In una lunga intervista concessa ad Umberto Zapelloni su “Il Foglio”, il regista Massimo Finazzer Flory – firma del docufilm “Un coach come padre” dedicato a Sandro Gamba – ha raccontato della sua grande passione verso la pallacanestro: “Il mio innamoramento per il basket nasce su due temi: l'identità e la libertà. Mi innamoro del basket americano attraverso Dan Peterson e quindi anelo alla libertà attraverso il basket Nba, ma il basket per me che sono nato a Monfalcone, sul confine, è anche identità perché giocare a basket al campetto voleva dire giocare sempre contro la Jugoslavia, ogni giorno era un'Italia-Jugoslavia, una battaglia per l'identità e gli slavi erano il basket europeo. Così avevo da una parte il modello Nba attraverso la tv e dall'altra la sfida al campetto nel nome dei nostri colori”.
“Il basket è sospeso tra il cielo e la terra, ha questa magia in cui il gesto tecnico è sospeso tra cielo e terra... – racconta Finazzer-Flory - quando giocavo amavo il rimbalzo perché nel rimbalzo ci vedo qualcosa di thriller, la palla rimbalza e non si sa che cosa succede, certamente qualcosa di emozionante”.
Ma non solo, la pallacanestro per il regista è anche integrazione ed arte: “Il basket lo considero sul piano politico: è integrazione razziale. In anni non sospetti non c'era sport che integrava tanti diversi colori della pelle quanto il basket. Credo che sia l'unico sport in cui un bianco desidera essere nero. Diciamoci la verità tutti noi vicini ai sessant'anni abbiamo sognato di essere Julius Erving, il mitico Doctor J, anche con i suoi capelli ricci, ci sarebbe bastato saltare come lui. Ma il basket è anche arte Basta prendersi delle opere di Boccioni, guardarsi la Città che sale e vedere altre opere futuriste per capire che quella pittura, quella verticalità, quell'energia in movimento sono il basket che però ha anche un'altra dimensione, quella del jazz perché è una ricomposizione del tempo. Il basket gioca con il tempo. E poi il basket è anche scienza. La faccia del basket oggi è la statistica che è un ramo della matematica. Quindi il basket è scienza è musica è politica, è arte, ma alla fine è anche danza perché i tre passi di un giocatore marcato sono un'azione coreografica e anche tecnica. Non può farne quattro, potrebbe non bastartene farne uno e mezzo... c'è tutta una danza dentro dei tempi”.
Finazzer Flory è poi un grande tifoso dell’Olimpia e lo è diventato grazie a due vie: “Una goriziana perché a Milano arriva un mio amico con cui mi allenavo: Roberto Premier. Lo adoravo, era il mio punto di riferimento perché giocavo un po' nel suo stesso ruolo nelle giovanili. Io lo seguo a Milano per vedere una squadra che già guardavo in tv quando giocava in Europa. Per seguire Roberto ho cominciato a venire a Milano e poi a metà degli anni Novanta sono diventato milanese. Adesso sono più di vent'anni che non mi perdo una partita. Ho fatto un po' di Palalido, poi non ho perso una sfida ad Assago. So vita, morte e pochi miracoli del Forum”.