Reduce dalla sua miglior prestazione in Serie A UnipolSai contro Tortona (23 punti e 29 di valutazione), Jack Nunge, centro della Givova Scafati Basket, è stato intervistato nella rubrica di LBA "5 domande a..."
Una vittoria importante contro Tortona che vi tiene in scia nella lotta per un posto ai play-off. Come vi sentite ora che sta arrivando la fase più calda della stagione e in cui possono arrivare i primi verdetti?
Innanzitutto la squadra si sente super entusiasta per la vittoria ottenuta questa domenica, perché ottenere due punti in uno scontro del genere ci ha dato una bella spinta per quello che sarà il rush finale di campionato. Abbiamo avuto un calendario complicato con Bologna prima della pausa, poi Venezia e Brescia nelle scorse settimane; la partita contro Tortona è stato un altro test probante, perciò uscire con un successo dopo una gara del genere è stato davvero importante per la squadra.
Questo è stato il tuo primo anno da professionista, quali erano le tue aspettative appena sei arrivato in Italia e cosa senti di aver imparato in questi mesi?
È stato un bel cambiamento per me quello di trasferirmi dall'altra parte dell'oceano per cominciare la mia carriera da professionista. Ho avuto ovviamente i miei alti e i miei bassi, ma come si dice in gergo ho cercato di “prendere e dare pugni”, abituarmi ad un nuovo stile di vita vivendo tutto in maniera positiva, cercando sempre di affrontare le sfide con il giusto atteggiamento. Ovviamente sto cercando di fare del mio meglio, di giocare la miglior pallacanestro possibile, aiutare il più possibile la squadra ad ottenere vittorie e creare la chimica giusta con il gruppo; mi piacciono le sfide e sto vivendo bene questa avventura con Scafati, credo fermamente in ciò che stiamo facendo, perciò sto apprezzando tutti i traguardi raggiunti fin ora.
Che tipo di rapporto si è creato con coach Matteo Boniciolli e come è riuscito ad entrarvi sotto pelle così in fretta nel momento in cui si è seduto sulla panchina di Scafati?
Coach Boniciolli ha davvero tantissima energia, è una persona che vive il basket con grande passione e riesce ad infondere in ognuno di noi quella sua voglia di “mangiarsi” il campo. È divertente da vedere all'opera, ma allo stesso tempo ti fa capire che pretende il meglio perché quando sposa una causa, lo fa con la voglia di raggiungere tutti gli obiettivi che si è prefissato. La sua però è sempre un'energia positiva e questo spinge tutti noi a voler dare il massimo quando scendiamo sul parquet.
Tu sei originario dell'Indiana, uno stato che vive di pallacanestro, ma hai trascorso i tuoi anni del college tra Iowa e Ohio. Quanto sono stati importanti quegli anni per il tuo sviluppo come giocatore, quale cultura cestistica attraversa quegli stati e cosa ha significato conquistare un trofeo come il NIT e giocare il torneo NCAA con Xavier?
Nel mio primo anno di college ho giocato come ala piccola e piano piano nel tempo ho iniziato a lavorare sulla mia condizione, a rendere il mio corpo più resistente agli impatti e a crescere anche a livello muscolare; ciò mi ha portato a cambiare ruolo, così sono stato utilizzato prevalentemente come stretch five e ho iniziato a lavorare molto sul tiro da tre punti, perché sapevo sarebbe risultato fondamentale in futuro e mi avrebbe permesso di inserirmi in più contesti se fossi stato più versatile. Il merito di questo cambiamento va soprattutto al tipo di pallacanestro che si faceva nei college in cui ho giocato dove si prediligeva un attacco mirato, transizioni veloci che coinvolgevano i lunghi; l'approdo al college di Xavier mi ha aiutato a completare definitivamente il mio sviluppo come ibrido tra un'ala grande e un centro moderno. Qui mi sono tolto tante soddisfazioni: ho vinto il National Invitational Tournament alla fine del primo anno, poi la stagione successiva – la mia ultima al college – siamo arrivati fino alle Sweet Sixteen; la possibilità di giocare in due università con quel tipo di cultura vincente e con una fan base così legata alla pallacanestro mi ha aiutato tantissimo sia come persona sia come giocatore, individualmente e come parte di una squadra.
Come ti definiresti fuori dal parquet? Hai degli hobby particolari o qualcosa di specifico che ti piace fare?
Fuori dal campo sono un tipo molto tranquillo, mi piace passare il tempo libero con mia moglie e insieme cerchiamo di fare tante cose diverse. Lei è una persona migliore di me in cucina, io la aiuto e seguo solo le sue istruzioni per esserle il più vicino possibile. Guardiamo tanti film insieme, tante serie TV, ci piace rilassarci e giocare a carte, fare giochi di società e goderci tutto il tempo che riusciamo a trascorrere l'uno con l'altro. Nei giorni liberi ho avuto anche il piacere di visitare qualche città dell'Italia come Roma e Milano, quest'ultima mi è piaciuta molto forse perché sono riuscito a trascorrerci qualche giorno in più e visitarla meglio, ma devo dire che è davvero una bellissima città.