Rassegna Stampa

Gli 85 anni di Ottorino Flaborea: "Segnavo con il gancio, ero capitan Uncino. Maestro di Meneghin? Solo per qualche trucco"

Il capitano della Ignis Varese è stato intervistato sulla "Gazzetta dello Sport"

Ottorino Flaborea

Intervistato da Giulia Arturi su “La Gazzetta dello Sport”, Ottorino Flaborea - alla soglia degli 85 anni che compirà il prossimo mercoledì - ha raccontato di esser stato il primo lungo moderno sotto canestro: “Sono stato l'ultimo dei pionieri, diciamo. Oggi in Nba mi piacciono Jokic e Sabonis figlio: che classe immensa. In confronto, mi sento piccolo. Però "rivedo" in loro qualcosa dei miei tempi, nonostante il basket sia cambiato tantissimo”.

Quando ha deciso di giocare a basket Ottorino? “All'inizio giocavo a calcio. Un giorno un ragazzo che aveva notato la mia altezza (1.97, ndr) mi ha detto "proviamo". Mi sono innamorato e non ho più smesso. Mi piaceva la coralità. Nel calcio il pallone lo vedevi poche volte. Il campo da basket è più piccolo, ci sono meno giocatori, ci si passa più la palla: tutto è sempre in movimento”.

Flaborea si è esaltato nella Ignis dominante in Italia e in Europa tra gli anni ’60 e ’70: “Una sorta di miracolo. Sono orgoglioso prima di tutto che, con Meneghin, Raga, Ossola e tutti gli altri, abbiamo dato inizio alla grande Ignis. E poi di esserne stato il capitano per quattro anni. Ho alzato ben 11 trofei, non se lo possono vantare in tanti. Il segreto è che eravamo amici: stavamo bene in campo e fuori. Dopo aver fatto cinque ore di allenamento, Dino, Dodo, Aldo, Raschini venivano sotto casa mia: "Flaborea, Flabo!", gridavano. Svegliavano tutto il vicinato! Volevamo stare insieme a raccontarcela. Ed è un'amicizia che continua fino ad oggi. Abbiamo condiviso ogni cosa: grandi vittorie, ma anche sconfitte dure, come la finale di Coppa dei Campioni ad Anversa, contro il Cska Mosca nel 1971”.

Flaborea divenne famoso anche per il suo celebre gancio, per cui veniva soprannominato “Capitan Uncino”: “Nacque a Sarajevo, nella finale della coppa dei Campioni nel 1970, feci cinque o sei ganci di seguito. E lì nacque quel soprannome, prima ero solo "Flabo". L'allenatore dell'Armata Rossa si era stupito, ma Aldo Giordani, il grande telecronista, gli ribadì che di uncini avevo già riempito il mondo. Era il mio tiro preferito: all'inizio ero fra i giocatori più alti, poi già nel '65 ce n'erano anche più imponenti e mi serviva un modo per superarli”.

Per Dino Meneghin lui è stato sempre un maestro: “Gli ho dato tanti consigli, ma è stato lui che ci ha messo tutto il resto. Gli ho insegnato piccoli trucchi del mestiere, soprattutto a essere un po' meno falloso. Dino è il mio grande amico, una persona intelligente che ha sempre capito tutto al volo. Giancarlo Primo mi richiamò in Nazionale perché avevo feeling con lui. La verità è che ha messo tanto del suo. Mi ricordo che i suoi miglioramenti, quando arrivò, furono velocissimi. Era una trave portante, un guerriero”,

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