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5 domande a... Carl Wheatle: "Sono ormai un pistoiese adottivo, con la nostra mentalità da underdog stiamo facendo tanti piccoli miracoli sportivi"

5 domande Carl Wheatle

Dopo una grande prova da protagonista contro Tortona, chiusa con una "doppia-doppia" da 11 punti e 10 rimbalzi, Carl Wheatle è stato intervistato nella rubrica settimanale di LBA "5 domande a..."

 

Un grande sforzo nel quarto periodo per vincere contro Tortona, in poche settimane Pistoia ha giocato la coppa italia e ha continuato a stupire in campionato. Lo scorso anno siete saliti pur non essendo i favoriti, quest'anno avete raggiunto grandi traguardi da sfavorita, ma con più consapevolezza. Quanto è stato importante per te questo anno e mezzo con la squadra?

Sicuramente abbiamo dimostrato di esserci sempre e abbiamo lavorato ogni giorno come un gruppo unito, altrimenti certi traguardi non li riesci a raggiungere. L'anno scorso nessuno ci considerava attrezzati per vincere il campionato, noi sapevamo di essere una buona squadra, però l'obiettivo era quello di qualificarci per i play-off e poi chiudere lì la stagione. Quando arrivi in finale però non giochi solo per partecipare e comunque ce la siamo conquistata con la voglia accorgendoci che eravamo molto più rispetto ai pronostici. Quest'anno posso dire che è stata una sensazione simile: nessuno ci avrebbe mai dato come partecipanti alla Final Eight, nessuno ci reputava in grado di stare lì con le migliori del campionato e per noi è stato un bene, perché ogni volta che scendiamo in campo affrontiamo queste gare come underdog, come sfavorita. Tutti si aspettavano una stagione in cui avremmo fatto molta fatica, però aver cambiato i pronostici è stato anche merito nostro perché siamo stati bravi a vincere nonostante non sembrava fosse destino. In questo anno e mezzo abbiamo compiuto tanti piccoli miracoli sportivi: penso alla vittoria contro Milano, a quella contro Venezia e guardando alla stagione passata senza dubbio la serie play-off con Cantù e la finale che ci ha fatto salire in Serie A.

Vediamo un sacco di persone venire al PalaCarrara ogni settimana per tifarvi, perché la città sembra molto vicina alla squadra. Quali sensazioni provi quando entri a palazzo e vedi così tanto pubblico e cosa si respira in città il giorno della partita?

Ormai sono quasi un pistoiese adottivo. Qui mi hanno sempre fatto sentire a casa, fin dal primo giorno mi hanno accolto come uno di loro e infatti ho davvero un ottimo rapporto con la tifoseria. Loro per noi sono molto importanti, perché vengono sempre a palazzo e vengono per sostenerci ad ogni partita, sia quando vinciamo sia quando perdiamo. La domenica è sempre tutto pieno, perciò è bellissimo entrare in campo, guardarsi intorno e vedere la gente tutta in piedi pronta per tifarci, per supportarci e sostenerci. Sono tutte persone che ci tengono, hanno voglia di venirci a vedere, hanno voglia di vederci fare bene; questo rende il nostro lavoro più divertente e più facile, perché avere quella spinta lì ti carica e ti dà l'energia necessaria per affrontare l'impegno. Pistoia come città poi è un gioiellino, è piccola e carina, io mi sono abituato subito allo stile di vita di qui e non posso proprio lamentarmi.

Nonostante la sconfitta contro la Repubblica Ceca alle qualificazioni per EuroBasket, hai catturato l'attenzione di tutti con la tua partita sui due lati del campo e in generale per essere stato il migliore per la Gran Bretagna. Quali sono i vostri obiettivi come nazionale e quanto sta crescendo il movimento all'interno del vostro paese?

