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LBA Under 23 – Lodovico Deangeli: “Quando giochi lo fai per vincere, per la città e per i tifosi, io gioco anche per coach Legovich perché sento di dovergli qualcosa”

Un cuore d'oro diviso tra le iniziative per il sociale, il ruolo di capitano e la vita da triestino

LBA Under 23 – Lodovico Deangeli: “Quando giochi lo fai per vincere, per la città e per i tifosi, io gioco anche per coach Legovich perché sento di dovergli qualcosa”

Il ruolo del giocatore professionista non è semplice: l'asticella deve rimanere costantemente alta, in allenamento essere uno stakanovista ed un perfezionista può aiutarti ad entrare maggiormente in sintonia con il coach, inoltre la tua vita ruota solamente intorno al lavoro e trovare un momento di pace non è mai semplice. Ora immagina avere 22 anni ed essere il capitano di una squadra di Serie A, immagina indossare i colori della tua città e conoscere chiunque incontri per quelle zone. Lodovico Deangeli vive questa esperienza come un 'people's champ', un campione del popolo che non ha bisogno di premi individuali e partite da 40 punti per essere amato; detto ciò bastano pochi semplici gesti per guadagnarsi questa fama e il classe 2000 è il classico ragazzo della porta accanto che accontenta tutti, dentro e fuori dal campo.

Durante le vacanze ho fatto visita ai bambini del Burlo, l'ospedale infantile qui a Trieste, per portargli dei regali di Natale un po' in ritardo. Mi piacciono da morire i bimbi, ho un fratellino piccolo che in realtà non è più piccolo perché ha 16 anni, però da sempre bambine e bambini di tutte le età mi scaldano il cuore. Sono per il sociale in generale, ma specialmente per la mia città: io sono triestino e quindi oltre a giocare con la Pallacanestro Trieste sento anche un legame particolare con la comunità”.

La città di Trieste è un meltin' pot di storia e cultura, da secoli un ponte tra l'Europa centrale e quella meridionale. Fa parte del territorio italiano, ma è come se appartenesse solo a se stessa e questo gli abitanti ci tengono particolarmente a sottolinearlo. Il nostro protagonista ha ovviamente un legame intimo con questo splendido capoluogo e aver conquistato la massima serie con il club con cui ha vissuto ogni singola avventura cestistica, è stata un'emozione difficile da descrivere a parole perché se sei triestino la senti direttamente sottopelle.

Il legame con Trieste è sicuramente molto pronunciato, perché ho fatto tutto qui: dalle scuole agli inizi nella pallacanestro con il mini-basket; ho saltato solo due anni della mia vita fuori da questa città quando ho giocato a Biella e a Udine in A2, poi sono tornato subito qui. Sono un triestino doc diciamo e quindi essere anche capitano della squadra a 22 anni è veramente un sogno. Per quanto riguarda la promozione in Serie A del 2017-2018, ricordo che avevo appena compiuto 18 anni ed è stato stupendo perché ricordo di averla vissuta in palestra con un altro giovane che è Matteo Schina adesso a Torino; chiaramente abbiamo giocato poco e niente, però essere tutti i giorni lì e viverla dall'interno è stato strepitoso. Piccolo aneddoto: quella squadra lì ai play-off perse solamente una partita, il record al termine della cavalcata fu di 12-1 e quella gara la perse il 18 maggio 2018 a Montegranaro in gara-3; il giorno successivo facevo proprio 18 anni e quindi io ai più esperti chiesi di vincere quella partita per poter tornare a casa e festeggiare bene il mio compleanno, invece è stata l'unica persa in un mese e mezzo di play-off e quindi il mio diciottesimo lo feci a Montegranaro”.

Lungo il tuo cammino – sia esso all'inizio, a metà o alla fine – ci sarà sempre un mentore in grado di indicarti la via o di riportare alla luce momenti in cui non ti sei fermato a riflettere abbastanza rispetto a quanto in realtà avresti dovuto. Lodovico è giovane, ma non gli sono mancate le esperienze e soprattutto non gli è mancato l'incontro con quella figura che volente o nolente ha posto l'asticella alla sua carriera: coach Marco Legovich, un ragazzo poco più grande di lui capace di capire da subito il potenziale di chi aveva di fronte; infatti gli disse “ci vediamo in Serie A”, a testimonianza di quanto credesse sia in se stesso sia nell'ala triestina.

