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Obradovic, il veterano della Final Four

Per il coach del Panathinaikos è l'ottava finale: obiettivo, il quinto alloro

- Zelimir Obradovic, come ci si sente da "nonno" delle Final Four? A Bologna vivrai l'ottava edizione con cinque club diversi.
«Veterano mi sembra più esatto e... gentile. Sono molto fiero di questo mio record ed ovviamente anche delle 4 vittorie su sette partecipazioni. Mi ritengo un coach fortunato: sono stato scelto da società prestigiose, ho allenato ed alleno campioni superbi che mi danno la possibilità di mettere in pratica le mie idee.»
- Segreti?
«Lavorare duro non è un segreto. La chiave vincente è la capacità di motivare anche campioni affermati a sacrificarsi in palestra, a seguire le tue indicazioni, a credere nelle tue parole.»
- Panathinikos, Maccabi, Kinder e Benetton sono effettivamente le quattro squadre migliori d'Europa?
«Le più brave e le più fortunate. Abilità e buona sorte sono sempre necessarie nello sport per raggiungere il massimo. Spesso giocatori, allenatori, dirigenti, pubblico, giornalisti sono portati a ricordare il destino solo in chiave negativa dimenticando le volte che invece tutto ha girato dalla propria parte.»
- Soddisfatto dunque della stagione del tuo "Pana"?
«Chiaro che sì! Dall'anno scorso abbiamo cambiato faccia alla squadra. Rinunciare a due scelte Nba come Rebraca e Fotsis non è semplice, senza contare altri giocatori che ci hanno lasciato come Gentile, ad esempio, più che utile l'anno scorso. Eppure in campionato siamo entrati nella griglia dei play-off al secondo posto dietro all'Aek e nelle 16 partite di Eurolega abbiamo realizzato il miglior record in assoluto fra vittorie e sconfitte.»
- Però avete rischiato di non entrare nella Final Four: dovete ringraziare l'impresa dell'Olimpia Lubiana sull'Olympiakos...
«Questa è una lacuna della formula da riparare al più presto. Abbiamo davvero rischiato di non venire a Bologna per l'unica brutta prestazione nel giorno sbagliato: non mi sembra giusto. Thrilling è bello ma a tutto c'è un limite.»
- Segui il campionato italiano?
«Naturalmente. Da tecnico professionista che deve aggiornarsi continuamente ma anche da tifoso. Della Benetton, naturalmente. A Treviso ho trascorso due anni incredibilmente belli, sono legato alla città, al club, mi sento spesso con tanti amici. Il primo risultato che guardo la domenica sera è sempre lo stesso: e sono felicissimo quando vince.»
- Da tecnico e non da... ultra, si gioca bene in Italia?
«Il livello è aumentato rispetto ai miei tempi, tre anni fa. La liberalizzazione del mercato ha elevato enormemente la qualità.»
- Non noti troppi stranieri e pochi indigeni?
«Da spettatore pretendo lo spettacolo, solo quello. Non mi interessa il passaporto dei protagonisti. Nonostante ogni anno qualche squadra ellenica raggiunga una finale europea (l'anno scorso persino il Maroussi, club di seconda fascia, si è giocato la Coppa Saporta), in Grecia il pubblico è calato perchè mancano competività e showtime: il fatto che giochino tanti locali non soddisfa le esigenze dello spettatore. Piuttosto in Europa si scelgono ancora troppi statunitensi, veri o naturalizzati: il bacino europeo è invece sempre più ricco come si stanno ormai accorgendo anche nella Nba.»
- Nel campionato ellenico vige la norma di un numero minimo di under 21. Funziona?
«Altra stupidaggine. Il giovane deve meritarsi il posto, non elemosinare minuti per una norma senza senso. Impari dai tanti stranieri ad allenarsi duramente, a stare in palestra sei ore al giorno, a migliorarsi di continuo: l'allenatore non vede l'ora di aumentare l'organico a disposizione.»
- Tanti tecnici italiani sono convinti che lavora di più solo chi ha fame, cioè chi proviene da situazioni sociali disagiate. In parole povere, dall'est d'Europa.
«Sento le stesse sciocchezze da quand'ero bambino. Fatevi rispondere da Rigaudeau. O da Ricky Pittis, capace persino di imparare ad usare benissimo la mano sinistra. Non credo che le loro famiglie vivessero nella povertà assoluta. Il fatto è che occorre motivare i giovani a soffrire, ad impegnarsi: cosa più difficile che insegnare il palleggio od il tiro.»
- Torniamo alla Final Four. Venerdì affronti il Maccabi.
«Non siamo favoriti. Loro meritano il pronostico principale se non altro perchè, a parte l'innesto di Besok, sono rimasti gli stessi dell'anno scorso quando ci batterono nella finale di Suproleague. A parte questo, la nostra stagione è stata costellata da infortuni pesanti: cinque mesi senza Kalaitzis, due senza Kutluay, quasi tre Mulaomerovic, ora Giannoulis. Ma noi ci proveremo: siamo pronti ad una grande prova. Ci conosciamo benissimo, non abbiamo segreti l'uno per l'altro».
- Due ore dopo c'è Kinder-Benetton: chi vorresti affrontare?
«Da tifoso la Benetton, naturalmente. Come potrei rispondere in maniera diversa? I successi di Treviso entusiasmano me come i fantastici supporters del Palaverde. Sogno una finale Benetton-Panathinaikos, sarebbe una grande festa per entrambe le tifoserie: credo che anche da sconfitto, un pizzico di gioia mi resterebbe dentro. Da tecnico invece consentimi di non rispondere, c'è tempo di sviscerare la partita alla vigilia, eventualmente. Una cosa è certa: Kinder e Benetton sono squadre fortissime, capaci di prestazioni eccezionali. Ho visto entrambe anche in difficoltà, ma è naturale in una stagione tanto lunga: di certo non mi lascio condizionare dalle poche partite brutte che hanno disputato.»
- Quanto conta il fattore campo per la Kinder?
«Tanto. Molto. Ma non per il pubblico, la cosa meno importante. Per i punti di riferimento al palazzetto, per il parquet conosciuto palmo a palmo, per vivere l'attesa nello stesso spogliatoio di sempre, magari per dormire a casa nel solito letto. Dettagli? Solo per chi non ha mai giocato, per chi non conosce i canoni di un rito come la partita. Per questo la Kinder ha qualcosa in più del 25% di vincere il titolo. Se supera la "mia" Benetton, naturalmente!»
Luigi Maffei
Fonte: Il Gazzettino
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