Ultimamente il movimento da noi sta crescendo, ci sono tanti giocatori che stanno facendo il loro percorso ad alti livelli e non parlo solamente qui in Europa, ma anche nei college e in generale negli Stati Uniti. Questo è un momento divertente per noi, perché ci stiamo accorgendo come nei prossimi anni verranno fuori tanti nuovi giocatori britannici di estremo talento, tanti ragazzi che avranno voglia di farsi vedere anche con la nazionale; chi come me partecipa già alle competizioni con la Gran Bretagna punta a fare sempre meglio per aiutare innanzitutto a spingere verso l'alto questa crescita, ma anche per aiutare le future generazioni ad avere credibilità quando vestono la divisa della nazionale. Noi vogliamo qualificarci a tutte le prossime competizioni, arrivare a questo genere di tornei e fare qualcosa in più rispetto a quanto fatto negli anni passati. È un momento molto divertente per la nazionale, nonostante la sconfitta siamo comunque partiti molto bene in questa finestra qui e quindi l'obiettivo rimane sempre quello di migliorarci in modo da raggiungere traguardi sempre più alti.

Sei in Italia ormai da dieci anni, Biella è stata la prima città ad accoglierti. Com'è stato lasciare la Gran Bretagna per venire qui così giovane e affrontare il tuo percorso che ti ha poi portato a diventare un giocatore professionista?

I primi mesi non è stato facile, ci ho messo qualche annetto per assestarmi diciamo, semplicemente perché venivo da una metropoli come Londra e mi sono ritrovato in una città piccola come Biella. Sono passato da una città piena di vita, piena di movimento, piena di persone ad una città tranquilla, dove non c'era molto da fare se non pensare alla pallacanestro e in cui restare a casa la sera. Da quel punto di vista però è stata la scelta migliore possibile, perché così potevo concentrarmi unicamente sul basket non avendo tante altre cose che potessero distrarmi, quindi per il mio sviluppo come giocatore ha aiutato tantissimo, per la vita sociale diciamo un po' meno [ride, ndr]. In generale Biella per la mia crescita è stata perfetta, perché ho avuto ottimi allenatori e ottimi compagni di squadra che mi hanno aiutato ad ambientarmi all'interno del contesto cestistico italiano; il trasferimento a Pistoia di conseguenza è stato un gioco da ragazzi, perché mi ero già creato un certo feeling con il campionato, con lo stile di vita italiano e con il modo di giocare. I primi anni appunto ho fatto un po' di fatica dovendo colmare un gap da quello che vivevo a Londra a ciò che mi sono ritrovato di fronte a Biella, ma poi è stato tutto più facile.

La pallacanestro occupa sicuramente tanto tempo durante le tue giornate, c'è qualcosa che ti piace fare nel tempo libero, una passione nascosta che ti rilassa quando sei fuori dal campo? Com'è stato girare l'Italia in tutti questi anni?

Mi è piaciuta tanto Roma che ho potuto visitare lo scorso anno quando ho avuto qualche giorno di pausa dal campionato; Napoli anche mi è piaciuta davvero tanto; sicuramente Milano, perché mi ha ricordato tanto Londra per lo stile di vita, per il numero di persone che trovi in giro e diciamo che andare lì mi ha fatto sentire a casa. Fuori dal campo sono un tipo molto tranquillo, ultimamente mi sono messo a leggere: amo in maniera particolare i thriller, perché ti lasciano sempre col fiato sospeso, non sai mai quello che succederà e quindi vai avanti per scoprire cosa potrebbe accadere nelle pagine dopo; altrimenti leggo tanti libri motivazionali, quelli che ti aiutano a rimanere concentrato sugli obiettivi e ti caricano in vista di impegni o di decisioni importanti. Poi come tanti altri atleti mi piacciono i videogiochi, mi piace uscire la sera e mi piace guardare tanti sport soprattutto il calcio; anche se sono di Londra tifo Manchester United, mio papà lo tifa e io di conseguenza mi sono appassionato senza discutere... è colpa sua se tifo i Red Devils [ride, ndr].

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