“Coraggio, lasciare tutto indietro e andare. Partire per ricominciare e per quanta strada ancora c'è da fare, amerai il finale. Share the love”. Queste sono alcune delle parole cantate da Cesare Cremonini in 'Buon Viaggio', un autore bolognese proprio come il ragazzo che si racconta in queste righe. Davide Moretti nel 2017 non lascia l'Italia per ricominciare, lo fa per continuare il suo percorso perché è consapevole di quanta strada ci sia da fare e grazie all'esperienza di papà Paolo sa che alla fine di tutto ciò amerà il finale. Il ritornello della canzone dice 'share the love' ovvero 'condividi l'amore' ed è questo che decide di fare il nativo di Bologna quando approda negli Stati Uniti: apre il suo sito e si racconta, condivide l'amore per il gioco e per l'esperienza che sta vivendo sebbene la famiglia sia lontana. Ci vuole coraggio per compiere questa scelta, ma l'importante è il viaggio non la destinazione.
“Inizialmente questa mia idea aveva l'intento di raccontare quello che avrei vissuto e che stavo vivendo. Il college basketball oggi è seguito molto di più rispetto a quando sono andato io negli Stati Uniti, perciò volevo raccontare com'era la vita di tutti i giorni e ogni tanto mi mettevo a scrivere, soprattutto nei primi mesi quando vivevo un po' nella mia bolla. Non mi piace dire che mi sentivo solo, perché avevo sempre i compagni di squadra che mi aiutavano a non sentirmi così; tuttavia c'è da mettere in chiaro che durante i primi mesi una persona che non parla la lingua, si trova in un nuovo ambiente, è lontana da casa così come dai familiari e dagli amici tende a crearsi una propria bolla, a chiudersi in se stessa trascorrendo magari più tempo in camera e assimilare un po' tutto quello che raccoglie durante il giorno. Quindi mi mettevo a scrivere, cercavo di farlo in inglese così intanto mi allenavo e poi lo traducevo in italiano per metterlo sul sito e raccontare così la mia vita al college. Poi con il passare del tempo non ho più pubblicato nulla, però mi piace ogni tanto scrivere sull'iPad alcuni avvenimenti, raccontare gli stati d'animo in modo da avere sempre con me ciò che è accaduto di importante e che con il tempo non vorrei andasse sfumato”.
La pallacanestro è un sogno diventato realtà: in parte è grazie al talento innato di Davide, in parte grazie a suo padre Paolo, un modello da imitare in tutto e per tutto. No, non è il caso di dare quell'accezione negativa che si è soliti affibbiare al termine 'figlio d'arte'; Paolo Moretti per suo figlio è stato un esempio, perché lo ha spinto a diventare il ragazzo che possiamo ammirare oggi dentro e fuori dal campo. Il DNA non mente e il modo genuino con cui il primogenito affronta le partite è lo stesso con cui il padre viene ricordato dai tifosi e dagli addetti ai lavori. Nel futuro di Moretti junior – proprio come nel presente – ci sono le orme di Moretti senior da seguire, perché c'è tanto amore per il gioco da condividere e gli insegnamenti appresi da giocatore verranno tramandati anche a chi il parquet lo batterà in futuro.
“Ci ho pensato tanto soprattutto al college dove cercano di darti un piano B oltre ovviamente al piano A di giocare ad alti livelli. Negli Stati Uniti ti istruiscono anche per il futuro nel caso in cui tu voglia proseguire una volta terminata la carriera da giocatore. A me piacerebbe tanto diventare un allenatore, ma non un head coach quanto più un allenatore di fondamentali come per esempio può essere in un camp di specializzazione o un camp con diversi ragazzi di diverse età arrivati per imparare appunto i fondamentali del gioco. Questo progetto l'ho già cominciato da diversi anni e mi piacerebbe portarlo avanti anche nei prossimi, così da avere già il modo di impegnarmi una volta terminata la mia carriera sul parquet da giocatore. Una sorta di player development coach, una figura che al college ormai è imprescindibile”.