 

Ho vissuto quella frase come un obiettivo, un sogno da inseguire. Mi ricordo che eravamo in rappresentativa regionale: io avevo 13 anni e lui era un giovanissimo apprendista allenatore al quale era stato affidato questo gruppo di ragazzini. Vincemmo il trofeo delle province e mi ricordo che ero vispo, non propriamente il più forte del gruppo ma ero bravino e allora lui evidentemente aveva visto qualcosa, forse perché ero alto e longilineo, così mi disse quella frase. Questo dimostra anche per quanto riguarda lui, l'ambizione che ha sempre avuto, perché come io ai tempi ero un ragazzino di 13 anni lui era un allenatore di 20/21 anni che di base non aveva mai allenato nessuno, però come l'aveva buttata lì a me di sicuro lui ci credeva senz'altro; perciò il fatto che ci siamo ritrovati a casa nostra in Serie A per davvero sembra un film. Indipendentemente dai ruoli io penso che i rapporti non cambino, dunque se per me una persona vale come un esempio da seguire o un fratello maggiore, anche dovesse diventare il Presidente della Repubblica tra noi non cambia nulla; di sicuro cambierà l'approccio con lui specialmente in pubblico, però appunto se cambia il tipo di rapporto allora significa che non era così bello come sembrava. Io e coach Legovich abbiamo avuto un inizio un po' travagliato dopo quel 2013; successivamente quando avevo 17/18 anni, nell'anno della promozione mi smezzavo tra gli allenamenti con la prima squadra, la Serie C e l'Under 18. Non sempre riuscivo ad allenarmi con la Serie C e con l'Under 18, perché bisognava essere in palestra con la Serie A, ma non mi allenavo e quindi c'era una storia un po' così; io e lui ci siamo pizzicati un paio di volte e quindi non ci siamo parlati per un po', senza ovviamente mai litigare pesantemente. L'anno scorso ci siamo ritrovati: lui era l'assistente e io ero tornato, da lì abbiamo iniziato un lavoro individuale sempre insieme, messaggi, spunti e questa estate è culminata con lui da capo allenatore e io da capitano. Sicuramente è una persona che stimo molto dal punto di vista lavorativo ed umano; chiaramente quando giochi lo fai sempre per vincere, per la città e per te, però io gioco anche per lui quando sono in campo, perché sento di dovergli qualcosa”.

Aggiustamenti tattici, ambizioni e idoli; così procede spedito il passo del classe 2000 che ogni giorno studia ed impara, analizza e riflette fino a trovare la risposta alla sua domanda. Non ci sono cose impossibili nella vita, semplicemente alcune possono riuscire con semplicità mentre per altre serve lavorare il doppio; tuttavia, il duro lavoro spesso può superare il talento.

Ho sempre giocato da 4, poi negli ultimi anni ho provato a spostarmi nello spot di 3 per giocare più da esterno. Con lui (Marco Legovich, ndr) ho completato questo passaggio l'anno scorso durante tutta l'annata e quindi oggi gioco unicamente da 3, a meno che non ci sia una partita particolare o uno dei lunghi non sta bene fisicamente e allora gioco da 4. Per me avere una doppia dimensione è una cosa bella perché ti rende utile e ti dà più possibilità di giocare proprio per il fatto di poter giocare in due ruoli. Il giocatore che a me piace molto è Nikola Kalinic del Barcellona, un serbo che gioca tra il 3 e il 4 – chiaramente ad altri livelli perché parliamo di alta Eurolega – ed è uno che non è un fenomeno naturale – cosa che appunto non sono nemmeno io – ma è uno che con il lavoro si è guadagnato tutto quello che ha; perciò oltre a ricoprire lo stesso ruolo, per me è anche un grande esempio perché nonostante giochi ad un livello più alto sento sia un qualcuno che posso provare a raggiungere o ad avvicinarmi. Non è uno Shane Larkin e quindi uno nato fenomeno oppure un Kevin Durant che palleggia come una guardia, cioè quelli per me sono proprio dei fuoriclasse; Kalinic invece è uno a cui potrei provare ad avvicinarmi lavorando sodo tutti i giorni. Mi piacerebbe giocarci uno contro uno, ma non so se lui avrebbe piacere a farlo contro un ragazzo sconosciuto di Trieste; se la scorsa estate fosse venuto a giocare in Italia come dicevano i rumors penso che mi sarei emozionato e lo avrei aspettato a fine partita per chiedergli la maglia”.

Maturo nonostante l'età, sicuro di sé nonostante l'umiltà sia il pregio che lo definisce maggiormente. Il basket è parte integrante della sua vita fin da piccolo e ogni singolo tassello del puzzle che compone la sua carriera dalle giovanili ad oggi lo ha vissuto con Trieste, togliendosi non poche soddisfazioni sia a livello personale sia di squadra.

 

Non sono mai stato uno da premi individuali, perché non sono mai saltato all'occhio così tanto non essendo un fuoriclasse, però sono legato a due premi in particolare: il primo – che non è propriamente un premio – è l'esperienza con la Next Gen, perché ci sono arrivato con un gruppo di ragazzi con cui ho condiviso anni e anni di giovanili; una competizione che sentivo molto proprio perché con alcuni di loro ho fatto anche le scuole elementari, perciò eliminare Venezia al Taliercio è stato bellissimo. L'altro premio è quello del miglior Under 21 della Coppa Italia di A2 vinto due anni fa a Udine: abbiamo perso la finale con Napoli, però siamo arrivati alla coppa da sfavoriti perché ci siamo qualificati da quarti; tuttavia abbiamo eliminato Forlì che era la prima testa di serie, poi Scafati in semifinale e infine siamo arrivati ad un passo dal vincere contro Napoli un trofeo storico per una piccola città come Udine. Io sono tornato a casa con un mezzo sorriso proprio perché sono stato premiato, poi sai non si gioca a basket per i premi individuali non è il tennis e non è nemmeno una cosa che mi interessa un granché, però diciamo che se hai la possibilità di vincerne uno ogni tanto lo ricordi con piacere

Un viaggio all'interno del mondo targato Deangeli significa vivere momenti non banali, da ogni angolo una sorpresa, da ogni cilindro un coniglio; probabilmente siamo troppo abituati ad associare social media e riflettori alla vita dei ragazzi della nuova generazione, tuttavia fare di tutta l'erba un fascio non ci aiuta a comprendere a pieno il lato umano di chi prova a parlare la propria lingua in pochi semplici gesti.

