ma qui non cè stato davvero alcun tipo di problema”.

La rivoluzione della classe operaia parte con piccoli passi e spesso incontra difficoltà, ma per riuscire nel proprio intento non bisogna mai mollare. Sono passati circa quindici anni da quella telefonata che ha cambiato tutto. Dalle lacrime della mamma alla benedizione del papà, se il tuo desiderio è diventare un 'working class hero' allora devi continuare a seguire il sogno.

 

Redazione: Overtime - Storie a Spicchi

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