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Courtside NBA Special - Promossi e bocciati della stagione: Atlantic Division

Le pagelle sulla division nord oriental della NBA

Courtside NBA Special - Promossi e bocciati della stagione: Atlantic Division

Con le Finali di Conference entrate nella fase cruciale (attualmente i Warriors sono in vantaggio 2-0 contro i Dallas Mavericks mentre i Miami Heat si sono imposti in gara 3 nella notte contro i Boston Celtics e conducono la serie 2-1) ripercorriamo la stagione regolare 2021/22 con promossi e bocciati di ogni Division. E dopo la Southeast oggi è il turno della Atlantic Division, quella vinta proprio da Jayson Tatum e soci ancora protagonisti in questi Playoffs. Partiamo proprio dalla squadra di Ime Udoka nelle nostre pagelle.

Boston Celtics: promossi a pieni voti. Al di là di come si concluderà la serie contro i Miami Heat, il giudizio su questi Celtics non può che essere estremamente positivo. Dopo qualche stagione di troppo nel limbo delle squadre promettenti ma mai realmente in grado di fare il salto di qualità che in Massachusetts si attendeva dall’addio di LeBron James ai Cavaliers che sembrava poter spianare la strada alla squadra allora allenata da Brad Stevens, la franchigia ha optato per un drastico cambiamento a livello tecnico e dirigenziale. Ime Udoka nominato nuovo head coach, con Stevens passato al front-office, e rivoluzione anche nel roster con il ritorno di Al Horford, gli addii a Kemba Walker ed Evan Fournier e – a metà stagione – la trade per Derrick White. Il risultato è stato un crescendo continuo: partiti con qualche difficoltà di troppo alla ricerca di una nuova identità offensiva e difensiva, i Celtics si sono trovati ai margini della zona play-in con un record appena vicino al 50% fino a gennaio, per poi iniziare a macinare vittorie su vittorie fino a conquistare il primo posto della Division e il secondo dell’intera Conference, valso il primo turno contro i Nets di Durant e una semifinale contro i Bucks di Giannis Antetokounmpo, entrambi superati fino ad approdare alla finale contro gli Heat giunta a gara 3. Il modo in cui Ime Udoka è riuscito a costruire una rotazione di 7/8 uomini tutti equamente affidabili in difesa, con un quintetto iper-versatile e una convivenza tecnica tra le due star della squadra Jayson Tatum e Jaylen Brown giunta finalmente nella sua fase più matura, è encomiabile. Boston ha avuto coraggio e idee, e dopo anni di semina raccoglie finalmente i frutti del suo progetto.

Brooklyn Nets: bocciati. Non potrebbe essere altrimenti per la squadra partita coi favori del pronostico per il secondo anno di fila e uscita miseramente al primo turno con un roboante 4-0 che non lascia molti margini per rivalutare una stagione che in realtà era iniziata anche in maniera positiva, grazie a un Kevin Durant in formato MVP, ma che ha rapidamente preso una brutta piega che le scorie che la decisione di non vaccinarsi di Kyrie Irving – con conseguente impossibilità a presenziare alle sfide casalinghe per la legislazione dello Stato di New York poi allargata a tutte le partite per scelta della franchigia – hanno avuto su tutti gli equilibri del gruppo. James Harden, reduce dall’infortunio che già negli scorsi Playoffs ne aveva condizionato pesantemente il rendimento, si è quindi trovato costretto a forzare i tempi di rientro, trovando non poche difficoltà con il progredire della stagione, e in poche settimane la gestione dell’intero roster è diventata un problema per Steve Nash. Il reintegro in squadra di Kyrie per le gare casalinghe non ha tuttavia migliorato la situazione, portando anzi alla richiesta di trade del mancino ex Rockets sfociata nello scambio con quel Ben Simmons mai visto in campo da febbraio ai Playoffs, in un trend non ha dato segni di inversione fino al cocente sweep contro Boston. L’era Big 3 si conclude quindi con un nulla di fatto e con una serie di crepe tecniche e gestionali su cui sarà difficile intervenire. Dalla questione-Irving (scambiare o estendere il contratto) alla free-agency in cui entreranno gran parte dei role players a roster, Bruce Brown su tutti, fino allo stato psico-fisico di Ben Simmons che tutti sperano di vedere ai nastri di partenza della prossima stagione: tante grane da risolvere, poche certezze.

