Spalle larghe, testa salda sul collo e focus sulla partita, possiamo cominciare. Leonardo Faggian ha solo diciotto anni, ma ha le idee più chiare di molti altri giocatori che calcano le scene da qualche primavera in più. Sul parquet con i suoi coetanei tira fuori i denti, parla e ha una ossessione per il gioco senza errori; quando si misura con il palco della Serie A non ha bisogno di parlare, gli basta usare il fisico e tenere a mente quanta fiducia coach Marcelo Nicola – che di garra e sangue argentino ne sa qualcosa – ripone nelle sue capacità.
“Per un giovane trovare minuti importanti in un periodo difficile non è scontato. Il fatto che ci sia un allenatore che abbia il coraggio di dare spazio ad un giovane non è una cosa da tutti e questo mi dà fiducia. I giovani sono spesso trascurati e nei momenti di difficoltà vengono proprio dimenticati; tuttavia non è così a Treviso e il fatto di essere riusciti a trovare la vittoria nell'ultimo turno di campionato ha un significato anche maggiore. A volte non riesco nemmeno a realizzare: io sono il giovane, sarò sempre il giovane e so che dovrò dare il meglio di me perciò non analizzo nemmeno il tipo di giocata che potrei fare, semplicemente entro e cerco di dare il massimo. Non mi sento di avere responsabilità, anzi non ho nulla da perdere proprio perché sono giovane e quindi do tutto me stesso.”
L'anagrafe parla chiaro: 6 febbraio 2004, eppure ha già debuttato sia in campionato sia in una competizione continentale (Basketball Champions League). Di fronte al proprio pubblico o a quello “nemico”, Leonardo Faggian ha trovato qualcuno pronto ad alzarsi dal seggiolino del proprio posto in tribuna e indicarlo come si fa con i grandi giocatori.
“I miei primi veri minuti li ho avuti in Supercoppa contro Napoli e di questo dovrò sempre ringraziare coach Menetti, un allenatore che stimo tantissimo e di cui ho il massimo rispetto perché ha avuto anche lui il coraggio di far debuttare un ragazzo di dicassette anni in campionato. Successivamente è arrivato l'esordio in BCL: un'emozione bellissima che avrei voluto ripetere anche quest'anno, ma avrò tempo in futuro per misurarmi con questo tipo di competizioni quindi non devo affrettare i tempi. Ricordo la partita a Manresa in Top 16 dove eravamo in pochi effettivi e quindi aggregati alla squadra c'eravamo anche io e altri due giovani; io personalmente ero molto contento perché giocare in Champions mi sembrava qualcosa di grandissimo e nonostante la sconfitta ero contento di aver potuto giocare a quel livello”.
Per ogni giovane che cerca di farsi strada nel cosiddetto mondo dei grandi, c'è (quasi) sempre una guida spirituale e non che ti accompagna nel tuo percorso. Il classe 2004 ha avuto la fortuna di trovare chi lo ha preso sotto la sua ala agli inizi della sua carriera in divisa NutriBullet.
“Non vorrei dire quel nome perché so che poi mi scriverà (ride, ndr), però chi devo ringraziare è Matteo Imbrò che l'anno scorso mi ha aiutato e per questo gli voglio tanto bene, spero anche lui me ne voglia (ride ancora, ndr). No a parte gli scherzi, credo sia davvero un gran giocatore e non lo ringrazierò mai abbastanza per quanto mi ha aiutato. Adesso il gruppo mi vede più inserito, più parte integrante della squadra perciò sì cercano sempre di aiutarmi, ma non mi vedono più come il giovane che deve inserirsi. Tuttavia devo dire che Paulius Sorokas e Michal Sokolowski sono i due che mi stanno aiutando di più; loro due sono anche quelli che in allenamento con me non vanno per il sottile e colpiscono duro (ride, ndr)”.
