A primo turno completato e con le semifinali di Conference alle porte (si inizia stasera Bucks-Celtics e Warriors-Grizzlies) scopriamo chi sale e chi scende dopo l’ultima settimana di partite NBA.
Chi sale: Memphis Grizzlies e Phoenix Suns
Memphis Grizzlies: il passaggio del turno e l’accesso alla semifinale contro i Warriors di Steph Curry è ovviamente il motivo principale della presenza di Ja Morant e compagni tra i promossi della settimana. La squadra allenata da Taylor Jenkins ha sudato più di quanto non potesse prevedersi - classifica alla mano - contro i Minnesota Timberwolves, imponendosi per 4-2 con il close-out game vinto a domicilio dopo una rimonta, l’ennesima, dalla doppia cifra di svantaggio dell’ultimo quarto. La notizia davvero positiva per il team che ha chiuso la stagione regolare con il secondo miglior record assoluto della lega è la conferma della profondità di un roster che ha saputo sopperire alla grande alla brutta serie giocata dalla superstar Ja Morant. Il numero 12 ha infatti faticato molto al tiro e in difesa, soffrendo la fisicità degli esterni T’Wolves e mostrando una shot selection decisamente migliorabile e ad oggi non in grado di garantire lo stesso livello di prestazioni quando - come in questa serie - gli viene negata la via al ferro. Nessun problema, però: il supporting-cast composto da Desmond Bane (miglior marcatore di Memphis nella serie con oltre 23 punti di media), Brandon Clarke (le cui giocate a rimbalzo offensivo sono state fondamentali in gara 5 e 6) e Dillon Brooks ha offerto a Jenkins una varietà di soluzioni andata ben oltre ogni più rosea aspettativa per un gruppo di talento ma inevitabilmente esposto a errori di esperienza nella sua prima esperienza di post-season. Con Jaren Jackson Jr ancora una volta in difficoltà per i troppi falli commessi, ipotizzare una serie combattuta più di ogni previsione contro Golden State non è eresia: i due migliori giocatori della squadra non hanno ancora lasciato il segno come potrebbero. Un motivo in più per essere ottimisti sia per il futuro che per l’imminente semifinale: in Tennessee si stanno facendo le cose in grande e la strada è davvero quella giusta.
New Orleans Pelicans: può una squadra eliminata essere tra le promosse di questa rubrica? Certamente, se si parla dei New Orleans Pelicans. La squadra orfana di Zion Williamson da inizio anno e che proprio con il ragazzo proveniente da Duke dovrà prendere una decisione sulla probabile estensione contrattuale che vincolerà tante delle mosse future della franchigia, ha giocato una post-season e più in generale una seconda parte di stagione di livello assoluto. E considerando la partenza a dir poco disastrosa (una vittoria nelle prime 13 partite, tre nelle prime 16) e l’assenza della superstar nominale della squadra, il giudizio di questo 2021/22 non può che essere estremamente positivo. I Pelicans hanno scelto con estrema intelligenza sia al draft (con Herbert Jones in primis ma anche con Murphy) che al di fuori di questo (essenziale l’agonismo di Jose Alvarado, undrafted, nel cementare questo gruppo) ma soprattutto hanno avuto il coraggio di provare a svoltare una stagione che tante altre squadre avrebbero in qualche modo accettato di archiviare accelerando il processo di costruzione del team e acquisendo via trade un CJ McCollum che non ha solo garantito finalmente una capacità di creazione dal palleggio e uno scoring totalmente assente nel roster di inizio anno (dove Graham era il giocatore designato a questo compito, rivelandosi però non all’altezza), ma ha avuto anche il merito indiretto di liberare definitivamente Brandon Ingram, che con una spalla del suo livello affianco è esploso giocando un primo turno da vera superstar e che ha ripagato finalmente le aspettative che in tanti riponevano su di lui prima del draft. In più, acquisire sempre a febbraio Larry Nance e scommettere la scorsa estate sulla perimetralità di Jonas Valanciunas al posto dei muscoli di Steven Adams è stata un ulteriore scelta vincente. Per finire, affidare questo gruppo alle sapienti mani di Willie Green ha fatto scattare una scintilla sfociata prima nella rimonta valsa il decimo posto e l’ultima piazza play-in, poi le 2 vittorie nel torneo di spareggio che hanno garantito l’accesso al tabellone principale dei Playoffs, infine 6 partite giocate da grande squadra contro la Phoenix schiacciasassi di quest’anno, complice anche l’assenza di Booker per tre gare della serie. Un miglioramento netto che ora pone anche legittime aspettative su un roster già apparso di estremo talento e pronto ad aggiungere un Zion che fermo un intero anno può finalmente spiccare il volo, salute permettendo. Una salute che lui rappresentare il crocevia tra una squadra promettente e, perché no, una contender. La svolta culturale in Louisiana è tale da non porre limiti a questo gruppo.
Chi scende: Utah Jazz
Che i Jazz potessero essere eliminati contro i Mavs era un po’ l’idea di tutti, nonostante l’assenza di Luka Doncic per le prime tre gare della serie. Come era nell’aria che, in un modo o nell’altro, un’eliminazione avrebbe definitivamente chiuso il ciclo di questo roster, con le voci su possibili cessioni delle due star Donovan Mitchell e Rudy Gobert a rincorrersi già durante la stagione regolare e ora esplose in maniera incontrollabile tra i vari insider americani. Utah “scende” in questa rubrica non solo per aver salutato anzitempo la post-season, ma anche perché la sconfitta beffarda di gara 6, con la tripla di Bogdanovic sulla sirena sputata fuori dal ferro, rappresenta il sipario sugli anni più brillanti della franchigia dai fasti di Stockton e Malone. Un ciclo che ha regalato soddisfazioni estreme ma con un andamento drammaticamente regolare, tra stagioni regolari entusiasmanti e cocenti eliminazioni ai Playoffs. Eliminazioni figli di un roster quasi vicino alla perfezione ma mai completato a dovere, soprattutto difensivamente dove la presenza di Gobert è stata troppo spesso ritenuta sufficiente a coprire le altre lacune strutturali nel reparto esterni. Tra il tiro di Mike Conley morto sul ferro nella bolla di Orlando contro i Nuggets e quello di Bogdanovic, il gruppo ha subito troppi scossoni emotivi per pensare di poter proseguire con le stesse fondamenta. Ecco perché dalla guida tecnica ai migliori giocatori della squadra, oggi sono tutti in discussione. E pronti alla rivoluzione.