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LBA Longform – Alessandro Cappelletti: “La cosa che mi piace fare di più in campo è passare la palla, la mia fortuna è avere un gruppo che mi facilita il lavoro”

La rivincita di chi ha l'argento vivo addosso, ma è stato fermo troppo a lungo

LBA Longform – Alessandro Cappelletti: “La cosa che mi piace fare di più in campo è passare la palla, la mia fortuna è avere un gruppo che mi facilita il lavoro”

'Argentovivo' ha vinto il premio di miglior testo al Festival di Sanremo nel 2019 raccontando di una “prigione” in cui troppo spesso ci sentiamo chiusi o in cui gli altri ci costringono. Dovessimo associare questa canzone ad un giocatore non potremmo andare lontani da Alessandro Cappelletti, un ragazzo con tanta voglia di esperimersi – il cosìddetto 'argento vivo addosso' – ma che a causa di tre gravi infortuni ha sempre dovuto aspettare la chance successiva. È l'uomo del momento nonostante gli alti e bassi: divertente dentro e fuori dal campo, il primo a sostenere la propria squadra nei momenti di gioia e di difficoltà, ma soprattutto pronto a prendersi una bella rivincita contro tutto quello che lo ha fermato.

“Le sensazioni al momento sono agrodolci. Il basket è uno sport di squadra, perciò a non tutti piace andare bene individualmente quando la propria squadra poi fa fatica. Oltre a me ci sono altri ragazzi del gruppo che stanno facendo una grande stagione a livello individuale, ma in questo momento stiamo facendo fatica a raccogliere qualche risultato ed appunto per questo le sensazioni come dicevo sono agrodolci. Chiaramente fa sempre piacere giocare bene, però sarebbe perfetto se riuscissimo magari a raccogliere qualcosina di più a livello collettivo; inoltre credo che la fortuna nelle ultime partite casalinghe non ci abbia assistito. Come dicevo a qualche compagno alcuni giorni fa probabilmente se avessimo vinto qualche partita in più che era chiaramente alla nostra portata – dopo averla comandata lungo i quaranta minuti di gioco – saremmo potuti essere tranquillamente la vera sorpresa del campionato. Noi dobbiamo continuare per la nostra strada, avere fiducia nei nostri mezzi ed essere più concreti magari nelle fasi finali delle partite così da poterci togliere qualche soddisfazione in più. A volte è frustrante giocare così bene e poi non portare a casa il risultato: sapevamo quanto fosse difficile il cammino in Serie A misurandoci con un livello più alto di pallacanestro e quindi a volte nei momenti 'clutch' delle partite non riusciamo ad imporci; il nostro sogno era provare a qualificarci per le Final Eight, ad oggi il discorso non è matematicamente chiuso, però probabilmente in questo momento quello che ci interessa è vincere qualche partita in più e il campionato è ancora lungo, perciò non ci siamo preclusi nulla riguardo il nostro percorso qui in Serie A”.

Alessandro Cappelletti prima di approcciarsi da protagonista al massimo campionato ha una lunga storia da raccontare nata tra i campetti di Spoleto – sebbene sia nativo di Assisi – e proseguita nella città del Palio, quella Siena che lo ha lanciato nella pallacanestro dei grandi e che sente tatuata sulla pelle; il ragazzo ha qualcosa di speciale non solo con la palla a spicchi tra le mani, ma anche nel cuore e nella testa altrimenti sarebbe difficile spiegarsi come un ragazzo di vent'anni o poco più sia riuscito a rialzarsi così tante volte.

