Sabato avete ottenuto un importante risultato contro la Virtus Bologna: cosa rappresenta per voi?
Quella contro la Virtus è una grande affermazione di squadra, un successo che tiene alto il morale del gruppo. Me lo sono goduto. Sapevo che avremmo giocato duro e che ognuno avrebbe dato il meglio di sé perché l’avversario era la Virtus. Prima della partita avevo detto che eravamo al loro livello, a quello di Milano e di altre squadre simili: per dimostrarlo dobbiamo solo scendere in campo ed essere pronti a giocare.
Che differenze hai trovato tra la tua prima esperienza italiana e questa stagione? Qual è stato il momento più bello che ha vissuto in Europa? E il più difficile?
La mia prima stagione in Italia è trascorsa molto velocemente ed è stata fisica. Era il mio primo anno oltreoceano e quindi tutto era nuovo ai miei occhi. Anche la pallacanestro giocata qui era nuova quindi ho dovuto abituarmi alle regole e a tante altre cose. Ora invece, con l'avanzare dell'età, il gioco mi pare più lento. Oltre a ciò, Tortona poi ha un sacco di talento e questo rende molto più facile giocare, cercare di vincere le partite ed essere competitivi.
Il momento più bello probabilmente l'ho vissuto l'anno scorso, quando ero in Eurocup e abbiamo giocato a Bologna. Io ero in Germania, al Ratiopharm Ulm, e credo sia stata una delle mie esperienze migliori, uno dei momenti più belli della mia carriera cestistica: l'atmosfera era pazzesca e mi è piaciuto davvero vedere tanti tifosi assistere a una partita così bella. Il più difficile? Probabilmente proprio quella gara. Quella sconfitta mi ha fatto male. È stata una delusione perché non ce l'abbiamo fatta e io volevo continuare a giocare in Eurocup e provare a vincerla.
Hai giocato al fianco di molti giocatori di talento: da chi hai imparato di più? Chi ti ha dato i consigli più preziosi per la tua carriera?
Probabilmente credo di aver preso qualcosa un po’ da tutti i ragazzi con cui ho giocato: Shengelia, Austin Daye e un sacco di altre persone. Più di tutti forse direi Russell Westbrook che mi ha aperto gli occhi su come il basket sia un lavoro. Quando inizi ad affacciarti a questo mondo pensi che si tratti solo di basket, vuoi solo scendere in campo e giocare, non lo vedi davvero come qualcosa di serio e non senti di doverti prendere cura del corpo, alzarti la mattina, fare colazione e altre piccole cose di questo tipo. Lui mi diceva: “Devi fare questo, devi fare quello...”. Così probabilmente ho fatto mio quello che mi diceva più di quanto non abbia fatto con altri.
Se però dovessi scegliere un giocatore a cui rubare il talento non ho dubbi, scegliere Michael Jordan.
Il tuo primo lavoro è quello di giocatore di basket. Il tuo secondo lavoro è fare il papà. È più facile il primo o il secondo? Vedi tuo figlio in futuro come giocatore di basket?
Adesso fare il padre è facile e divertente. A mio figlio piace giocare, ama il basket. Ora ha solo tre anni, ne sta per compiere quattro quindi è piccolo però non si limita a correre e a tirare, fa quello che faccio io. Perciò è bello, direi proprio che non è complicato. Se vuole giocare a pallacanestro da grande, dipende da lui. A me piace. È qualcosa che potrei insegnargli a fare per molto tempo, ma dipende da lui. Qualsiasi cosa voglia fare ad ogni modo io sarò al suo fianco.
Parlami di tua madre quando hai iniziato a giocare a basket.
Lei è stata la mia allenatrice, mi ha insegnato il gioco facendo le piccole cose. Quando sono arrivato al liceo, non era più il mio coach ma stava a bordo campo come se fosse ancora la mia allenatrice, urlando e dicendomi “Devi fare questo e quest'altro”. Ha sempre visto le mie partite chiamandomi dopo per dirmi cosa avevo fatto o se avevo sbagliato qualcosa. Quindi mi ha sempre allenato.