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Courtside NBA - Chi sale e chi scende nella settimana

Uno sguardo alle serie playoff in corso nel campionato oltreoceano

Courtside NBA - Chi sale e chi scende nella settimana

Con la post-season NBA finalmente entrata nel vivo analizziamo, serie alla mano, le squadre che salgono e scendono in graduatoria nella nostra consueta rubrica.

Chi sale: Boston Celtics, Golden State Warriors

Boston Celtics: in Massachusetts, dopo anni di delusioni, sembra arrivato il momento che tanti attendevano. I Celtics versione 2022 hanno non solo svoltato rispetto a un disastroso inizio di stagione, ma oggi non è utopia inserirli tra le pretendenti più credibili all’anello. La squadra di Ime Udoka, più volte preso di mira dopo la partenza modesta ma sempre supportato dalla dirigenza e in particolare da Brad Stevens, ha messo la freccia da dicembre e in poi e il 3-0 sui poveri malcapitati Brooklyn Nets che mette i biancoverdi in posizione di avere ben 4 potenziali appuntamenti per chiudere la serie controvsquadra di Kevin Durant e Kyrie Irving inquadra meglio di ogni altra cosa le certezze accumulate da Tatum e compagni nonostante l’assenza fino a ieri notte di Robert Williams III, che della difesa delle meraviglie che da gennaio in poi ha riportato la squadra ai vertici della Eastern Conference rappresentava il perno sia in termini di difesa del ferro che per la capacità di cambiare su ogni blocco di tutto lo starting give Celtics. Merito di una rotazione ormai consolidatasi sulle certezze di nome Marcus Smart, Jayson Tatum, Jaylen Brown e Al Horford in assenza di “TimeLord”, con l’indispendabile supporto di Grant Williams e Payton Pritchard, uomini della cui energia è diventato difficile ormai fare a meno. Le tre vittorie della serie, arrivate grazie a un effort difensivo di squadra clamoroso nei confronti di Kevin Durant, sul quale sia in single coverage che con sistematici raddoppi si è esercitata una pressione tale da rendere “easymoneysniper” parente lontano del giocatore a lunghi tratti ammirato in canotta Nets. Una scelta ben precisa, lasciando magari più campo a Kyrie Irving e costringendo continuamente coach Steve Nash a variare le rotazioni per trovare il giusto mix di difesa perimetrale e interna, centimetri al ferro ma soprattutto una impossibilità di avere in campo i migliori tiratori al completo contro i quali il piano resta sempre e comunque quello di attaccarli costringendoli a scomodi mismatch e sfruttando le pessime abitudini difensive di un roster pensato per fare un lungo in più degli avversari. Obiettivo che può essere conciliato anche a una decisa presenza difensiva che può portare Ben Simmons, mai visto finora in campo e alla prima partita in un anno, il cui esordio è previsto per gara 4. Contro questo Jayson Tatum così maturo e così completo in un gioco che sembra aver finalmente aggiunto quel pezzo mancante per anni, non sarà semplicissimo imporsi. Boston è finalmente matura e ora fa davvero paura.

Golden State Warriors: ok, l’MVP Nikola Jokic è solo, più che mai. Ed esporre a una difesa intera un solo attaccante seppur straordinario come il serbo non può che risolversi in una mattanza, come dice il 3-0 con cui la squadra di Steve Kerr guida finora questa serie di primo turno. Troppo evidente la differenza tra i lunghissimi Warriors dalle mille risorse offensive e che possono permettersi il lusso di lasciar partire Steph Curry dalla panchina, utilizzando però “alla Steph” la rivelazione dell’anno, il grande escluso per la corsa al MIL Jordan Poole, X-Factor nei 3 successi di Golden State. La pericolosità perimetrale offerta infatti dalla guardia al terzo anno NBA, unita a una sempre maggiore capacità di creare anche per i compagni e a un feeling a tutto tondo con il resto del roster che gli consente di assumere in tutto e per tutto le vesti di Curry costringendo le difese avversarie ai medesimi accorgimenti, si sta rivelando una delle chiavi della serie e che più in prospettiva fa paura alle future rivali dei Warriors. Che già tremano all’idea della nuova death lineup che Kerr comporrà proprio con la versione originale di Steph e il suo nuovo “adepto” Poole, affiancati da Klay Thompson, Andrew Wiggins e Draymond Green, un quintetto difensivamente e offensivamente scomodissimo per tutti. La capacità di creare in casa un piccolo fenomeno e plasmarla a immagine e somiglianza del giocatore più di tutti in grado di condizionare le difese avversarie con la sua sola presenza è una nota di merito, l’ennesima, per una franchigia che a livello salariale, di scouting e tecnico ha sbagliato pochissimo nell’era Kerr. E che considerate le difficoltà di tutte le altre contender può davvero puntare a un altro Larry O’Brien Trophy in bacheca.

 

Chi scende: Con tante serie Playoffs combattute più del dovuto o altre il cui esito appariva già scontato a monte, non è semplice trovare una vera e propria delusione eccetto i Brooklyn Nets.

È davvero difficile trovare una squadra che stia deludendo più di quella di Steve Nash. Brooklyn, partita coi favori del pronostico, ha affrontato una stagione emotivamente e logisticamente ardua, con la gestione prima del caso-Irving e delle conseguenze in termini di roster, poi dei mal di pancia di James Harden ceduto alla trade deadline per far posto ad un Ben Simmons mai visto in campo finora, e infine all’inevitabile effetto dell’utilizzo sconsiderato di Kevin Durant, i cui straordinari della seconda parte della stagione e dei playin stanno mostrando tutte le loro nefaste ritorsioni. KD, perno offensivo e al contempo unico difensore davvero in grado di contenere Tatum, sta forse chiedendo tanto a un corpo che uscito dall’incubo della rottura del tendine d’Achille e da oltre un anno di stop avrebbe meritato di essere preservato diversamente, e che invece anche dopo l’infortunio di gennaio (prima del quale i Nets, bene ricordarlo, guidavano la Eastern Conference) è stato messo sotto pressione per logorio che ora emerge in tutta la sua prepotenza. E se Durant fatica a inventare in un attacco che oltre a Kyrie Irving si porta dietro una serie di problematiche tecniche e tattiche (i migliori tiratori sono al contempo pessimi difensori, i lunghi in grado di reggere a rimbalzo hanno zero pericolosità offensiva e soffrono nel dover muovere i piedi contro Al Horford e Grant Williams, per non parlare del fresco rientrato Robert Williams. Una serie di problematiche che hanno prima di tutto generato molta confusione nelle rotazioni della squadra, e a ruota problemi di spaziature e tenuta difensiva che il solo rientro di un giocatore fuori da un anno non possono risolvere per magia. In più, pur con tutte le attenuanti del caso, la pressione su una squadra da molti data per favorita numero 1 a ottobre, passata per il playin e ora a un passo dal baratro non facilita le cose. Aggiungiamoci il colpo di grazia, ovvero il tiro di Tatum a fil di sirena di gara 2 a stroncare anche emotivamente le speranze di riaprire la serie, e la frittata è fatta. Brooklyn è nei guai.

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