Di Roberto Gennari
Da qualche parte nel frusinate, più precisamente nella zona collinare al confine con l'Abruzzo, ci sono qualche ragazzo o qualche ragazza che hanno ancora appesa al muro della loro camera - conservata in un'elegante cornice in legno come si fa con i quadri di un certo valore - la canotta numero 20 del Basket Veroli indossata da un giovanissimo Kyle Hines. Il viaggio leggendario del nuovo leader all-time Eurolega per rimbalzi offensivi è iniziato, poco casualmente, con la vittoria di un trofeo che per i tifosi giallorossi vale quanto e forse più di un successo nella Final Four continentale, e anche per chi era seduto su quella panchina quel momento indimenticabile del 2009 ha rappresentato l'inizio di un percorso che lo ha portato passo dopo passo a raggiungere i vertici del basket europeo, allenando e plasmando squadre sfavorite sulla carta e in grado di sorprendere nei fatti, ma soprattutto insegnando i suoi principi a giocatori che negli ultimi dieci anni si sono affermati al massimo livello possibile.
Stiamo ovviamente parlando di Andrea Trinchieri, ennesimo prodotto di questa che con una punta di orgoglio potremmo chiamare “scuola italiana” di coach, che solo negli ultimi anni ha prodotto figure di spicco quali Ettore Messina e Sergio Scariolo, due degli allenatori più vincenti d’Europa. Il percorso di Trinchieri è un viaggio alla scoperta del gioco e dei suoi interpreti migliori: a Soresina, trascinata in Legadue al secondo anno da capoallenatore, il coach sceglie di affiancarsi Keith Langford, uno che poi farà un bel pezzo di strada ad alto livello. Come Nicolò Melli e Daniel Hackett, altri due che sono stati allenati e lanciati dal coach milanese, che proprio all’Olimpia Milano aveva mosso i suoi primi passi lungo la linea laterale dei campi di basket delle giovanili delle scarpette rosse. È sorprendente rendersi conto di come stiamo parlando di un allenatore ancora giovane, eppure con un curriculum già importantissimo: sotto la sua guida, Cantù ha avuto le sue migliori stagioni da diversi anni a questa parte, approdando alla finale scudetto e vincendo una Supercoppa Italiana. Al Bamberg, ha portato a casa tre titoli di Bundesliga consecutivi, una coppa di Germania e una Supercoppa tedesca. Ha vinto trofei anche alla guida dell’Unics Kazan, del Bayern Monaco e del Partizan Belgrado. Trinchieri, che attualmente col suo Bayern occupa l’ottava posizione del girone di Eurolega ed è in piena lotta per la Bundesliga, ha la “fama” di allenatore duro, sicuramente molto esigente, ed ha una cura maniacale per i particolari e i dettagli.
Ma è, soprattutto, un coach in grado di valorizzare al massimo il materiale umano a disposizione, un profondo studioso del gioco, oltre ad essere uno che non le manda a dire. Come quando ha spedito direttamente negli spogliatoi il giovane Matej Rudan, ala classe 2001, reo di essere sceso in campo con un atteggiamento mentale sbagliato. Trinchieri punta sempre a far crescere tutto il proprio roster, dalla superstella al giovane emergente, perché le stagioni sono lunghe ed è importante capire cosa può darti ognuno dei giocatori che hai a disposizione, anche a costo di doversi poi ritrovare "costretto", come nel caso di Rudan, a un gesto plateale, per dare una scossa emotiva ad un tuo giocatore.
È un coach che ha sempre il coraggio delle proprie idee, a livello tecnico ma anche di gestione del "prodotto basket" su tutti i livelli, come quando non si sottrae dal dire che in Eurolega si giocano partite a basso punteggio perché tra campionati nazionali, coppe nazionali e torneo continentale è necessario un load management che si potrebbe evitare solo trasformandosi in una superlega a sé stante. Opinione certo non allineata, ma che fornisce uno spunto di riflessione interessante. È un coach che vive la gara in modo per certi versi viscerale, ma che non è fossilizzato su un concetto immutabile di pallacanestro. Le sue sono squadre in grado di cambiare pelle anche più volte nel corso di una stagione, ma anche di un singolo incontro: lui stesso ha dichiarato recentemente di approcciare le partite con almeno quattro game plan a disposizione, perché non sempre, anzi quasi mai, le cose vanno come le abbiamo immaginate.
E pensare che tutto, per lui come per Kyle Hines, con cui da Veroli entrambi hanno spiccato il volo, ha avuto inizio in un McDonald's di Las Vegas: fu lì che Trinchieri, all'epoca un giovane coach emergente con alle spalle l'esperienza di Soresina e una parentesi non felicissima a Caserta, invitò a cena l'ex UNC-Greensboro reduce da un quadriennio in NCAA da quasi 19 punti e 9 rimbalzi di media ma non scelto al draft NBA. Un inizio certo non convenzionale, come poi ammise lo stesso Hines ("per me fu un po’ strano. Mi aspettavo un ristorante di classe, visto che avrei dovuto firmare il mio primo contratto da professionista. Invece eravamo davanti ad un cheeseburger a discutere..."), ma che col senno di poi suggellò le fortune di entrambi: Trinchieri per tre anni consecutivi nominato miglior allenatore (una volta di Legadue, due volte di Serie A), Hines che da Veroli si trasferisce per un anno al Bamberg, prima di costruirsi una carriera di livello stellare tra Olympiacos, CSKA e Olimpia Milano. E pensare che ha avuto tutto inizio da un cheeseburger...