Scintille da derby, se gli ospiti europei non si offendono. Cioè tensione che paralizza i muscoli dei giocatori e manda in estasi le giugolari dei tifosi. Di là c´è Treviso, non la Fortitudo, ma si freme e si vibra come nelle migliori sfide da cortile di Basket City degli ultimi anni. Ecco perché Messina salta per aria sulla schiacciata di Andersen del +12 (75-63), e alla fine ride e esulta col pubblico dopo aver visto a lungo i sorci verdi dei colori uniti.
Spostare Treviso per andare domani sera a sfidare i greci del Panathinaikos, non è stata dura ma durissima. E tutto quel patimento collettivo si è trasformato in euforia solo alla fine di una battaglia parsa eterna. Il bello, anzi il brutto, è che ancora la Virtus non ha vinto nulla. Lo si sapeva anche prima, naturalmente, ma dopo essersi prodotti in uno sforzo del genere, avere in mano solo il diritto a disputarsi la finale, pare perfino troppo poco. Invece è tantissimo, e il lungo tributo che il PalaMalaguti dedica ai suoi e soprattutto al suo allenatore, sta lì a dimostrarlo. Per Ettore, come qui dentro lo chiama anche chi lo ha visto solo e sempre dall´alto, è la quindicesima volta da quando veste di bianconero. Meglio di lui non ha mai fatto nessun altro, com´è noto. Ma soprattutto è molto difficile che altri possano anche solo avvicinarsi a quel sontuoso bottino. Ieri, tra l´altro, ha vinto più che mai la sua Virtus. Anche bloccata, per molti tratti del match, nervosa se volete, ma totalmente dedita alla fatica. Cioè alla razionalità di chi sa che non deve buttarsi a correre e tirare come vorrebbero gli avversari (soprattutto quelli di ieri), e alla lunga si costringe a recitare il proprio copione, conoscendolo a menadito. Allora calma e gesso, palla dentro ai lunghi, palla che circola per cercare il tiro migliore, e tutti con la clava in mano quando si torna a difendere. Aggrappata a quel teorema, la Kinder ha lentamente, ma inesorabilmente, scardinato la Benetton. Arrivata all´ultimo trancio di partita con la nebbia negli occhi e la muffa nei muscoli, a forza di scontrarsi con la forza bianconera e la sua montagna chiamata Griffith. Qualcuno pensava che il gigante si fosse sgonfiato, ma si era sbagliato. Davanti a un microfono, Madrigali dribbla la domanda diretta. «Griffith come gli altri, tutti bravissimi a portare a casa una partita difficile e delicatissima». Tutti bravi, ma lui e Jaric un po´ di più. Un po´ più cattivi, un po´ più vogliosi, un po´ più proficui. Il primo, Griffith, per dimostrare a tutti che lui è ancora, eccome, da vertici europei. E l´´altro, Jaric, per confermare ai tanti osservatori arrivati qui dall´America, che lui saprebbe cavarsela benissimo anche tra le stelle e le strisce.
Tra stelle e scintille, la prima notte della Final four alla bolognese se n´è andata. Anche se, che si giocasse a Bologna, lo si è capito solo quando è toccato alla Virtus scendere in campo. Perché prima, nella sfida tra Tel Aviv e Atene, la chiazza gialla dei tifosi israeliani aveva ampiamente ricoperto anche quella bianconera, al punto che si era già messa in moto la polemica dei biglietti venduti ai tifosi del Maccabi e, in teoria, sottratti ai virtussini. L´eliminazione del Maccabi ha comunque risolto immediatamente il problema, e già alla fine della prima partita il PalaMalaguti si era trasformato in un piccolo bazar, dove giravano vorticosamente euro e dollari di tutte le taglie. Molti bolognesi si sono riversati al palazzo solo verso le otto della sera, e a quel punto il colpo d´occhio è tornato ad essere quasi normale, nonostante una larga fetta di israeliani siano rimasti muti e immobili al loro posto, storditi e paralizzati da una sconfitta che gli ha spezzato il sogno e la vacanza. «Solo chi non sa cosa sia una Final four ha detto e scritto che i favoriti eravamo noi per il fattore campo», mormorava Messina nelle vesti di spettatore del primo match, carico di tutta quell´ovvia tensione che accompagna chi si affaccia certe sfide.