Treviso è la sua città natale, un posto che sente cucito addosso e potremmo dire su misura per lui; perciò arrivare a debuttare tra i professionisti ancora minorenne deve avere decisamente tutto un altro sapore se scendi in campo indossando i colori della tua città.
“Ho la pelle d'oca ogni volta che sento la curva sud cantare per noi, stare vicino a noi e li sento davvero parte di noi. Giocare a Treviso è bellissimo, l'atmosfera è bellissima e se riuscissimo a toglierci qualche soddisfazione in più sarebbe lo scenario perfetto. Quando entro in campo do tutto quanto e sento che i tifosi mi vogliono bene, cercano sempre di incitarmi e darmi una mano, per questo io sono contento e mi piace davvero giocare qui”.
Il suo essere giovane gli permette ancora di rientrare in quella categoria di giocatori che possono mettersi in mostra nei tornei per i pari età come ad esempio la IBSA Next Gen Cup. La NutriBullet Treviso ha un gruppo solido, interessante in cui spicca certamente Leonardo Faggian; non solo però, perché nel mezzo ci sono anche altri due ragazzi che con lui formano un trio spumeggiante sul parquet: Enrico Vettori e David Torresani.
“Non saprei trovare un aggettivo per questo trio. Sicuramente ci conosciamo da tanto tempo, giochiamo insieme da tanto tempo e ci alleniamo da tanto tempo tutti insieme; questo fatto di essere spesso aggregati alla prima squadra ci aiuta, perché allenarsi e giocare con i più grandi aiuta sempre. Questo ci ha dato una gran mano, perché poi quando torni a giocare con i tuoi coetanei sul campo la differenza si vede: abbiamo molta più intensità, molta più aggressività e la trasmettiamo anche ai compagni. Probabilmente non c'è un aggettivo che ci definisce, ma possiamo essere descritti come un trio aggressivo che cerca sempre di dare una mano ai compagni. A livello personale posso dire che Enrico è quello più tecnico, perché ti dà consigli e trasmette quello che sta imparando dalla prima squadra; per quanto riguarda David ti direi che è quello più costante, più aggressivo e che gioca con più intensità".
La 'garra' si può tradurre in grinta, carattere, quello che gli ispanici amano dire è “tener pelotas”. Non si può negare che Leonardo Faggian queste cose le metta in campo senza paura alcuna, lui che il sangue argentino lo ha davvero e il cui secondo nome è Catriel, mischiando al carattere trevigiano quella voglia tipica dei sudamericani.
“Quando abbiamo vinto contro Brindisi mi hanno chiesto nell'intervista post-partita dove fosse arrivata tutta questa energia e io ho risposto dalla vittoria dell'Argentina ai mondiali di calcio. I miei genitori sono entrambi argentini e io dunque ho cuore argentino, è innegabile”
I sogni per un diciottenne di belle speranze sono desideri che un giorno potrebbero diventare realtà, poiché anche volando basso o rimanendo coi piedi ben saldi al terreno avere ambizioni è il minimo per chi vuole diventare un'icona di questo sport.
“Spero di diventare il giocatore più forte possibile, cioè poter arrivare davvero al mio massimo (raggiungere il proprio ceiling in termini a stelle e strisce, ndr). A fine carriera, se avrò una carriera, vorrei arrivare a non dovermi pentire delle scelte che ho fatto; questo penso di dimostrarlo già nei miei allenamenti, perché lavoro sempre intensamente e duramente per non avere rimpianti anche durante la partita per un rimbalzo non preso o una palla non recuperata. Io sono molto severo con me stesso, ma anche quando mi alleno con i ragazzi della mia età lo sono con loro, perché ci tengo davvero tanto a vedere tutti esprimersi al massimo sia a livello individuale sia a livello di squadra. L'obiettivo a breve termine sarà giocare il più possibile, perché mi sento di poter dare una grossa mano alla squadra e di poter fare bene; ovviamente starà al coach decidere quando meriterò di scendere in campo e a me allenarmi al meglio e dimostrare di poter meritare quei minuti. Da qui a fine stagione invece dico ottenere la salvezza e vincere la IBSA Next Gen Cup, di questa lo sottolineo perché ci tengo: siamo l'unica squadra senza prestiti e senza fuori quota; l'anno scorso l'abbiamo persa in finale contro Varese che ha giustamente portato dei fuori quota e ha giocato in casa e non in campo neutro, perciò il mio obiettivo di sicuro è vincere la competizione quest'anno”.