“Mio padre è stato un giocatore ed allenatore, io dai 4 anni fino ai 15 anni ho giocato per la squadra di cui lui era il presidente (ASD Giromondo Spoleto, ndr) con cui ho vinto quattro campionato regionali. Successivamente è arrivata la chiamata della Mens Sana Siena: qui entro a far parte di uno dei settori giovanili più prestigiosi d'Italia con cui raggiungo due finali nazionali; gli anni di Siena per me sono stati sicuramente gli anni che mi hanno “creato” sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista tecnico. Ho vissuto l'epopea Mens Sana, per me un qualcosa che porterò dentro per sempre perché potevi confrontarti tutti i giorni con dei giocatori che hanno fatto la storia del nostro campionato e tra i migliori d'Europa; tutto ciò mi ha forgiato ed aiutato ad essere un po' il giocatore che sono oggi, poi certamente confrontandomi con il basket professionistico cambia la percezione, però gli anni di Siena sono stati i più importanti. L'ultimo anno di giovanili purtroppo è coinciso con il mio primo grave infortunio: mi sono rotto il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro; tuttavia, ho avuto la fortuna di essere già stato allenato da coach Alessandro Magro, il quale ha firmato in seguito due anni con la Fulgor Omegna e questo per me è stato un colpo di fortuna quando sono arrivato perché sapevo di poter contare su un allenatore che già mi conosceva. Sono stati due anni magnifici al termine dei quali ho avuto la possibilità di poter ritornare a Siena: non ci ho pensato nemmeno un secondo a dire di sì, perché ero intrigato dal progetto e da un allenatore che conosceva bene l'ambiente e la voglia della piazza di ritornare dove era prima; io sentivo di avere i valori Mens Sana cuciti addosso perciò non ho dovuto pensarci due volte prima di dire sì, perché è stato come tornare a casa. Dopo un inizio sprint di campionato dove andiamo bene con un gruppo giovane e un budget non enorme, purtroppo l'altro ginocchio – il destro – fa crack e per me fu un periodo emotivamente difficile, perché sentivo di stare esprimendo una pallacanestro di livello alto con cifre importanti e lo stavo facendo nella mia piazza perciò tutto questo non fu facile”.

“Avevo 22 anni e il gruppo era perfetto, noi italiani eravamo perfettamente integrati con gli americani. Per fare un esempio: eravamo un gruppo talmente unito e talmente in amicizia che io quell'estate fui invitato a Miami al matrimonio di uno dei miei compagni statunitensi, giusto per fare capire il tipo di legame che avevamo tra di noi. La forza di volontà per riprendermi non mi è mai mancata e questo anche grazie ai miei genitori, perciò mi sono rimboccato le maniche e cominciato una nuova riabilitazione. L'obiettivo inizialmente era quello di tornare per i play-off, poi però capisci che forzare la mano per giocare magari due o tre partite non ne vale la pena così ho deciso di prendermi il mio tempo e lavorare tutta l'estate con lo staff per tornare al meglio. Quando sono tornato in gruppo nella stagione successiva, la società aveva investito un budget importante e aveva portato giocatori molto forti come Elston Turner Jr. che aveva fatto molto bene in Serie A, Devin Ebanks che aveva giocato nei Los Angeles Lakers e un giovane di belle speranze come Marko Simonovic, insomma una squadra ambiziosa. In pre-stagione stavamo mostrando belle cose tra cui battere Avellino allenata da coach Sacripanti; tuttavia nell'ultima partita di pre-campionato contro Pistoia il mio ginocchio destro fa nuovamente crack”

Tre rotture del legamento crociato anteriore: due volte il destro, una volta il sinistro. A 22 anni e mezzo Alessandro Cappelletti sembra un giocatore finito. Le sue ginocchia lo ingabbiano in quell'argento vivo di cui parlano Daniele Silvestri e Rancore (parafrasando la loro canzone), una “prigione” che ti costringe a stare fermo in una gabbia e forse a dire basta, perché la volta dopo potrebbe essere uguale a quella precedente.