La sua è una famiglia che vive lo sport e vive di sport, un nido in cui ognuno si dà forza a vicenda passandosi consigli ed insegnamenti di generazione in generazione. Da mamma Mariolina a papà Paolo fino al più piccolo dei Moretti, Niccolò che oggi rappresenta già una parte del futuro della pallacanestro italiana. Per Davide tutte queste figure sono state fondamentali per decidere il proprio percorso e oggi a 24 anni può già avere un bagaglio ricco di esperienze utili a formare la mente del fratellino a cui è molto legato.
“Il rapporto che ho con la mia famiglia è stato molto importante se non una delle cose più importanti soprattutto nel periodo a Texas Tech. Quegli anni per me sono stati importantissimi perché mi hanno cambiato sia come uomo sia come giocatore e in quel periodo mio padre mi è stato molto vicino. Allora lui non stava allenando nessuna squadra quindi aveva più tempo da dedicare a me guardando le partite stando sveglio fino a tardi e la mattina successiva magari mi chiamava per starmi vicino in qualche modo. Questo lo faceva anche mia madre specialmente da un punto di vista affettivo magari chiedendomi come andava, come stavo, se ero riuscito ad integrarmi nonostante le difficoltà; perciò loro erano sempre lì nonostante non fosse facile data la sostanziale differenza di ore che c'era tra l'Italia e il Texas. Con mio fratello invece c'è un rapporto che va al di là di tutto questo: io per lui vorrei essere l'esempio da seguire, vorrei che si ispirasse a me per la mia etica del lavoro, per come mi comporto dentro e fuori dal campo, vorrei che lui si rispecchiasse in me e mi prendesse come un modello da imitare; perciò tutto quello che faccio io lo proietto in vista di quel che vorrei facesse lui, vorrei che fosse orgoglioso di me perché lui è uno dei motivi principali di molte delle mie scelte e del perché io oggi sono questo tipo di persona. Io ho sempre detto di essermi ispirato a mio padre per il tipo di persona che è stata in campo e fuori, così proprio perché mio fratello non ha mai visto papà giocare vorrei si ispirasse a me oltre ovviamente ai giocatori della NBA di cui potrà essere innamorato. Lui è libero di crescere e di fare tutto ciò che è in suo potere, ma mi farebbe molto piacere se io potessi essere l'esempio da seguire”
L'anagrafe dice 24 anni essendo nato nel 1998, il parquet lo ha da sempre definito un veterano per il suo modo di approcciare alla gara: mai una parola fuori posto, sempre presente per risollevare l'animo dei compagni e l'inerzia della squadra; una faccia pulita di quelle che fanno bene alla pallacanestro anche se può apparire leggermente old school. Giunto nell'età in cui si ha consapevolezza dei propri mezzi a trecentosessanta gradi, Davide Moretti ha alle spalle una carriera importante tra giovanili e le imprese in Serie A2; successivamente arriva Texas Tech, l'Eurolega con Milano e i ricordi si aggiungono inesorabilmente uno dopo l'altro.
“Cestisticamente mi sento più toscano in quanto ho fatto sei anni di giovanili a Pistoia quando mio padre allenava la prima squadra. In quegli anni ho fatto tanto: ho vinto uno Scudetto giovanile con loro, ho giocato (e perso) una finale U19, ho vinto con l'under 17 e quindi ho tanti ricordi bellissimi di quando ero là. L'anno alla Stella Azzurra è stato importante perché è stata la prima volta in cui mi sono affacciato al mondo del basket senior con la Serie B e allo stesso tempo ho giocato nei vari campionati under arrivando sempre alle finali nazionali; perciò l'anno a Roma è stato sicuramente molto importante per me, però mi sento di dire che il mio percorso cestistico giovanile è stato più legato a Pistoia. Reputo fondamentali anche gli anni trascorsi a Treviso prima di andare negli Stati Uniti, perché sono stati due anni incredibili in una piazza storica”.
Bologna è la città natale, nel suo personale giro d'Italia ci sono Pistoia, la capitale, Treviso, la città della moda e da due stagioni Pesaro è entrata nel cuore di Moretti così come lui è entrato nel cuore della tifoseria.