Domani sera, il PalaMalaguti sarà in ogni caso più bianconero di ieri, anche se sarà bene tenere a bada i tifosi greci, parsi ieri piuttosto agitati. Quasi come lo furono i tifosi dell´Aek a Barcellona, nell´anno di grazia 1998. Anche allora ci fu una finale contro Atene, ricorderà qualcuno. E non andò malaccio.
Giovanni Egidio
Spostare Treviso per andare domani sera a sfidare i greci del Panathinaikos, non è stata dura ma durissima. E tutto quel patimento collettivo si è trasformato in euforia solo alla fine di una battaglia parsa eterna. Il bello, anzi il brutto, è che ancora la Virtus non ha vinto nulla. Lo si sapeva anche prima, naturalmente, ma dopo essersi prodotti in uno sforzo del genere, avere in mano solo il diritto a disputarsi la finale, pare perfino troppo poco. Invece è tantissimo, e il lungo tributo che il PalaMalaguti dedica ai suoi e soprattutto al suo allenatore, sta lì a dimostrarlo. Per Ettore, come qui dentro lo chiama anche chi lo ha visto solo e sempre dall´alto, è la quindicesima volta da quando veste di bianconero. Meglio di lui non ha mai fatto nessun altro, com´è noto. Ma soprattutto è molto difficile che altri possano anche solo avvicinarsi a quel sontuoso bottino. Ieri, tra l´altro, ha vinto più che mai la sua Virtus. Anche bloccata, per molti tratti del match, nervosa se volete, ma totalmente dedita alla fatica. Cioè alla razionalità di chi sa che non deve buttarsi a correre e tirare come vorrebbero gli avversari (soprattutto quelli di ieri), e alla lunga si costringe a recitare il proprio copione, conoscendolo a menadito. Allora calma e gesso, palla dentro ai lunghi, palla che circola per cercare il tiro migliore, e tutti con la clava in mano quando si torna a difendere. Aggrappata a quel teorema, la Kinder ha lentamente, ma inesorabilmente, scardinato la Benetton. Arrivata all´ultimo trancio di partita con la nebbia negli occhi e la muffa nei muscoli, a forza di scontrarsi con la forza bianconera e la sua montagna chiamata Griffith. Qualcuno pensava che il gigante si fosse sgonfiato, ma si era sbagliato. Davanti a un microfono, Madrigali dribbla la domanda diretta. «Griffith come gli altri, tutti bravissimi a portare a casa una partita difficile e delicatissima». Tutti bravi, ma lui e Jaric un po´ di più. Un po´ più cattivi, un po´ più vogliosi, un po´ più proficui. Il primo, Griffith, per dimostrare a tutti che lui è ancora, eccome, da vertici europei. E l´´altro, Jaric, per confermare ai tanti osservatori arrivati qui dall´America, che lui saprebbe cavarsela benissimo anche tra le stelle e le strisce.
Tra stelle e scintille, la prima notte della Final four alla bolognese se n´è andata. Anche se, che si giocasse a Bologna, lo si è capito solo quando è toccato alla Virtus scendere in campo. Perché prima, nella sfida tra Tel Aviv e Atene, la chiazza gialla dei tifosi israeliani aveva ampiamente ricoperto anche quella bianconera, al punto che si era già messa in moto la polemica dei biglietti venduti ai tifosi del Maccabi e, in teoria, sottratti ai virtussini. L´eliminazione del Maccabi ha comunque risolto immediatamente il problema, e già alla fine della prima partita il PalaMalaguti si era trasformato in un piccolo bazar, dove giravano vorticosamente euro e dollari di tutte le taglie. Molti bolognesi si sono riversati al palazzo solo verso le otto della sera, e a quel punto il colpo d´occhio è tornato ad essere quasi normale, nonostante una larga fetta di israeliani siano rimasti muti e immobili al loro posto, storditi e paralizzati da una sconfitta che gli ha spezzato il sogno e la vacanza. «Solo chi non sa cosa sia una Final four ha detto e scritto che i favoriti eravamo noi per il fattore campo», mormorava Messina nelle vesti di spettatore del primo match, carico di tutta quell´ovvia tensione che accompagna chi si affaccia certe sfide.
Domani sera, il PalaMalaguti sarà in ogni caso più bianconero di ieri, anche se sarà bene tenere a bada i tifosi greci, parsi ieri piuttosto agitati. Quasi come lo furono i tifosi dell´Aek a Barcellona, nell´anno di grazia 1998. Anche allora ci fu una finale contro Atene, ricorderà qualcuno. E non andò malaccio.
Giovanni Egidio
Fonte: La Repubblica