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Courtside NBA - Chi sale e chi scende dopo l’ultima settimana

Courtside NBA - Chi sale e chi scende dopo l’ultima settimana

NBA Courtside: chi sale e chi scende dopo l’ultima settimana NBA

Settimana alquanto movimentata oltreoceano, con sempre più giocatori nel protocollo e un deciso giro di vite su test e tamponi per contenere al massimo l’incedere dei contagi e, allo stesso tempo, modifiche alle regole fissate a inizio anno sulla durata della quarantena per permettere alle squadre di recuperare quanto prima i giocatori e non ricorrere sistematicamente a firme part-time di free agents. Chi può ritenersi soddisfatto e chi no dopo gli ultimi sette giorni?

Chi sale: Milwaukee Bucks – Chicago Bulls

Milwaukee Bucks: reduci dalla furiosa rimonta nella partita di Natale contro i Boston Celtics, arrivata ovviamente nel segno di Giannis Antetokounmpo (108-96 per Boston a 5:34 dalla fine, 117-113 per Milwaukee dopo l’ingresso del greco che ha chiuso a 36 punti, 12 rimbalzi e 5 assist) i campioni NBA sono tornati a fare paura, forti del 14-2 di record nelle partite con i Big 3 a disposizione: è infatti con Jrue Holiday, Kris Middleton e l’ultimo MVP delle Finals che la squadra di Mike Budenholzer si sta esprimendo al meglio dimostrando di essere ancora a pieno titolo tra le favorite alla vittoria finale. Nel frattempo però, le aggiunte di Grayson Allen, tiratore da 40% da tre su 7 tentativi che al contempo offre un contributo enorme nella metà campo difensiva avendo preso a tutti gli effetti il posto che era di PJ Tucker in squadra come “specialista”, il ritorno di Donte DiVincenzo e il “nuovo” Bobby Portis ormai usato sempre più spesso da centro e ancora difensiva della squadra in quintetti piccoli, stanno dando ai Big 3 un supporto di altissimo livello e rotazioni molto profonde finora capaci di resistere all’assenza di Brook Lopez, uomo fondamentale per spaziature offensive e protezione del ferro. Nelle partite giocate senza Holiday e Middleton inoltre è salito paurosamente di colpi l’apporto offensivo di Pat Connaughton (11.7 punti contro i 6.8 di un anno fa) oltre al contributo di Jordan Nwora in uscita da una panchina che assieme a George Hill e al rientrato alla base Wesley Matthews offre alternative e possibilità di sperimentare quintetti molto diversi tra loro a Budenholzer, che non a caso ieri ha chiuso la sfida con in campo i suoi 3 migliori giocatori più Hill e Matthews, appunto. Milwaukee oggi appare una squadra che ha trovato quasi del tutto una nuova chimica in assenza del centro titolare, con numeri ancora migliorabili (ottavo offensive rating e ottavo defensive rating della lega) ma che ha messo nel mirino il secondo posto dei Chicago Bulls, oggi distante una manciata di vittorie. Non si è mai campioni NBA per caso e la creatura messa in piedi negli ultimi anni, con le aggiunte di uomini chiave e una rinnovata veste tattica che vuole sfruttare al massimo la duttilità sulle due metà campo dei suoi giocatori, è tornata a fare paura.

Chicago Bulls: nemmeno i tanti giocatori nel protocollo covid e gli infortuni sono riusciti a fermare i Chicago Bulls. La squadra di Billy Donovan ormai non è più semplicemente una sorpresa di inizio stagione, ma una realtà con cui Brooklyn Nets e Milwaukee Bucks dovranno realmente fare i conti anche nei Playoffs. Il secondo posto nella Eastern Conference e 7 successi nelle ultime 10 partite sono solo una piccola parte delle buone notizie dell’ultima settimana, in cui dopo il rinvio di alcune partite causa covid la squadra ha ripreso la sua marcia con i successi contro Los Angeles Lakers e Houston Rockets arrivati con un roster abbondantemente rimaneggiato ma che non ha perso nonostante tutto la sua esuberanza offensiva e il DNA difensivo che l’acquisto di alcuni giocatori, Alex Caruso e Lonzo Ball su tutti, ha trasmesso a tutto il gruppo. Con il ritorno in pianta stabile di Coby White, uomo fondamentale per dare pericolosità a una panchina che sulla carta sembra essere l’unico reale punto vulnerabile di questi Bulls, Donovan ha finalmente quello scorer di volume e di energia pronto a dare il cambio agli esterni titolari e nel frattempo, a causa delle tante assenze, ha capito di poter contare anche sul contributo di quelle che a inizio anno sarebbero dovute essere seconde linee come Javonte Green e Derrick Jones Jr, saliti di grado dopo l’infortunio di Patrick Williams, e persino di una firma d’emergenza Alfonso McKinnie. Con il rientro di Nikola Vucevic e di Zach LaVine dai rispettivi acciacchi a Chicago non si scherza più e non è escluso che, a ridosso della trade deadline, i tanti nomi in uscita da squadre di medio basso livello non possano offrire qualche opportunità di rinforzarsi ulteriormente e aggiungere le pedine necessarie per compiere un ultimo e decisivo step. Quello che renderebbe un team prima rivelazione e oggi temuto da tutti, una contender a tutto tondo.