“A Bologna ruberei la passione che c'è per la pallacanestro. Penso sia adatto il soprannome di 'Basket City', perché dietro alle due squadre bolognesi c'è un tifo e una passione unica; inoltre penso di poterla considerare la città che mi ha fatto innamorare del basket anche per il fatto che mio padre ha giocato sia per la Virtus sia per la Fortitudo e si vede l'attaccamento delle due tifoserie per la propria squadra e per la propria identità. Treviso la ricordo come il mio primo step tra giovanili e professionismo; tuttavia anche se in quegli anni facevamo la A2, sento di essermi affacciato per la prima volta in un ambito molto professionistico in quanto Treviso è stata una società che ha voluto puntare su un ragazzino di 17 anni. Alla società e alla piazza devo davvero tanto, perché il bagaglio di esperienza che mi sono fatto in quei due anni me lo sono poi portato successivamente al college e mi è servito davvero tanto soprattutto nei momenti di difficoltà cestistici. Poi è arrivata Milano: una delle società storiche della pallacanestro italiana, un posto in cui si respira la mentalità vincente del club; infine Pesaro, un'altra città storica dove mi sento di dire che la passione per questo sport si sta riaccendendo ed essere ora parte di un gruppo che sta provando a riportare la piazza ai fasti di qualche decennio fa mi rende molto orgoglioso e molto felice”.
Il giro d'Italia appunto, però Davide Moretti ha esportato quello spirito tricolore altrove in uno stato come il Texas in cui la cultura sportiva (e non solo) è forte e padrona di una propria identità. Fino alla stagione 2015-2016, a Lubbock l'ateneo di Texas Tech si interessa principalmente al college football: a vestire la maglia dei Red Raiders c'è un ragazzone di nome Patrick Lavon Mahomes II, il quale in futuro alzerà un premio di MVP della NFL, un trofeo del Superbowl e un MVP del suddetto diventando a soli 23 anni uno dei giocatori più iconici della Lega. Salutato il prodotto fatto in casa, inizia a crescere l'attenzione e la voglia di sviluppare anche la squadra di pallacanestro così nell'estate del 2017 viene consegnata una borsa di studio ad un giovane bolognese.
“L'estate dopo il mio secondo anno a Treviso ho avuto diverse possibilità: rimanere lì altri due anni consolidando un progetto che avevano in mente per me; scegliere la Serie A accettando così una delle offerte che mi erano arrivate da un paio di squadre; andare al college negli Stati Uniti. La terza opzione era quella più difficile, perché ti portava fuori dalla comfort zone e presentava più insidie portandoti a riconsiderare quel tipo di scelta e dire “ma chi me lo ha fatto fare”. A quel tempo avevo un agente che insieme a mio padre rappresentavano le due persone di cui mi fidavo di più e di conseguenza che ascoltavo maggiormente; entrambi la vedevano allo stesso modo e mi consigliavano di andare là, perché pensavano fosse la scelta migliore da fare. L'ho visto come un investimento su me stesso, è stato come scommettere su me stesso e mi sono detto di provarci proprio perché sapevo che mi sarei potuto migliorare giorno dopo giorno. Sappiamo tutti che l'America è l'industria prima al mondo per il basket e per lo sviluppo dei giocatori, perciò sapevo di non essere già arrivato e di avere molti aspetti da migliorare nel mio gioco; quindi ho pensato che quella fosse l'investitura giusta per me, per mettermi in gioco nonostante avessi fatto due anni molto importanti a Treviso ed è stato questo appunto il motivo principale per cui sono andato in America”.
“Perché ho scelto Texas Tech? Sembra una frase fatta, ma è realmente andata così: quando sono entrato al college nei due giorni di visita del campus e della struttura, per qualche motivo mi sentivo come se quello fosse il posto giusto per me ed è stata una sensazione che non ho provato con gli altri tre college che sono andato a visitare. È stato palese già dal viaggio di ritorno, perché quando ero in aereo già sentivo questo feeling nonostante cercassi di essere il più razionale possibile e nonostante cercassi di mettere di fronte a me tutti i pro e i contro di tutte le università e cose fosse realmente giusto per me. C'era qualcosa dentro di me che diceva “Texas Tech è il posto giusto”; forse sarà stato per il fatto che mi volevano più di tutti gli altri o perché erano più interessati a me rispetto alle altre università? Questo non lo so, ma comunque ho sentito che quello era il posto giusto per me fin dal primo momento in cui arrivato”.