Io sono abitudinario sicuramente e nel pre-partita cerco di stare tranquillo: sto a casa, mi rilasso, solitamente non dormo nel pomeriggio tra un allenamento e l'altro, ma il giorno della partita se riesco magari un'oretta la dormo; nel riscaldamento prima di iniziare a giocare faccio sempre le stesse cose, sempre gli stessi tiri, sempre gli stessi movimenti, sempre tutto uguale. Non sono maniacale, cioè posso sforare ogni tanto e non seguire tutto alla lettera, però sono abitudinario nella vita e quindi anche nel giorno della partita. Non sono un uomo da playlist perché non seguo le hit del momento, perciò non sono un grande 'rapper' o 'trapper'; a me piace molto la musica, ma in particolare la musica italiana e ancora più nello specifico quella retrò: ascolto Adriano Celentano, Franco Battiato, Lucio Dalla, eccetera. Questo perché ho una carica agonistica tale che se il giorno della partita mi ascoltassi anche la musica a palla o musica aggressiva, entro dentro il palazzetto e do una testata a qualcosa altro che giocare a basket (ride, ndr); invece con questa musica sto tranquillo, respiro, belle parole, canzoni profonde, magari chiamo mia mamma e la mia ragazza, insomma sto tranquillo e poi dopo entro in campo”.

Vi racconto una chicca che mi è venuta in mente, certamente non è un segreto ma non l'ho mai raccontata nelle varie interviste: abbiamo parlato di me che sono un triestino doc, sono cresciuto qui, capitano della mia squadra a 22 anni; tuttavia come ben sapete ci sono anche le rivalità tra le città soprattutto con quelle vicine, perciò diciamo che nessuno potrebbe immaginare che il capitano triestino della Pallacanestro Trieste portatore di triestinità abbia la morosa di Udine. È un derby incredibile, ci odiamo, adesso loro stanno anche cercando di salire in Serie A e già l'anno scorso non ci sono riusciti per un pelo. Diciamo che se lo sanno in troppi forse mi destituiscono, non lo so (ride, ndr). Il derby ovviamente c'è anche in casa. Questo è l'aneddoto più nascosto, non ho grossi scheletri nell'armadio oltre questo, quindi eccomi uscito allo scoperto (ride, ndr)

La IBSA Next Gen Cup è il palcoscenico perfetto per mettere in mostra i futuri talenti della pallacanestro italiana ed internazionale. Un'esperienza da vivere seduti sugli spalti ad ammirare chi ogni giorno insegue il suo sogno, ma ovviamente – per quanto riguarda i ragazzi coinvolti – anche una gavetta necessaria per conquistarsi qualche presenza con la squadra senior, magari proprio dopo aver alzato il trofeo o essere stato tra i protagonisti.

Consiglio ai ragazzi che giocano la IBSA Next Gen Cup di godersela, perché oltre ad essere una bellissima esperienza è anche un torneo organizzato molto bene e ti dà la possibilità proprio di sentire con mano la Serie A ad un passo. Mi ricordo quando l'ho fatta io per esempio la nostra partita era alle 16, finiviamo alle 17.30 e subito alle 18 giocava proprio la Serie A, quindi sei davvero lì ad un passo; penso sia proprio la cosa più bella legata alla Next Gen, oltre al fatto che partecipano solo i settori giovanili delle squadre di Serie A, è fatta a modello come fosse una vera e propria Serie A e questo permette ai ragazzi di essere vicini ad un sogno che probabilmente inseguono. Al Lodovico che ha debuttato nella massima serie la prima volta gli direi di stare più tranquillo e di non viversela così male; mentre la prima sensazione è stata guardarmi intorno perché ho debuttato in casa contro Brindisi e quindi ovunque girassi la testa nel palazzetto conoscevo tutti quanti e volevo salutarli tutti ma non potevo, perciò è stata una roba strana forse avrei preferito esordire in trasferta ma va bene così dai (ride, ndr)”.

Prendere in prestito una citazione o meglio il titolo del libro di Robert H. Schuller non è una banalità, specie se ogni giorno sei obbligato a porre l'asticella ad un nuovo livello nonostante possano esserci frequenti alti e bassi. Il motto o il mantra che risuona nella mente di Lodovico Deangeli è “tough times never last, but tough people do”, ovverosia le persone abbastanza forti da superare i tempi duri, sono in grado di superare ogni avversità.

Otto parole per descrivere chi quel numero 8 lo indossa sulla schiena da una vita.

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