Chi scende: Los Angeles Lakers – Atlanta Hawks

Los Angeles Lakers: 5 sconfitte consecutive, il secondo miglior giocatore della squadra ai box e problemi di tenuta difensiva e chimica offensiva che il tempo, anziché smussare, sembra acuire giorno dopo giorno. I 76 punti di scarto che i Los Angeles Lakers, attualmente settimi nella Western Conference ma praticamente a stretto contatto con ottava e nona piazza distanti mezza partita, hanno subito nelle ultime cinque gare giocate, sono il massimo mai registrato nell’arco di 5 partite da una squadra di LeBron James. 18 punti di margine contro i Minnesota Timberwolves, 5 contro i Chicago Bulls, 18 contro i Phoenix Suns, addirittura 28 contro i San Antonio Spurs e 7, nella notte, contro i Brooklyn Nets: un rullino di marcia che, giunti quasi al giro di boa della stagione 2021-22, non può più mascherarsi dietro un roster interamente stravolto e i problemi fisici che hanno a turno colpito Anthony Davis e LeBron James. Proprio il rendimento del numero 6, che nelle ultime 14 partite sta segnando 30 punti di media con 8 rimbalzi e 7 assist accompagnati da una true shooting del 63%, numeri valsi la miseria di 6 vittorie a fronte di 8 sconfitte, deve rappresentare un ulteriore e definitivo campanello d’allarme per coach Frank Vogel e il suo staff. La convivenza tecnica tra “The King” e il nuovo arrivato in estate Russell Westbrook non ha grossi margini di miglioramento e andava forse messo in preventivo che due giocatori ball-dominant come loro potessero fare estremamente fatica a snaturare la loro pallacanestro a questo punto della carriera. In più, lasciar andare a cuor leggero Alex Caruso, Kentavious Caldwell-Pope e anche Kyle Kuzma ha svuotato la squadra di esterni capaci di muovere i piedi contro le guardie avversarie, perdite che hanno fatto sprofondare la squadra col miglior defensive rating NBA appena un anno fa all’undicesimo posto attuale. L’impressione è che pur ipotizzando nuove soluzioni (dividere al massimo i minuti di Westbrook e James, usare una volta rientrato dall’infortunio Anthony Davis da 5 e senza un altro lungo al suo fianco) questo roster abbia subito una rivoluzione tecnica non necessaria nelle ultime due stagioni, snaturando del tutto la sua vocazione difensiva e finendo con il compromettere anche le sue spaziature offensive. Finita la spinta delle prime straordinarie partite di Carmelo Anthony e non potendo contare ancora regolarmente sull’energia del giovane Austin Reaves, la squadra difetta sia del giusto impianto tecnico che della sufficiente forza per alzare il ritmo, con un gruppo di giocatori quasi tutti sopra i 30 anni che non ispira grandissima fiducia su chance di ripresa sul breve-lungo periodo. La panchina di Vogel sembra traballare ma non è escluso che la dirigenza, compresi a pieno i problemi di un roster costruito male, non decida di rivoluzionare tutto prima di febbraio.

Atlanta Hawks: Dagli ultimi finalisti di Eastern Conference era lecito attendersi di più, arrivati a questo punto. Atlanta, tuttavia, continua a essere una squadra ancora scarsamente decifrabile e che fatica tremendamente a trovare continuità, come testimoniano le 7 sconfitte nelle ultime 10 partite e l’undicesimo posto con un record negativo di 15 vittorie e 17 sconfitte. Nonostante Trae Young stia se possibile dimostrando di essere ulteriormente migliorato nella gestione dei suoi possessi offensivi, con un utilizzo sempre più convinto anche di conclusioni dal midrange per rendere ancora più complesso difendere sul pick and roll per le difese avversarie, il resto del gruppo stenta a offrire, sera dopo sera, un apporto costante. Inutile dire che nelle recenti sconfitte c’è lo zampino enorme del covid che ha costretto il team a rinunciare fino a 8 giocatori a un certo punto, unitisi ad assenze di lungo corso per problemi fisici come quella di De’Andre Hunter, giocatore sulla cui esplosione il front-office puntava molto in estate. I tanti problemi recenti non superano comunque delle difficoltà oggettive nella metà difensiva che vanno ben oltre le defezioni last-minute (Atlanta ha il 24esimo defensive rating della lega) e che un attacco che riesce comunque a trovare con estrema facilità la via del canestro (secondo offensive rating in NBA) non maschera del tutto. L’impressione è che manchino specialisti della materia, in primis, e che anche in questo caso il mercato potrebbe in parte stravolgere un roster che sembra aver trovato i suoi pilastri (oltre a Trae Young, Clint Capela, Kevin Huerter, John Collins e Bogdan Bogdanovic) e guarda con fiducia ai miglioramenti di Cam Reddish, autore del career high da 36 punti contro i Magic a cui ha fatto seguire una solida partita nella sorprendente vittoria contro i 76ers della notte successiva. A riportare coi piedi per terra la squadra di McMillan, la brutta sconfitta nel Christmas Day contro i Knicks. Mancava Young, vero, ma è proprio sulla ricerca di una valida alternativa offensiva al numero 11 e sull’aggiunta di un paio di specialisti difensivi che si deve focalizzare il lavoro della dirigenza, per non perdere quanto di buono fatto lo scorso anno e migliorare una squadra che nei suoi uomini di punta ha il potenziale per diventare davvero grande.

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