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Courtside NBA - Chi sale e chi scende nella settimana

Uno sguardo alla situazione oltreoceano

Courtside NBA - Chi sale e chi scende nella settimana

Nel giorno del sorpasso di LeBron James su Karl Malone alla seconda posizione dei migliori marcatori della storia NBA, tuffiamoci nell’ultima settimana di partite per scoprire chi sale e chi scende nella lega con i Playoffs ormai alle porte.

Chi sale: Miami Heat - Philadelphia 76ers

Miami Heat: 47-24 di record, primo posto con 3 partite di vantaggio sui Philadelphia 76ers, e la certezza che ormai tutte le accreditate al titolo abbiano cerchiato il loro nome come rivale serissima per arrivare in fondo. I Miami Heat 2021-22 continuano a vincere e convincere, rialzandosi anche da sconfitte e incidenti di percorso grazie al solito basket collettivo e a una difesa (la quinta migliore in NBA per defensive rating) forse tra le migliori mai viste da quando la franchigia della Florida è stata affidata alla sapiente gestione di Erik Spoelstra.

Eppure, andando a ritroso, c’erano tanti che poco più di un anno e mezzo fa bollavano la cavalcata di Butler nella bolla di Orlando (chiusa alle Finals contro i Lakers con la sconfitta 4-2) come episodica e figlia delle circostanze eccezionali dettate dal luogo e dal momento di tante squadre. Quella stessa squadra che da molti fu definita una meteora oggi guida l’Est, ma soprattutto dà l’impressione di non aver ancora mostrato la sua miglior versione. Una frase che sembrerà esagerata ma rispecchia la realtà dei fatti: gli Heat hanno infatti saputo rinunciare, su 71 partite giocate, a Bam Adebayo in 25 occasioni, Jimmy Butler 22, Kyle Lowry 17, Tyler Herro 13 e Markieff Morris addirittura 58 dopo il fallo di Jokic nella famosa rissa di novembre. Al completo o almeno con quintetto e rotazioni prefigurate a inizio anno sulla carta, praticamente il gruppo di Spoelstra non è stato mai visto.

E allora, visti gli infortuni, “Spo” si è confermato uno dei migliori allenatori in circolazione nello sviluppare al massimo i giocatori a disposizione riuscendo anche a modificare tendenze di quelli che non sono esattamente rookie - vedi PJ Tucker reso passatore in handoff per sopperire all’assenza di Adebayo (non è un caso che l’ex Bucks viaggi con le migliori stats della carriera per assist e passaggi) - e ritrovandosi ad avere alle porte della postseason quello che ad oggi è forse la squadra più lunga e profonda di tutte. Si, perché dopo aver reso protagonisti i Gabe Vincent, Max Strus, Caleb Martin e Omer Yurtseven di turno oggi Miami - che nel frattempo ha anche riabbracciato Victor Oladipo - può vantare una rotazione potenziale di 10-11 uomini con valide alternative a ognuno dei titolari. 

Una squadra lunga, che ha però ovviamente le sue certezze e capisaldi: gli Heat innanzitutto viaggiano a un ritmo lento (29esimo pace in NBA, esattamente come un anno fa) in campo, provando a rallentare il gioco una volta non materializzatosi il contropiede, difendono il pitturato come nessun altro fa nella lega (primi per punti subiti in area davanti ai Celtics) pur non disponendo del classico big-man stoppatore, ma valorizzando al massimo le caratteristiche di un quintetto molto versatile e che come obiettivo può porsi quello di tenere il più lontano possibile i propri avversari dall’area, con ottimi risultati. Gli Heat inoltre tirano da tre meglio di ogni altra squadra per percentuale, 37.4% davanti ai Chicago Bulls, pur avendo avuto finora dal tiratore designato del team Duncan Robinson percentuali non in linea con quelle di uno e due anni fa. Nessun problema però, perché proprio come detto sopra, Spoelstra si è costruito in casa il sostituto del suo specialista nelle serate più storte al tiro: si chiama Max Strus, ne lascia andare 6.5 a sera e le converte con il 41%. 

A proposito di tiratori e specialisti, i recuperi di Oladipo e Markieff Morris offrono ora alternative di altissimo livello in una second unit che pur pendendo dal controllo totale del ritmo di Tyler Herro, sempre più sesto uomo dell’anno e miglior marcatore della squadra alla pari con Jimmy Butler, può oggi vantare anche un secondo creatore di gioco nonché eccellente difensore, e un lungo capace di aprire il campo e giocare duro quando serve. E nella squadra di Jimmy e Lowry, è un bel vedere. Come lo è nella squadra sempre più di Bam Adebayo, che dopo l’All Star Game o meglio dopo una rovinosa sconfitta macchiata da una sua brutta prestazione contro i Celtics a fine gennaio è salito paurosamente di livello, iniziando a ri(prendere) responsabilità e tiri che il coaching staff gli chiedeva e facendo crescere a dismisura la pericolosità del quintetto titolare della squadra.

Ecco perché tra tutti i team in lotta per emergere ad Est e guadagnarsi le Finals, la squadra praticamente infinita che oggi Miami si ritrova tra le mani è una mina vagante per tutti. 

