Oggi, sulle pagine di Repubblica, è stato pubblicata un’intervista di Walter Fuochi a Claudio Albertini, amministratore delegato di Igd, società che figura tra i soci fondatori di Fondazione Virtus. Ve la proponiamo integralmente.
“Quello che alla Virtus stiamo aspettando è un imprenditore del territorio, che voglia fare un investimento "emozionale", di passione, su un percorso che oggi non parte da presupposti economici, ma lo può diventare, nel medio-lungo periodo. Finora questa persona non s'è vista, lanciato da mesi un aumento di capitale che ci ha fatto conoscere tanti mediatori, nessuno però accompagnato da un imprenditore. La maggioranza della Virtus si prende con 602mila euro, più altrettanti di sovrapprezzo, e se nessuno si farà vivo andrà avanti la Fondazione, com'è stato negli ultimi anni. Coi suoi limiti e difetti, ma anche con gli sforzi di cui andrebbe ringraziata: sette milioni e mezzo, da quando ci siamo, buttati dentro la Virtus. Stando così le cose, l'A2 è garantita, ma sull'A, se saremo ripescati, ora non saprei rispondere. Dico solo che sarebbe difficile dir di no». Va giù amaro il caffè di Claudio Albertini, amministratore delegato di Igd, il colosso immobiliare della Coop, e consigliere di indirizzo della Fondazione Virtus. Manager di conti e strategie, ha scelto di rompere il silenzio da dentro il fortino assediato, e molto sbrecciato da cannonate assortite, i risultati in nero e i conti in rosso, le critiche d'alto bordo e i malumori popolari, per raccontare la sua versione, di uomo forte della parte forte della Fondazione («facciamo e faremo, come altri, la nostra parte, non di più», smussa lui), sulla Virtus che è stata e che sarà. Albertini, la retrocessione della Virtus non è una bocciatura della Fondazione, dice lei. «Beh, ci si stufa anche, a passare per gli uomini neri, messi tutti quei soldi dall'inizio, e arrivati quasi in fondo alla raccolta che ripianerà con fatica la perdita di quest'anno, poco meno di un milione. Ci si stufa perché, al 99 per cento, questa è stata una retrocessione tecnico-sportiva, con errori di costruzione della squadra ed errori di gestione, che poco ci toccano. La costruzione fu guidata da Villalta e Valli, una volta scelto di rinunciare ad Arrigoni: col senno di poi, un grave errore, fatto non solo per ridurre i costi, ma anche perché col tecnico c'era poco feeling. La Fondazione, ai tempi, stabilì solo un aumento di budget del 35%, poi salito al 50 girando otto americani, e mise i soldi sul piatto. Punto. Poi, se Valli nicchiava quando rinnovare Hazell poteva costare meno dei 200mila dollari che chiese a fine stagione, o se voleva Pittman, un ingaggio che ne pesava due, l'uomo nero sarà anche un altro, del resto sparito da tutti i radar, e neppure lo sarà Crovetti. Che di gestione tecnica non si occupava e suggerì solo il nome di Collins. Il nostro innesto migliore. E vengo alla cattiva gestione. Con Ray c'è stata sfortuna, ma alla sfortuna si reagisce, come sta facendo la Fortitudo, in finale senza il miglior giocatore, con uno spirito che ammiro. Valli pensammo di cambiarlo due volte, poi la squadra si rialzava ed era unita. Ma ne ha perse tante, troppe, tutte allo stesso modo, e qualcosa tocca. La retrocessione è stata limpida, meritata, resta la rabbia di dovere andar giù senza debiti, con un bilancio trasparente, pagando gli stipendi, curando bene logistica e salute. Altro senno di poi: ci avessimo pensato prima, a uno come Bucci. Bertolini presidente, per tre mesi, chi l'ha visto?». A uscire bocciato è il format Fondazione: prezioso per i salvataggi, meno per gestione e spinta propulsiva. «Credo anch'io che alle società sportive servano soggetti diversi. Ma se non arrivano? La Fondazione ha lanciato un aumento di capitale. Un milione e mezzo più altrettanti di sovrapprezzo. Nessuno in vista. La Virtus non e' attrattiva. Meglio, non lo è il basket, non generando business. Non credo agli investitori esteri, né d'altre zone d'Italia. Quattro semifinaliste per lo scudetto hanno alla testa quattro imprenditori del territorio. È quel che ci vorrebbe qui, che esca da dentro la Fondazione o da fuori. Per ora non è successo. E allora resta la Fondazione». Con la conseguenza, anche ingenerosa, vista con l'ottica vostra, che nomi illustri, aziende di rango e fatturati colossali non vadano oltre un apporto di sopravvivenza. E diventino, perdoni, gli uomini neri. «Garantire l'esistenza in vita della Virtus non è poco, né lo trovo dovuto, da parte di chi fa altro nella vita o, come noi, ha già visto, dalla nascita di Coop Alleanza 3.0, sollecitare attenzioni da altri territori. Domando io: perché la Fondazione dovrebbe mettere di più? Se qualcuno ha progetti più alti, è il benvenuto, noi intanto faremo un altro sforzo, anche calando di numero, da 34 a una ventina, sfrondando i soci dormienti». Tornando alla stagione andata, Villalta ha detto di ignorare tuttora i motivi del suo licenziamento da presidente. «C'era un rapporto logorato con Crovetti, che sbagliò nella forma a dare le dimissioni, dopodiché in società ci trovammo a decidere chi dei due fosse più utile restasse. Avrei tentato, personalmente, di finir l'anno con entrambi, prevalse la scelta Crovetti, che rientrò, a gestire bene una situazione delicatissima. Non c'è altro, tantomeno un complotto anti-Renato». Senza Villalta perdeste l'uomo di basket che in società serviva. «Uno che stia fra tecnico e società, un diesse, lo vedo indispensabile anch'io. Renato faceva anche un altro discorso, che condivido meno. A gestire lo sport servono uomini di sport, non manager bravi in azienda e meno vicino ai campi. Ribalto, invece. Lo sport avrà fatto un passo avanti quando smetterà di definire le sue imprese atipiche, arrivando a gestirle come aziende normali. Spagna, Germania, Francia intanto ci hanno già sorpassato. Ci servono manager veri e meno bandiere». La Virtus che verrà, allora. «Sorvolando l'ipotesi A, cui servirebbe quel qualcuno in entrata, siamo concentrati sullo sforzo per l'A2. Squadra da rifare, Fontecchio lo vede partente, e temo che pure per Mazzola e Vitali, che vorremmo tenere, vincerà la legge del professionismo, vai dove pigli di più. Su tecnico e ds i nomi sono quelli fatti. Sui soldi, ne entreranno meno, ma gli abbonamenti già quest'anno pesavano a bilancio per meno del 20%, e perderemo sponsor, il 70% delle entrate, anche perché, ai buoni contratti fatti, s'aggiungevano fondatori che alla cassa versamenti passavano due volte, prima da soci e poi da sponsor. Il budget è pronto, da approvare. Due milioni complessivi, di cui 800mila per la prima squadra, che in A2 non è male. Pronti alla fine, come Fondazione, a ripianare il mezzo milione di perdita». Due anni fa, in intervista, lei mi disse che pensava a una Virtus in grado di autofinanziarsi. «Oggi non lo direi più. Il basket regredisce da vent'anni, piglia dai diritti tv un millesimo del calcio o, per stare alla Virtus, l'un per cento dei suoi introiti, ed è retto ancora su criteri di mecenatismo, senza pero' mecenati. Anzi no, alla Fondazione Virtus, quando si bussa a denari, qualcuno apre ancora».