A qualsiasi età c'è sempre un giocatore a cui ti puoi ispirare, magari studiandone le mosse o la tecnica di tiro; altre volte quel giocatore non è solo un'ispirazione, ma una vera e propria ossessione, qualcuno da imitare e poter un giorno diventare proprio come lui.“Non ho un vero e proprio giocatore a cui mi ispiro, ma se devo sceglierne uno in particolare dico l'Alessandro Gentile che ha giocato a Milano, anzi quello del suo ultimo anno alla Benetton Treviso e dei suoi anni a Milano. Penso sia davvero il giocatore più forte che abbia mai visto in televisione e che mi faceva letteralmente alzare in piedi ed esclamare “Wow, che giocatore!”. Nei prepartita mi guardo tutti i suoi highlights di quando era all'Olimpia, ho i video salvati nel telefono con le musiche e quelli mi gasano parecchio”.
I segreti per entrare in clima partita li hanno tutti: c'è chi riposa, chi mangia uno snack, chi magari scarica la tensione con qualche partita ai videogiochi e chi chiaramente si immerge in un altro mondo, quello delle cuffiette da cui esce la musica adatta a farti immedesimare nel giocatore perfetto.
“Cerco di arrivare sempre a palazzo un'ora o un'ora e mezza prima, con le cuffiette alle orecchie, mi fascio le caviglie. Ascolto un po' di tutto da Eminem a 50 Cent, roba americana insomma; poi ascolto anche Fabri Fibra, il dissing così mi gasa (ride, ndr). Poi entro in campo sempre con le cuffiette, uso il rullo e faccio esercizi di stabilità per le caviglie; dopo di che torno negli spogliatoi, mi cambio e torno sul parquet per le sessioni di tiro. Questa è la mia routine pre-partita”.
C'è una figura in particolare nella vita di Leonardo che lo ha portato a diventare il ragazzo e il giocatore che è oggi, qualcuno in grado di fargli amare la pallacanestro a tal punto da renderla qualcosa in più di una semplice passione.
“Il mio giorno zero è arrivato quando ho toccato la mia prima palla da basket e ho capito che mi piaceva giocare a pallacanestro. Tutto questo grazie a mio fratello maggiore Amedeo che mi portava al campetto, mi insegnava e mi allenava: lui ha sempre creduto in me ed infatti sono molto contento di avere un fratello che crede in me e che mi ha insegnato tante cose”.
La cucina – in questo caso quella argentina – è il piatto forte con cui chiudere qualsiasi tipo di discussione. Ma se ci fosse un cibo che sarebbe in grado di donarti il talento o la capacità innata di un determinato giocatore, non lo mangeresti?
“Vorrei rubare la semplicità con cui David Logan riesce a fare canestro. Dico semplicità perché fa sembrare facile qualsiasi giocata lui faccia. Quando ho avuto modo di allenarmi e giocare con lui due anni fa cercavo spesso di prendere spunto dal suo stile di gioco e dalla facilità con cui prende determinati tiri; ripeto sembra facile quello che fa, ma solo perché è lui a renderle così in realtà sono giocate complicate. Quindi direi la semplicità con cui fa canestro Logan e poi aggiungo anche Adrian Banks che sto imparando a conoscere e pure il suo stile mi fa impazzire. Fisicamente invece mi piaccio così come sono quindi non ruberei nulla a nessuno (ride, ndr)”.
Redazione: Overtime - Storie A Spicchi