Sotto la mostra, sopra i mostri sacri. In Sala Borsa le fotografie dei tanti cavalieri della pallacanestro bolognese che fecero una qualche impresa, in Sala Ercole la conferenza stampa dei quattro allenatori e dei quattro alfieri che l´impresa la tenteranno da stasera. La Final Four è iniziata ieri mattina nell´antico palazzo d´Accursio, con quel fare un po´ ingessato e buonista che si accompagna alle occasioni importanti. Molti sorrisi e strette di mano, che da stasera si trasformeranno in gomitate e urlacci, se non peggio.
Intanto c´era da fare bella figura con gli ospiti, e Bologna ci è riuscita aprendo il suo salotto migliore, anziché infilare tutti nel pancione di un palasport, come ad esempio avevano fatto gli spagnoli a Barcellona e i tedeschi a Monaco. Meglio starsene all´ombra degli affreschi, finché si tratta di ascoltare i salamelecchi, e poi scendere in Sala Borsa a godersi i gloriosi cestisti del tempo che fu. Prima del piacere, però, il dovere. E cioè tutti seduti davanti agli otto protagonisti, benedetti da Guazzaloca, che a turno hanno raccontato di essere molto felici di esserci. Salviamo il meglio dal cerimoniale, e cioè Messina che cita i cugini («Bologna, con noi e la Fortitudo, rappresenta per il basket un movimento unico in Italia e fra i più importanti del mondo»), Pittis che parla da cittadino europeo («Finchè non si inizia a giocare, la cosa più importante per tutto il movimento è che quest´anno la finale sia tornata ad essere unica»), Obradovic che si sbilancia e indica i favoriti («Kinder, ma solo perché gioca in casa»), D´Antoni che liscia platea e avversari («Il basket europeo è sempre più vicino a quello dell´Nba») e ancora Messina che fotografa la situazione («Di queste quattro squadre nessuna è già appagata per il solo fatto di essere arrivata alla Final Four, tutte vogliono vincerla»).
Molto abbottonati loro, molto poco aggressivi anche noi. A parte un giornalista israeliano, che ha provato a gettare un po´ di zizzania sul piatto, chiedendo il perché della regola che consente alle squadre di rinforzarsi anche 24 ore prima della vigilia, in ovvio riferimento al virtussino Granger ma pure al trevigiano Bell. Jordi Bertomeu, direttore generale dell´Eurolega, ha spiegato che le regole si possono anche cambiare, ma che sono state fatte ascoltando il parere di tutte le società. David Blatt - coach del Maccabi e molto in teoria parte lesa della vicenda - ha invece detto che non se la sente di biasimare chi ha approfittato di una regola che esiste, ma che insomma si ha a che fare «con una lacuna legislativa che non rispetta lo spirito della manifestazione». Versato quel poco di veleno nella coda della conferenza stampa, ci si è potuti abbandonare alla mostra "Gli anni del basket", ideata da Alberto Bucci e curata dalla Cineteca, a cui ieri mattina l´assessore Foschini ha tagliato il nastro.
Si va da pionieri del Gira (Larry Strong, il primo americano dei tempi: con un nome, un fisico e una faccia che andrebbero benissimo anche oggi), al sindaco Dozza che pone la prima pietra del palasport che poi gli verrà intitolato, passando per i gesti plastici ed eroici di Nino Calebotta e Achille Canna. Sono sforzi e muscoli meno levigati di oggi, ma non meno potenti. Identico, in ogni caso, è il furore agonistico che infiamma quegli sguardi. La mostra, purtroppo, non ci dice tutti i nomi di quei protagonisti, e magari sarebbe bello che qualcuno, riconoscendosi, segnalasse il proprio nome per aggiungere una didascalia in più.
La storia delle immagini corre fin quasi ai giorni nostri, senza dimenticarsi di Castelmaggiore e perfino dei lavori in corso al PalaMalaguti, e offre ai visitatori anche qualche scatto destinato a restare per sempre. Uno per tutti, il tiro da tre di Danilovic nella quinta finale del ´98: si vede il braccio di Zancanella che sanziona il fallo sciagurato di Wilkins, lo sguardo sgomento dello stesso Wilkins che vorrebbe sparire, il ghigno da squalo di Sasha, l´espressione dolorosa di Myers, in panchina, che ha già capito tutto. Splendida, anche se i fortitudini dovranno avvicinarla dopo aver raccolto le forze. E splendide anche le gigantografie che pendono dal primo piano della Sala Borsa, con le immagini di quello che succedeva là dentro molti anni fa, tra epica e poetica. Eppure se la davano di santa ragione anche allora, come succederà stanotte.