New York Knicks: bocciati. Dal 41-31 di un anno fa al 37-45 di questa stagione, dal primo turno dei Playoffs a mancare anche il Play-in. Una delle sorprese del 2020-21 si è tramutata in pochissimo tempo in delusione dell’anno in coabitazione proprio con i Brooklyn Nets. I Knicks di Tom Thibodeau, passato da idolo della città a uno dei principali uomini sul banco degli imputati, avevano anche provato in off-season ad aggiungere quello che maggiormente era mancato lo scorso anno, ovvero imprevedibilità offensiva e alternative al gioco di Julius Randle, finendo però con lo snaturarsi nella propria metà campo senza nemmeno avere reali benefici in attacco. I nuovi volti Evan Fournier e Kemba Walker hanno reso ben al di sotto delle aspettative, lo stesso Randle è apparso involuto e in aperto conflitto con compagni e ambiente, e fatta eccezione per i miglioramenti di RJ Barrett il 2022 si è trasformato in un mezzo fallimento al quale non sembra esserci rimedio diverso da ulteriori scelte drastiche da compiere in estate. La caccia al grande nome di impatto è aperta, gli scontenti da prendere di mira sono tanti e l’appeal della franchigia resta sempre altissimo. Rimboccarsi le maniche e ripartire da zero, se serve, è il mantra nella Grande Mela.

Philadelphia 76ers: rimandati. Di positivo c’è aver finalmente costruito un sistema Embiid-centrico, non a caso sfociato nella stagione da MVP del centro camerunese, autentico trascinatore della squadra fino alle semifinali di Conference poi perse – anche a causa del suo infortunio – contro i Miami Heat. L’esplosione di Tyrese Maxey regala un’ulteriore certezza su cui puntare per l’immediato futuro ma il problema, inutile girarci attorno, si chiama James Harden. Arrivato a colmare uno spot sostanzialmente inutilizzato con en Simmons mai sceso in campo dopo l’eliminazione di un anno fa contro gli Atlanta Hawks, il Barba ha mostrato lampi del suo talento proprio dopo il suo approdo in città, salvo poi ricadere in quei problemi fisici che hanno mostrato una volta di più come i postumi dell’infortunio patito un anno fa non siano del tutto superati e necessitino riposo. E per un attacco disperatamente alla ricerca di secondi violini accanto a Embiid, poter contare solo sulla copia sbiadita di uno dei migliori giocatori dell’ultimo decennio è stato il colpo di grazia. L’assenza di alternative in panchina con rotazioni corte e poche certezze in second-unit ha fatto il resto, lasciando nelle mani del GM Daryl Morey la patata bollente di questa off-season, a suo modo speculare a quella dei Nets compagni di trade proprio: cosa fare con Harden? Sul tavolo c’è un possibile rinnovo di 5 anni a oltre 200 milioni di dollari, tutto da discutere vista l’ultima stagione. In più, ci sarà da prendere una decisione su Tobias Harris e sul suo ingombrante salario e vero ostacolo alla flessibilità necessaria per operare in modo massiccio sul mercato. Tra tanti punti interrogativi, una certezza: lo staff tecnico, a partire da Doc Rivers, è stato interamente confermato. Sul resto c’è tanto da lavorare ma quando parti dal secondo giocatore più dominante della stagione metà del lavoro è già fatta.

Toronto Raptors: promossi, a pieni voti, e con un futuro che può regalare ancora più gioie. I Raptors di Nick Nurse, partiti senza ambizione di centrare la post-season costruendo un gruppo giovane per tornare ai fasti degli ultimi anni chiusi formalmente con l’addio a Kyle Lowry, si sono rivelati una delle squadre rivelazione dell’anno. Il quinto posto della Eastern Conference è valso il primo turno – poi perso – contro i Philadephia 76ers, ma non è nell’eliminazione subita contro Embiid e soci che va ricercato il giudizio finale del 2021-22 dei canadesi. La scelta di Scottie Barnes, premiato con il rookie dell’anno nonostante lo scetticismo che aveva accompagnato la decisione di puntare su di lui allo scorso draft, si è rivelata vincente, così come l’idea di fondo di giocare con un quintetto super-size con 4, spesso 5 ali in campo in grado di cambiare su ogni uomo e complesse da affrontare in difesa e a rimbalzo. La prima parte di stagione di Fred VanVleet da All-Star e la seconda da superstar di Pascal Siakam hanno offerto le certezze offensive necessarie ad un roster giovane per crescere senza pressioni e con un’equa ripartizione di responsabilità. Oggi Toronto si gode un gruppo versatile e tra i più futuribili per potenziale sulle due metà campo, con l’impressione che il tanto talento mediamente distribuito a roster possa essere usato da un momento all’altro per dare una serissima accelerata al progetto puntando su un giocatore “alla Kawhi”. Un obiettivo sempre d’attualità con uno dei migliori GM in circolazione, Masai Ujiri.

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