di Filippo Stasi
È John Petrucelli l’ospite settimanale di “5 domande a”. La guardia/ala statunitense - che a breve otterrà anche il passaporto italiano - ha la fama di essere uno dei difensori più arcigni del nostro campionato. Ci ha raccontato cosa lo porta ad essere così aggressivo nella sua metà campo, dopo aver analizzato i progressi compiuti nel corso della stagione dalla squadra di coach Alessandro Magro...
Cominciamo facendo innanzitutto i complimenti a te e ai tuoi compagni, perché quello che state facendo è oggettivamente straordinario. Il riferimento va alle 12 vittorie consecutive in campionato, record societario assoluto per la Leonessa Brescia. A questo punto, sky is the limit non sembrerebbe essere solo un proverbio per la Germani…
Siamo felici per come questi ultimi mesi stanno andando, con la serie di vittorie consecutive ancora aperta che vogliamo allungare ulteriormente. Non tanto per il record in sè, ma perché ci teniamo a concludere nel miglior modo possibile la stagione regolare. Ad oggi mancano 7 partite di campionato e dobbiamo sfruttare ognuna di queste per migliorarci ancora in vista dei playoff. Vogliamo fare del nostro meglio anche in post-season, ma non possiamo focalizzarci già su quello che sarà a maggio: per tenerci stretto il terzo posto in classifica che finora abbiamo dimostrato di meritare, serve concludere la stagione con la stessa concentrazione messa in campo negli ultimi mesi. In questo modo, arriveremo in fiducia e pronti ad affrontare al meglio i playoff, sperando di giocare più partite possibile e di regalare tante emozioni ai nostri tifosi.
Nei primi mesi di stagione Brescia ha faticato non poco, ma dopo un inizio in salita ora state letteralmente volando in classifica, sulle ali dell’entusiasmo. Cosa ha fatto ‘click’, permettendovi di svoltare in positivo la stagione? Qual è stata la scintilla capace di innescare questa clamorosa esplosione a livello di prestazioni e risultati?
Ad inizio stagione non siamo stati brillanti e costanti, ma è normale che ci siano stati alti e bassi. Una squadra completamente nuova e con tanti giocatori esordienti nel campionato italiano (me compreso), aveva bisogno di qualche mese di rodaggio. Serve tempo per conoscersi a vicenda, sviluppare un livello di intesa reciproca soddisfacente e imparare cosa il proprio compagno ama fare, come aiutarsi a vicenda… Sostanzialmente siamo partiti da zero e a maggior ragione quello che siamo riusciti a costruire da agosto a oggi è notevole, ci rende orgogliosi del nostro lavoro quotidiano e ci motiva a continuare a spingere. Ci abbiamo messo un po’ a trovare la strada giusta da percorrere, ma è naturale che sia andata così. Ognuno di noi doveva comprendere il suo ruolo all’interno della squadra, calarsi in quel ruolo e interpretarlo con la massima efficienza possibile. Da qualche mese a questa parte abbiamo trovato un equilibrio tale da permetterci di performare al meglio come collettivo. Non credo ci sia stato un episodio particolare, o una scintilla: fa tutto parte di un processo che - a lungo andare - sta dando i suoi frutti maturi.
Spesso l’opinione pubblica tende a soffermarsi sul dynamic-duo della Germani Brescia, composto da Amedeo Della Valle e da Nazareth Mitrou-Long, rispettivamente primo e quarto miglior realizzatore della Serie A 2021/22. Loro sono senza dubbio i leader tecnici del gruppo, ma forse uno dei segreti di Brescia risiede nella profondità di un roster che può fare affidamento anche, per esempio, sull’esperienza dei diversi veterani. Sei d’accordo?