Non sempre la scelta di lasciare la propria famiglia, la propria comfort zone proprio come dice Davide e intraprendere un percorso sconosciuto può rivelarsi la mossa azzeccata. Anche per l'esperienza al college servirebbe un manuale d'istruzioni o un bugiardino in cui sopra ci siano scritti dei consigli su come viverla, come affrontarla e come superare i momenti difficili.
“Scegliere l'università giusta è complicato per tanti aspetti. Io mi reputo una persona molto fortunata, perché ero all'interno di una squadra molto forte già nel mio anno da freshman e che è arrivata a giocarsi il titolo nazionale durante il mio secondo anno; perciò ho fatto parte fin da subito di un gruppo forte e molto competitivo. Mi sono ritrovato dentro un gruppo che mi ha fatto vivere le emozioni della March Madness e lo dico perché ci sono tanti altri ragazzi italiani con esperienza al college che non hanno potuto vivere le mie stesse sensazioni ed è davvero un peccato. La March Madness è qualcosa che ti resta, è un'emozione da vivere fino in fondo e che è difficile tanto da spiegare quanto da replicare; poi se hai la fortuna come me di vivere anche l'esperienza delle Final Four ovviamente ti dico che l'esperienza al college negli Stati Uniti ne vale la pena. Ci sono però tanti altri retroscena al di là del gioco: essere lontani da casa, non conoscere bene la lingua, affrontare un cambio culturale veramente importante, essere distanti dalla propria famiglia e dai propri amici; non è un qualcosa di semplice e alla lunga se non hai le soddisfazioni che ho avuto io da un punto di vista cestistico, tutto questo può farti male emotivamente e magari inizi a pensare di andartene via o che l'esperienza non sia poi così tanto bella. Scegliere il college è abbastanza complicato e dipende tanto da quello che tu vuoi fare, perché ci sono anche università molto preparate dal punto di vista puramente accademico. Ripeto: io lo consiglio vivamente; ho avuto un'esperienza veramente incredibile e lo consiglierei a chiunque me lo chiedesse, perché è un qualcosa che purtroppo in Italia e in Europa non abbiamo”.
“La tifoseria è pazzesca, la sento parte di me da quanto mi è rimasta impressa dentro. Ci sono tifosi che ancora oggi mi scrivono per chiedermi come sto e ne sono davvero contento. Sono arrivato a Texas Tech in un momento in cui le cose andavano parecchio bene, perciò la gente iniziava a venire a vederci durante le partite, riempivano il palazzetto ad ogni gara; quindi mi sento fortunato perché ho fatto parte di una squadra competitiva con i tifosi che si sono sempre fatti sentire, a differenza degli anni precedenti in cui c'erano meno hype intorno alla squadra di pallacanestro e molto più verso quella di football. È una cultura completamente differente dalla nostra: noi non abbiamo palestre da quindicimila posti e purtroppo se le avessimo non penso verrebbero riempite ad ogni partita per vedere giocare ragazzi universitari. Penso sia qualcosa di davvero unico nel mondo”.