Giovanni Egidio
Intanto c´era da fare bella figura con gli ospiti, e Bologna ci è riuscita aprendo il suo salotto migliore, anziché infilare tutti nel pancione di un palasport, come ad esempio avevano fatto gli spagnoli a Barcellona e i tedeschi a Monaco. Meglio starsene all´ombra degli affreschi, finché si tratta di ascoltare i salamelecchi, e poi scendere in Sala Borsa a godersi i gloriosi cestisti del tempo che fu. Prima del piacere, però, il dovere. E cioè tutti seduti davanti agli otto protagonisti, benedetti da Guazzaloca, che a turno hanno raccontato di essere molto felici di esserci. Salviamo il meglio dal cerimoniale, e cioè Messina che cita i cugini («Bologna, con noi e la Fortitudo, rappresenta per il basket un movimento unico in Italia e fra i più importanti del mondo»), Pittis che parla da cittadino europeo («Finchè non si inizia a giocare, la cosa più importante per tutto il movimento è che quest´anno la finale sia tornata ad essere unica»), Obradovic che si sbilancia e indica i favoriti («Kinder, ma solo perché gioca in casa»), D´Antoni che liscia platea e avversari («Il basket europeo è sempre più vicino a quello dell´Nba») e ancora Messina che fotografa la situazione («Di queste quattro squadre nessuna è già appagata per il solo fatto di essere arrivata alla Final Four, tutte vogliono vincerla»).
Molto abbottonati loro, molto poco aggressivi anche noi. A parte un giornalista israeliano, che ha provato a gettare un po´ di zizzania sul piatto, chiedendo il perché della regola che consente alle squadre di rinforzarsi anche 24 ore prima della vigilia, in ovvio riferimento al virtussino Granger ma pure al trevigiano Bell. Jordi Bertomeu, direttore generale dell´Eurolega, ha spiegato che le regole si possono anche cambiare, ma che sono state fatte ascoltando il parere di tutte le società. David Blatt - coach del Maccabi e molto in teoria parte lesa della vicenda - ha invece detto che non se la sente di biasimare chi ha approfittato di una regola che esiste, ma che insomma si ha a che fare «con una lacuna legislativa che non rispetta lo spirito della manifestazione». Versato quel poco di veleno nella coda della conferenza stampa, ci si è potuti abbandonare alla mostra "Gli anni del basket", ideata da Alberto Bucci e curata dalla Cineteca, a cui ieri mattina l´assessore Foschini ha tagliato il nastro.
Si va da pionieri del Gira (Larry Strong, il primo americano dei tempi: con un nome, un fisico e una faccia che andrebbero benissimo anche oggi), al sindaco Dozza che pone la prima pietra del palasport che poi gli verrà intitolato, passando per i gesti plastici ed eroici di Nino Calebotta e Achille Canna. Sono sforzi e muscoli meno levigati di oggi, ma non meno potenti. Identico, in ogni caso, è il furore agonistico che infiamma quegli sguardi. La mostra, purtroppo, non ci dice tutti i nomi di quei protagonisti, e magari sarebbe bello che qualcuno, riconoscendosi, segnalasse il proprio nome per aggiungere una didascalia in più.
La storia delle immagini corre fin quasi ai giorni nostri, senza dimenticarsi di Castelmaggiore e perfino dei lavori in corso al PalaMalaguti, e offre ai visitatori anche qualche scatto destinato a restare per sempre. Uno per tutti, il tiro da tre di Danilovic nella quinta finale del ´98: si vede il braccio di Zancanella che sanziona il fallo sciagurato di Wilkins, lo sguardo sgomento dello stesso Wilkins che vorrebbe sparire, il ghigno da squalo di Sasha, l´espressione dolorosa di Myers, in panchina, che ha già capito tutto. Splendida, anche se i fortitudini dovranno avvicinarla dopo aver raccolto le forze. E splendide anche le gigantografie che pendono dal primo piano della Sala Borsa, con le immagini di quello che succedeva là dentro molti anni fa, tra epica e poetica. Eppure se la davano di santa ragione anche allora, come succederà stanotte.
Giovanni Egidio
Fonte: La Repubblica