“Dopo il terzo infortunio c'è stato un periodo abbastanza lungo, che ho preferito non condividere coi miei cari per paura di vederli stare ancora più male, in cui ho sentito di averne davvero abbastanza. Le riabilitazioni dei due infortuni precedenti erano state caratterizzate da una forza d'animo importante in cui gli obiettivi a breve termine cercavo di raggiungerli in ancora meno tempo, quelli a lungo termine cercavo di lavorare per accorciare i tempi di recupero, mentre alla terza non ne potevo più sarò sincero. La riabilitazione di un crociato è lunga e credo ne basti una per far capire quanti sacrifici e quanto dolore ci siano dietro, così come quanta testa e quanta volontà d'animo ci voglia per sopportarla: io ne ho dovuta fare una nei primi cinque anni da professionista diciamo e poi addirittura due nell'arco di un solo anno, perciò ne avevo abbastanza. Ho iniziato a pensare che dovevo reinventarmi, quindi magari seguire un corso da allenatore o da preparatore; successivamente andando avanti nel recupero ho pensato che in qualche modo a camminare dovevo pur tornarci e che la riabilitazione era da fare in ogni caso. Piano piano anche grazie al fisioterapista Sebastiano Cencini, che ringrazio infinitamente perché ha seguito tutte tre le volte la mia riabilitazione e mi è stato vicino in uno dei momenti più brutti della mia carriera, ho iniziato a riassaporare quella che era l'ebbrezza del campo tirando da seduto e facendo tutte quelle cose che mi hanno spinto a riprovarci. Abbiamo lavorato anche dal punto di vista dei movimenti dentro il campo da gioco, perché due delle tre volte l'infortunio è arrivato proprio facendo lo stesso movimento e quindi abbiamo fatto in modo di toglierlo completamente. Chi si rompe il crociato più volte ha tempi di recupero maggiori: i canonici sei mesi diventano nove, anche dieci e quindi il mio obiettivo era tornare al meglio non per i play-off, ma per la stagione successiva; grazie a questo ho potuto recuperare con calma, mettendoci più di dieci mesi e un'altra volta nella sfortuna ho avuto la fortuna di non dover correre e di potermi rimettere in sesto bene, senza alcuna fretta. Ironia della sorte – proprio come era capitato con Alessandro Magro ad Omegna – il coach Giulio Griccioli, che mi aveva allenato a Siena, va a fare l'assistente di Stefano Sacripanti alla Virtus Bologna e mi arriva dunque questa grande possibilità”.

La rinascita è dietro l'angolo perché si è perseverato nel guarire quelle ferite che a tratti sembravano impossibili da ricucire. Nonostante sembrasse impossibile tornare allo stesso livello di prima dopo tre infortuni di quell'entità (per giunta identici), come spesso accade il momento per tornare a splendere non serve inseguirlo con ossessione, ma continuare a lavorare sodo e aspettare può essere la chiave.

“Ricordo perfettamente quel giorno ancora oggi: ero in Spagna per il matrimonio di Daniele Sandri, mi chiama il mio ex agente Maurizio Balducci e in pratica mi dice che c'era la Virtus che voleva scommettere su di me. Io rimango un attimo esterrefatto, perché tra tutte le realtà della Serie A non mi sarei mai aspettato la chiamata di Bologna. Lo chiamo l'anno della rinascita: innanzitutto perché mi sono confrontato con un basket di altissimo livello, poi sono stato contento di aver portato il mio mattoncino nella vittoria della Basketball Champions League, proprio perché quell'anno venivo utilizzato magari un po' meno in campionato e un po' di più in BCL; infine perché mi trovavo a giocare di fronte ad una tifoseria come quella della Virtus e quindi è stato davvero l'anno della mia rinascita. Ho guardato le partite in TV di Bologna, qualche volta a palazzo da spettatore e si sente il calore dei tifosi, però non è minimamente paragonabile a giocarci insieme: a loro la pallacanestro scorre nelle vene, c'è un motivo se la chiamano 'Basket City' e questa esperienza mi ha portato a ritrovare quelle sensazioni, quella voglia di essere di nuovo un giocatore perciò sarò sempre grato alla Virtus della possibilità che mi ha dato e per aver creduto in me”.

Ritrovata la forma necessaria per tornare ad essere grande, il classe 1995 viene chiamato per essere al centro di un progetto ambizioso in una grande città italiana come Torino. Qui vive due stagioni di altissimo livello: la prima si interrompe a causa del Covid non permettendo alla squadra di proseguire il suo cammino verso la Serie A a cui ambisce; la seconda si mette subito sui binari prestabiliti e al termine della regular season la Reale Mutua è decisamente tra le favorite (se non la favorita principale) per vincere i play-off. Il culmine di questa vicenda arriva con le finali del tabellone argento di A2 in cui si sfidano in un derby piemontese Torino e Tortona: la squadra della Mole vince Gara 1 in casa e Gara 3 in trasferta avendo a disposizioni due match point per conquistare la Serie A; tuttavia il destino – per fortuna non sottoforma di infortunio – si frappone tra Alessandro Cappelletti e la massima serie, perché i gialloblu prima perdono di un solo punto in Gara 4 a Tortona, poi in Gara 5 a Torino succede davvero di tutto e a trionfare è proprio la squadra ospite nuovamente di un solo punto.