“Mi sento ancora con i ragazzi con cui ho giocato in quegli anni. Come “trio delle meraviglie” (il nostro Davide Moretti, Jarrett Culver oggi agli Atlanta Hawks e Matthew Mooney attualmente in forza al Besiktas, ndr) siamo sempre in contatto. So come stanno, cosa fanno, in quale parte del mondo si trovano; quello che si è instaurato tra di noi è veramente un bellissimo rapporto nonostante abbiamo giocato insieme un solo anno, ma fu davvero speciale quell'anno. Con Jarrett avevo anche gli stessi corsi quindi facevamo lezione insieme tutti i giorni, ci allenavamo insieme individualmente poiché avevamo gli stessi orari sia per la sala pesi sia per la palestra e dunque eravamo sempre insieme; mentre con Matt, essendo più grande, non avevamo gli stessi orari ma avevamo sempre modo di confrontarci. Quello che più di tutto ci ha fatto legare come trio è stato il fatto di trovarci sempre dopo gli allenamenti, stare a tirare insieme fino a mezzanotte, l'una, le due del mattino; eravamo sempre in palestra a fare a gara uno contro l'altro, gare di tiro, uno contro uno e questa penso sia la cosa che ci ha avvicinato e ci ha fatto legare più di ogni altra. Faccio il tifo per loro, per il loro futuro, per quello che fanno e sono contento che ancora oggi ci sentiamo e abbiamo un bel rapporto”
Coach Beard ha detto di lui durante una partita: “Anche se Davide non fosse presente oggi, sarebbe in ogni caso il ragazzo più intelligente in questa stanza”. Questa frase è la testimonianza di come Davide Moretti sia riuscito a farsi apprezzare oltreoceano, di come la sua etica del lavoro e il suo atteggiamento pacato siano doti che ogni allenatore vorrebbe dal proprio giocatore. Inoltre, il classe 1998 è stato anche uno dei ragazzi più dotati tra i banchi di scuola: il suo 3.714 di GPA (Grade Point Average) al college gli è valso il premio di “Elite 90” durante il suo anno da sophomore.
“Il coach ha avuto sempre un'ottima impressione di me e ha sempre speso ottime parole nei miei confronti; allo stesso modo io posso dire di aver fatto con lui, in quanto lo reputo uno degli allenatori migliori che io abbia mai avuto. È stato un mentore prima ancora di essere un allenatore, perché posso dire di aver imparato davvero tanto da lui e mi sento davvero fortunato di averlo avuto durante il mio percorso a Texas Tech; penso ce ne siano davvero pochi in grado di insegnarti in quel modo la pallacanestro e allo stesso tempo come comportarti fuori dal campo. Quella sua frase mi fece piacere all'epoca e mi fa davvero molto piacere risentirla tutt'ora”
Un leader silenzioso. Un giocatore esperto. Un ragazzo apprezzato, amato e coccolato. Davide Moretti si trova a Pesaro da due stagioni per vestire la canotta della Carpegna Prosciutto; alla corte di Jasmin Repesa e al fianco di un gruppo differente rispetto a quello visto nel suo primo anno nelle Marche, lui è il punto di riferimento. Il suo bagaglio di esperienze è a disposizione per i compagni e non importa che siano più giovani o più vecchi, l'idea di proporre una pallacanestro che coinvolga tutto il gruppo è unica e fa parte del pacchetto completo a nome Davide Moretti.
“Dentro al campo mi sento di essere il leader di questa squadra in quanto ho un ruolo importante al suo interno: ho tante responsabilità e quindi mi sento in dovere di essere un leader e un esempio per i miei compagni; inoltre le mie azioni sono importanti per gli sviluppi all'interno di una partita e questo è anche e soprattutto grazie al coach e al carico di responsabilità che mi ha dato e mi dà tutt'ora. Fuori dal campo mi sento un giocatore di Pesaro e quindi per la cultura che c'è in questa città essere un giocatore della Vuelle è motivo di orgoglio e qualcosa di cui andare fiero. Cerco ogni volta di essere molto riconoscente quando i tifosi vengono a palazzo e quando la gente mi incontra e cerca di avere un contatto con me; tuttavia, sono sempre il solito ragazzo che ero anche a Texas Tech, non sono cambiato di una virgola. Sono più maturo, quello sicuramente, però ecco sono lo stesso ragazzo di sempre che dedica alla pallacanestro il 98,9% del suo tempo”
Dopo aver lasciato tutto indietro per partire e andare via, Davide Moretti è tornato soddisfatto e sta decisamente amando il finale. Non è però la fine dei giochi, si parla del finale di un capitolo che ti porta a proseguire scrivendone di nuovi. Un giorno quel ragazzo che era solito scrivere i pensieri sul suo sito, farà prendere vita alle sue emozioni chiuse per ora all'interno di un iPad e se dovesse pubblicare un libro – tra un'esperienza in Italia e una negli Stati Uniti – potrebbe chiamarlo, perché no, “Share The Love”.
Redazione: Overtime - Storie A Spicchi