La LBA Legend Antonello Riva sta per compiere 60 anni e per l’occasione è stato intervistato da Paolo Bartezzaghi su “La Gazzetta dello Sport” e Fabio Cavagna su “La Provincia di Lecco”, raccontando in primis gli otto anni lontani dalla pallacanestro: “Ho fatto un anno di prova in un’azienda di prodotti per il benessere. È andata bene. Ora con mia moglie lavoriamo nel network marketing. Non ho rimpianti per il basket e gli sarò grato. Questo sport è stato fondamentale nella mia vita. Mi ha dato ancora adesso mi dà tanto, anche se in forma diversa. La fama che ho raggiunto da giocatore mi ha dato enormi vantaggi nella vita. Ero dirigente ma non mi piaceva più quello che stavo facendo. Sono contento così”.
Facendo un salto nel passato, quand’è che Riva ha capito di poter diventare un asso della pallacanestro: “Il primo giorno in cui sono entrato al Pianella e ho stretto la mano a un mostro sacro come Pierluigi Marzorati mi sono subito detto "voglio diventare come te". Del resto, determinazione e motivazione non mi sono mai mancate. Ero consapevole che avrei dovuto intraprendere un certo percorso, ma nel frattempo stavo bruciando le tappe. Quando, quindicenne, coach Arnaldo Taurisano mi volle in ritiro con la squadra di serie A, realizzai che ero sulla strada giusta”.
La più grande soddisfazione raggiunta in carriera? “Il record di punti complessivamente segnati con la Nazionale italiana. Un migliaio in più rispetto al secondo, un certo Dino Meneghin, peraltro... Perché sta a significare che ho sempre onorato la maglia azzurra. Giocando al massimo anche le partite apparentemente insignificanti tipo quelle dei tornei estivi in preparazione a qualche grande appuntamento. E pure durante l'anno non ho mai saputo risparmiarmi anche se poi magari di lì a qualche giorno mi attendeva una sfida molto importante in coppa o in campionato”.
Riva ha poi raccontato di essere stato molto vicino al grande salto in NBA: “Dopo l'Olimpiade del 1984, nella quale venni inserito nel miglior quintetto dei Giochi, ricevetti un invito a un camp dei Golden State. Poi mi ruppi il ginocchio e saltò la possibilità di quel training camp. Non se ne fece nulla, anche perché a quei tempi se fossi andato di là, al ritorno sarei stato considerato straniero per il nostro campionato e non avrei più potuto giocare in Nazionale. Non nascondo, tuttavia, che mi sarebbe piaciuto misurami con quel mondo affascinante”.