“Gli anni di Torino per me sono stati indimenticabili. Lì mi hanno dato la palla in mano e mi hanno detto di far vedere a tutti chi è Alessandro Cappelletti, tornando così a giocare da protagonista dopo i tanti infortuni. Il fatto che quei due anni abbiano avuto quel finale sicuramente è il mio più grande rammarico. Dal punto di vista dell'impegno, del sacrificio e di tutto quello che io ho messo in campo di quei due anni non posso rimpiangere nulla, nemmeno un secondo, nemmeno quel secondo lì in cui ho commesso quel fallo. La gente purtroppo si ricorda solo di quell'episodio e mi dispiace molto perché in quella Gara 5 facemmo una partita incredibile; io stesso dal punto di vista individuale, se posso permettermi di fare un discorso leggermente più egoistico, avevo fatto una grandissima partita e il fatto che ancora oggi la gente di Torino mi colleghi solamente a quel fatto lì mi rattrista chiaramente. È un enorme tasto dolente per me, specie per i commenti e i messaggi che ho ricevuto dopo quella finale. Ho un fuoco dentro onestamente che vorrebbe esplodere, ma non lo farò mai; posso solo dire che il dispiacere più grosso è stato chiudere i due anni a Torino in quel modo, perché sapere che gran parte della tifoseria torinese si ricorda di me solo per quell'episodio è un po' mettersi il prosciutto sugli occhi e fingere che non ci sia stato nient'altro in quelle due stagioni. Chiaramente quell'errore mi ha fatto tanto male, sarebbe ipocrita dire che il giorno dopo sorridevo ed ero in pace con me stesso, me lo sono portato dentro per tanto tempo. Con tutta sincerità: i fantasmi di quella Gara 5 ogni tanto tornano, inutile stare qui a raccontarci bugie, però uno deve andare avanti perché quando sai di avere dato il massimo alla fine dei conti non puoi rimpiangerti niente, anche se fosse una scelta sbagliata che può condannare tutti; il basket può essere deciso da episodi, a volte si vince e a volte si perde purtroppo non si può pareggiare, anche se a dirla tutta io odio i pareggi e non trovo il senso della loro esistenza (ride, ndr)”.

In estate la possibilità di vederlo nuovamente in Serie A è concreta con i vari rumors di mercato che si rincorrevano, eppure non c'è stato nulla di concreto così alla porta del cuore spoletino bussa Udine, altra compagine dal cuore spezzato battuta in finale di A2 dalla GeVi Napoli. Il progetto è serio, ambizioso, ma per Alessandro si presenta davanti un'altra sliding door: sebbene esca sconfitto ancora una volta ad un passo dalla massima serie, nella sfortuna trova la fortuna e così proprio Verona – che supera 3-1 Udine al termine dei play-off del tabellone A – gli offre il ruolo di playmaker protagonista per guidarli nella stagione corrente.

“A Udine credo di aver espresso in pieno quello che sono io sia dal punto di vista della personalità sia da un punto di vista tecnico. Se oggi mi dovessero chiedere chi è Alessandro Cappelletti in campo io gli direi di guardare le partite che ho giocato ad Udine perché quello è il vero me; un'altra stagione entusiasmante dove abbiamo vinto la Coppa Italia, dove ho trovato un gruppo fantastico con cui giocare e confrontarmi ogni giorno. Dopo Torino avevo realmente creduto ad una maledizione, a Udine non ho pensato alla maledizione ma più al fatto che Verona aveva meritato molto di più; infatti, anche parlandone al termine della stagione non avevamo nulla da rimpiangere di quella finale: avevamo vinto Gara 1 con le unghie e con i denti, perso Gara 2 con il gran tiro allo scadere di Karvel Anderson, ma poi Gara 3 e Gara 4 non hanno mai avuto storia, perciò nel computo finale c'era molta meno maledizione rispetto a Torino e più meriti degli avversari. In ogni caso Udine è stato l'ambiente perfetto dove potermi esprimere sotto ogni punto di vista: da coach Matteo Boniciolli ai suoi assistenti, lo staff medico, la società e il presidente; penso non dirò mai grazie abbastanza ad Udine che ha fatto davvero di tutto anche per tenermi quest'anno, però io sentivo di voler fare un'esperienza in Serie A con un ruolo magari meno marginale rispetto a quello avuto alla Virtus, così quando è arrivata l'offerta di Verona credo di non aver avuto proprio nessun dubbio a riguardo. Ho parlato un paio di volte con coach Ramagli e sono stato subito convinto dal progetto: ad oggi, anche se non siamo nemmeno al giro di boa, posso dire sia stata la scelta giusta da fare”.