Philadelphia 76ers: a inseguire gli Heat ci sono Joel Embiid e James Harden, direttamente dalla città dell’amore fraterno. I 76ers post-trade che ha portato il Barba a giocare alla corte di Doc Rivers hanno vinto 8 delle 10 partite giocate con l’ex Nets, mostrandosi di gara in gara sempre più solidi e soprattutto in grado di costruire un gioco rapido e divertente attorno alla loro coppia dei sogni, con un Joel Embiid sempre più credibile rivale di Nikola Jokic per il titolo MVP (30.0 punti e 11.3 rimbalzi di media) e un Harden che ci ha messo pochissimo a prendere nelle mani le redini del gioco della sua nuova squadra. Ne stanno beneficiando in molti, su tutti giocatori come Tyrese Maxey che dopo aver sorpreso per la prima parte di stagione è ulteriormente migliorato sbloccando in un certo senso una versione off the ball mai vista finora ma devastante nell’attaccare le difese avversarie una volta mosse da Harden (23 punti, 6.8 rimbalzi e 10.6 assist di media da giocatore di Phila) o dal pick and roll tra quest’ultimo e Embiid. Le vere domande in casa Philadelphia possono riguardare una panchina che ha inevitabilmente perso qualcosa soprattutto in centimetri e presenza fisica alle spalle del centro camerunese (visti questi Millsap e Jordan e constatata la solita riluttanza di Rivers a utilizzare i giovani, vedi Reed e Bassey) e la tenuta nervosa di un roster che a partire dalle sue superstar e allargando il discorso alla panchina, sa di potersi permettere pochi passi falsi e di essere atteso a un ruolo da protagonista assoluto nei Playoffs che inizieranno a breve. Playoffs che ad oggi potrebbero peraltro regalare un primo turno proprio contro i Nets e l’ex Ben Simmons, in un copione cinico e spietato che solo l’NBA sa regalare. Una notizia che fa paura, considerato che le sconfitte contro Boston, Miami e proprio Brooklyn hanno fatto emergere problemi contro le dirette rivali sui quali occorrerà intervenire in fretta. In questo momento, però, a preoccuparsi non possono che essere proprio queste ultime: James Harden ha preso il posto di un giocatore mai visto quest’anno consentendo alla ex point guard titolare di giocare da guardia e scoprire nuovi utilizzi delle sue caratteristiche fisiche e tecniche e già questo, nella squadra di un potenziale MVP, basta e avanza per fare paura.

Chi scende: Chicago Bulls e le squadre in tanking

Chicago Bulls: cosa succede nella Windy City? È vero, questa squadra ha dovuto e sta combattendo ancora oggi con defezioni importanti (su tutti Patrick Williams out da inizio stagione e finalmente riaggregato in settimana alla squadra satellite in G-League, e Lonzo Ball che dalle 6-8 settimane di stop programmate post operazione al menisco di metà gennaio non è ancora rientrato e pare ne avrà fino a fine anno), ma le sconfitte sistematiche avvenute contro le dirette avversarie dell’Est oltre al momento più in generale negativo (8 partite perse nelle ultime 10) preoccupano non poco coach Billy Donovan, che dopo una prima metà di stagione sensazionale sta vedendo il suo gruppo calare sulla distanza e pagare oltremodo gli sforzi richiesti con rotazioni molto corte viste le assenze per infortuni utilizzate per almeno un paio di mesi. Chicago ha perso 16 partite su 18 contro squadre con un miglior record e questo dato non può più essere sottovalutato, nonostante le assenze: è vero che la timeline di questo gruppo non è sul 2022 e che la prossima estate vedrà quasi certamente Zach LaVine sposare a lungo termine il progetto messo in piedi da Karnisovas mettendo un altro enorme pilastro per la ricostruzione al sicuro, ma dopo le prodezze da inizio anno in tanti avevano pronosticato i Bulls tra le contender nella pur selvaggia Eastern Conference. Non è escluso che ciò avvenga ugualmente, ma il crollo verticale è un segnale che ormai non si può più sottovalutare.

Tanking Teams: qui siamo volutamente generici perché è da missione di inizio anno che si sapeva come, arrivati in questo momento della stagione, tante squadre avrebbero definitivamente abbandonato ogni velleità di vittoria per lanciarsi nella missione draft 2022 e mettersi nelle condizioni migliori per aggiungere il talento generazionale che può cambiare le sorti della franchigia o contribuire ad accelerarne la risalita. Thunder, Rockets, Magic, Pistons, ma anche Blazers, Pacers e Kings - questi ultimi più per demeriti e limiti tecnici che per volontà - stanno rendendo desolante come da programmi il finale della loro annata 2021-22, nella speranza che la lotteria sia benevola e le posizioni il più in alto possibile nella conquista agli Holmgren, Smith, Banchero, Ivey e soci in uscita dalla NCAA. Vedere i potenziali fenomeni del domani impegnati in March Madness non aiuta a invertire la tendenza di chi “tanka”, anzi. Vederli all’opera convince solo di più le rispettive dirigenze a proseguire nel perdere e perderemo, con la speranza (ma alcune delle squadre menzionate ormai ripetono questo motivetto da anni) che questa sia davvero l’ultima stagione perdente per scelta. Non facilissimo, dal momento che anche il più brillante dei talenti non può rovesciare inerzie e culture dedite alle sconfitte in maniera così immediata. 

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