Al 100%. Amedeo e Naz sono due giocatori di altissimo livello e i loro numeri in attacco non possono certo passare sottotraccia. È giusto che spesso siano loro a prendersi le responsabilità offensive, perché hanno un talento sopra la media nel mettere punti a tabellone e nel creare spazi che noi compagni dobbiamo essere pronti ad aggredire. Anche perché oramai le difese avversarie preparano spesso la partita cercando di arginare proprio le nostre due principali fonti di attacco, per cui la nostra forza è sicuramente saper trovare soluzioni alternative nel corso del match. A turno siamo tutti in grado di fare step-up, come si dice dalle mie parti, sgravando dalla pressione i nostri ball-handler e prendendo iniziativa a nostra volta con pericolosità. Lo facciamo noi esterni, con Lee Moore a Tommy Laquintana che dalla panchina subentrano sempre con un impatto positivo in termini di energia, così come coi lunghi. Inoltre, l’esperienza di Gabriel, Burns e capitan Moss è un valore aggiunto enorme: serve sempre avere dalla propria parte giocatori navigati nella categoria e nel basket europeo in generale. Siamo davvero un grande gruppo, capace di trovare risorse diverse a seconda dell’andamento della partita e di coprire le spalle alle nostre stelle, nel caso gli capiti una partita meno brillante del solito. E coach Magro naturalmente sta facendo un ottimo lavoro affinché tutto ciò riesca al meglio.
Il tuo cognome è italiano e infatti a breve concludere le pratiche per ottenere il passaporto. I tuoi trisnonni lasciarono l’Italia più di un secolo fa per emigrare in America... Che effetto fa riscoprire le proprie radici più profonde, trovandoti nel posto dove queste sono ancorate? E cosa ti sta piacendo di più della tua esperienza italiana?
Ho sempre desiderato poter giocare con il mio cognome stampato sul retro di una divisa di una squadra di Serie A. Finalmente quest’estate si è presentata l’opportunità di Brescia e non me la sono lasciata sfuggire! Per il passaporto sto aspettando ancora un paio di documenti, ma quando saranno pronti dovrebbe essere fatta. La mia famiglia ha origini campane ed è rimasta affettivamente legata all’Italia, nonostante siano passate diverse generazioni da quando i miei trisnonni emigrarono negli USA. Sono contento di essere qui e di poter godere della bellezza incredibile che questa nazione offre. In ogni zona d’Italia c’è qualcosa di tipico e mi attrae scoprire queste differenze, dai costumi culturali alle specialità culinarie… Dovete sapere che sono un mangione! E che sono appassionato di storia, soprattutto antica. Non vedo l’ora di visitare Roma e il meridione, ma lo farò con calma, una volta che la stagione sportiva sarà conclusa… Quindi non ho così tanta fretta, prima c’è da concludere questa annata nel migliore dei modi.
La maggior parte degli appassionati di basket italiano ti considerano uno dei migliori difensori della Serie A. Per cui non possiamo esimerci dal chiederti: chi è l’attaccante che ti ha creato più grattacapi fin qui? E per concludere, parlaci proprio della tua attitudine difensiva, di come la nutri quotidianamente e di cosa diresti ai giovani per stimolarli ad eccellere anche nella propria metà campo.
Rispondo sinceramente alla prima domanda, anche se potrei sembrare di parte: Mitrou-Long rappresenta una minaccia incredibile da disinnescare quando ha la palla in mano. È in grado di farti male in qualsiasi modo, perché gioca aggressivo, è esplosivo, ha un primo passo bruciante, un buon tiro dal palleggio… Davvero, non è per niente facile fermarlo e capire che soluzione adotterà per provare a batterti. Diciamo che ogni giorno in allenamento ho una missione molto sfidante che mi attende… Poi per fortuna il giorno della partita giochiamo nella stessa squadra e il problema passa a uno degli esterni avversari! Quando lo marco in allenamento, cerco sempre di creargli più noie possibili in modo tale che arrivi al giorno gara abituato ad avere a che fare con difese rudi e pronto a imporre il suo ritmo nonostante questo. Cosa significa per me difendere? La considero una missione che ti nobilita il tuo status di giocatore. Se l’attacco individuale è basato sulle proprie abilità - allenabili, ma il talento fa la sua parte - in difesa è tutta una questione di cuore, di tenacia e di motivazione. Non va trascurata la tecnica difensiva, questo va detto, ma alla fine quando si parla di difesa si tratta solo di applicazione e voglia di riconquistare il possesso palla, senza subire. Difendere duramente richiede uno sforzo che non tutti riescono a garantire, sebbene tutti potenzialmente possono essere dei buoni difensori. Per me resta fondamentalmente una questione di cuore, come ho già detto prima. Quanto sei disposto a sacrificarti pur di riuscire a fermare il tuo avversario? Ai giovani consiglio di porsi questa domanda e di trovare in loro stessi la motivazione adeguata per rispondersi.