Rassegna Stampa

I 75 anni di Dino Meneghin: "La Hall of Fame NBA? Quando me l'hanno comunicato pensavo a uno scherzo. Prendo la vita con ironia"

La leggenda del basket italiano è stata intervistata su "La Gazzetta dello Sport"

Dino Meneghin

Intervistato da Giulia Arturi su “La Gazzetta dello Sport” in vista del suo 75° compleanno che festeggerà sabato 18 gennaio, Dino Meneghin si è raccontato: “Io monumento del basket italiano? Non mi è mai piaciuto, è risaputo per cosa li usano i piccioni… Ho sempre avuto molta ironia, pur riconoscendo i problemi che la vita può presentare, credo sia importante sdrammatizzare certi concetti e azioni per rendere tutto meno cupo. Un po' di leggerezza, qualche battuta e uno spirito combattivo ma simpatico rendono tutto meno insormontabile e più gestibile”.

Meneghin ha anche raccontato gli scherzi che gli sono riusciti meglio: “Ho vissuto due squadre di "pazzi", tre, contando Trieste. Era uno spasso stare insieme, il lavoro pesava meno. Il primo che mi viene in mente: prendevo il calzino da gioco dopo l'allenamento e lo immergevo nel bicchiere delle vitamine di Roberto Premier. A sua insaputa chiaramente. Vedevo che giocava sempre meglio, mica potevo fermarmi (risata). Dopo un paio di mesi se ne accorse”.

Dino Meneghin è anche nella Hall of Fame della NBA: “ Quando me l'hanno comunicato pensavo a uno scherzo, davvero. È stata una soddisfazione enorme. Entrare nell'Hall of Fame per un giocatore di basket è come per un pittore avere il proprio quadro appeso al Louvre o al Prado. Ma con me, idealmente, ci sono tutti i miei compagni di squadra, gli allenatori, e tutte le persone con cui ho lavorato”.

Meneghin è stato anche un leader per le proprie squadre di campioni: “Non lo sentivo come un dovere, mi veniva naturale. Mi era stato insegnato da giocatori come Vittori, Flaborea: uno di quei valori che ti entrano dentro”.

Sfogliando l’album dei ricordi, Dino si sofferma nello specifico su qualche istantanea: “La prima immagine che mi viene in mente è quella dell'abbraccio con Andrea quando ci siamo incontrati in campo: lui, cresciuto benissimo per merito soprattutto di sua mamma, esordiva a 16 anni a Varese; io ne avevo 40 e giocavo a Trieste. E poi tanti altri: l'argento ai Giochi di Mosca, la finale dell'Europeo a Nantes del 1983. Il primo scudetto vinto a Varese. C'è una foto che mi ritrae nell’invasione di campo dei tifosi. Mi avevano fregato i calzoncini e la maglietta ed ero rimasto mezzo nudo in mezzo al campo”.

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