Stagioni da alti e bassi, altre nemmeno iniziate per colpa degli infortuni; successivamente la gioia e subito dopo le lacrime, in queste montagne russe di emozioni l'attuale numero 0 della Tezenis Verona ha solo bei ricordi legati agli ambienti e alle persone con cui ha avuto a che fare.

“Le stagioni di Torino e Udine sono quelle che mi hanno lasciato più fratelli negli anni, gente su cui posso contare e a cui voglio davvero bene. C'è però una persona in particolare che posso considerare uno dei miei migliori amici ed è l'assistente che ho avuto sia a Torino sia a Udine, ovvero Carlo Campigotto in questo momento secondo assistente alla Vanoli Cremona. Con lui ho un rapporto incredibile, abbiamo purtroppo vissuto insieme le brucianti sconfitte, però è una persona che non mi ha mai fatto mancare il proprio appoggio”.

Un ragazzo determinato, il quale nonostante le molte cadute si è sempre rialzato scrollandosi la polvere di dosso e continuando imperterrito per quella strada tortuosa che è la carriera di un giocatore di pallacanestro. Con le chiavi in mano di Verona, Alessandro Cappelletti dirige, interpreta e scrive il percorso della sua squadra, un gruppo di ragazzi che si affida alla genialità del loro playmaker.

“Non voglio essere scontato perché non mi piace assolutamente, però credo che se dovessi scegliere un ruolo quello di regista mi si addice di più. All'interno del ruolo del playmaker ci deve essere anche la parte in cui il giocatore decide di essere il regista della squadra; tuttavia, a volte quest'anno mi sono trovato a segnare diversi punti, ma la cosa che mi piace fare di più in campo è passare la palla, mettere i miei compagni in condizione di esprimersi al meglio mettendoli in ritmo. La mia fortuna è soprattutto quella di giocare con tanti facilitatori come ad esempio Karvel Anderson, gli passi la palla ed è un assist; Taylor Smith probabilmente è il centro più forte con cui io abbia giocato, ma non solo ha proprio un timing pazzesco perché sa essere sempre nel posto giusto al momento giusto; poi anche Aric Holman e tutti gli altri compagni ovviamente”.

Non c'è solo spazio per la pallacanestro nella vita di Alessandro, anzi proprio come sul parquet si trova impegnato a trovare la maniera più geniale per andare a canestro o far segnare uno dei suoi compagni, allo stesso tempo fuori dal campo c'è chi lo tiene impegnato avendone conquistando il suo cuore. Se il playmaker della Tezenis Verona mostra qualità invidiabili con la palla a spicchi, in un altro tipo di palazzetto c'è chi conquista le proprie vittorie a suon di schiacciate: quelle di Miriam Sylla – fidanzata del nostro Cappelletti – però non sono bimani al ferro, ma fendenti sopra la rete da pallavolo con cui ha conquistato di recente la medaglia di bronzo ai mondiali.

“Lei mi cita sempre nelle sue interviste, mentre io sono molto più low-profile da questo punto di vista (ride, ndr). A parte gli scherzi, Miriam è una persona fantastica e mi supporta sempre, è un dono per me averla al mio fianco: è una giocatrice di un livello incredibile, sa benissimo cosa significa questo tipo di vita anche a livello di sacrifici e poter riflettere con lei, confrontarmi a riguardo di ogni situazione è davvero una grande fortuna. Adesso posso rinfacciarle che ho parlato di lei la prima volta che non mi cita (ride, ndr)”

Dopo anni “costretto a rimanere seduto per ore, immobile e muto per ore, lui che era argento vivo” parafrasando ancora una volta il testo della canzone 'Argentovivo', Alessandro Cappelletti ha preso in mano la sua intera vita scacciando i dolori e le maledizioni, perché lui in quella 'gabbia d'argento' non ci vuole più tornare.

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