Dopo esser stato uno dei trascinatori del Napoli Basket nella vittoria contro la Bertram Derthona Tortona, Erick Green è stato il nuovo protagonista della rubrica "5 domande a...".
Seconda vittoria consecutiva in casa, questa volta contro un'avversaria forte come Tortona. Qual è stata la chiave per ottenere questo risultato cruciale?
La chiave della nostra vittoria è stata senza dubbio la difesa. Noi siamo una squadra con un grande talento offensivo, ma sappiamo quanto sia importante difendere e in questa partita era fondamentale farlo, in modo da tenerli lontani dal canestro.
Napoli si trova in fondo alla classifica, ma nelle ultime partite ha mostrato un atteggiamento diverso. Pensi che i nuovi innesti abbiano avuto un ruolo chiave in questo processo?
Penso che la squadra stia cominciando a capire effettivamente quali siano i mezzi a sua disposizione. Tutti quanti stanno capendo quale sia il loro ruolo nella squadra e questo chiaramente aiuta anche a far crescere la chimica. Ci sono stati tanti cambiamenti lungo il corso della prima parte di stagione, è stato davvero difficile trovare la quadra giusta ed essere consapevoli di ciò che si aveva per le mani. In questo momento penso proprio che tutti se ne stiano rendendo conto e i risultati iniziano a vedersi.
Questo è il tuo secondo ritorno in Italia: cos’hai pensato quando Napoli ti ha chiesto di unirti al team e come ti hanno accolto la città e i tifosi?
Non conoscevo granché riguardo Napoli, sapevo solamente che nella passata stagione avevano compiuto un'impresa vincendo la Coppa Italia. Quando ho giocato a Siena, la squadra di Napoli non era in Serie A, per questo motivo anche non conoscevo bene l'ambiente. La città però è una della mie preferite in assoluto, da qualsiasi parte io mi giri vedo solamente cose magnifiche e il cibo è davvero fenomenale. I tifosi sono eccezionali. Giocare in casa è sempre divertente, perché loro tifano dal primo all'ultimo minuto e sembra di averli in campo.
Hai viaggiato per il mondo e sperimentato culture e stili di basket differenti. Cos’hai imparato e cos’hai tenuto con te in tutte queste esperienze?
La cosa principale che ho imparato da tutte queste esperienze in giro per il mondo è senza dubbio di dover prendere tutto ciò che accade, giorno per giorno. Mai guardare troppo avanti e decisamente non farsi prendere troppo dall'entusiasmo o dallo sconforto. Si tratta sempre di stagioni lunghe, molto lunghe e tutto può accadere in quel lasso di tempo. Io provo ogni giorno a ritagliarmi il mio spazio in palestra, cerco di mantenermi sempre al top della forma e di proporre un gioco sempre ad alti livelli, questo sono consapevole potrà aiutare la mia squadra a trovare la vittoria.
È facile capire che essere padre è il tuo ruolo preferito da giocare. Ti piacerebbe dirci qualcosa di più sull’essere un papà e un giocatore di basket a tempo pieno?
Essere padre è la cosa più bella del mondo per me. Ho due bellissimi bambini che posso veder crescere e con cui trascorrere tanto tempo insieme. Loro riescono a vedere il lato professionale del papà quando vengono a vedere le partite e a tifare per me, ma anche l’altro lato di me in cui sono semplicemente un ragazzone che gioca con loro e sorride tutto il tempo mentre li guarda. È sempre difficile per me star lontano da loro quando sono all’estero o in America, ma so che guardando alla “bigger picture” sono loro le persone per cui faccio tutto questo e tutti questi sacrifici.