La Kinder deve resettare il computer. Cancellare tutto quello che ha memorizzato con la Benetton, ricominciare da zero. Per due motivi: se alla vigilia della finalissima non sappiamo chi tra le due avversarie è più forte siamo però sicuri di due cose: che il Panathinaikos è un complesso totalmente diverso per filosofia e che, rispetto a Treviso, ha un allenatore di grandissimo spessore e con una delle bacheche più ricche del mondo.
Dire Panathinaikos non è però dire soltanto Obradovic: venerdì pomeriggio tutti hanno visto quello di cui è capace Dejan Bodiroga nelle sfide che contano. Riusciva a far vincere Tanjevic, figuriamoci adesso che gioca per Obradovic. Il resto del Panathinaikos è una sapiente mistura di esperienza (Middleton, Rogers, Alvertis e Kutluay) e di vigore fisico (dal guizzante Kalatzis al potente e talentuoso Papadopoulos). A fare da preziosi jolly, nel mazzo di carte messo a disposizione di Obradovic, troviamo la vecchia conoscenza bolognese Mulaomerovic e l'ex veronese Albano senza dimenticare Pepe Sanchez che non è quello spento e impreciso visto contro il Maccabi.
Diverso da Treviso, abbiamo detto e spieghiamo subito perchè. La Benetton, nel bene e nel male, all'inizio e alla fine, viaggia solo a una velocità e a una dimensione. Pensa solo a creare e quando il giochino non le riesce basta che dall'altra parte ci sia gente di cuore e un buon timoniere in panchina che le partite prendono la strada della semifinale con la Kinder o del big match di campionato con la Skipper.
Il Panathinaikos no, e non sai mai da che parte prenderlo. Pensi che se ne stia lì addormentato come un cobra sopra un sasso arroventato o come un felino in mezzo a un prato e invece, se non presti attenzione, ecco il morso, ecco la zampata, ecco la partita che prende una direzione non voluta portandoti sull'orlo del burrone. Chiedete al Maccabi cosa vuol dire farsi stritolare lentamente tra le spire di un avversario che fa mancare lentamente l'ossigeno impedendoti di giocare in velocità, di prendere possesso dell'area, di innescare i tiratori perimetrali. Da tutto ciò dovrà difendersi la Kinder e ha gli uomini per farlo. Anche quelli che possono costruire una gabbia per quel genio del basket europeo che si chiama Dejan bodiroga.
Gianni Cristofori
Dire Panathinaikos non è però dire soltanto Obradovic: venerdì pomeriggio tutti hanno visto quello di cui è capace Dejan Bodiroga nelle sfide che contano. Riusciva a far vincere Tanjevic, figuriamoci adesso che gioca per Obradovic. Il resto del Panathinaikos è una sapiente mistura di esperienza (Middleton, Rogers, Alvertis e Kutluay) e di vigore fisico (dal guizzante Kalatzis al potente e talentuoso Papadopoulos). A fare da preziosi jolly, nel mazzo di carte messo a disposizione di Obradovic, troviamo la vecchia conoscenza bolognese Mulaomerovic e l'ex veronese Albano senza dimenticare Pepe Sanchez che non è quello spento e impreciso visto contro il Maccabi.
Diverso da Treviso, abbiamo detto e spieghiamo subito perchè. La Benetton, nel bene e nel male, all'inizio e alla fine, viaggia solo a una velocità e a una dimensione. Pensa solo a creare e quando il giochino non le riesce basta che dall'altra parte ci sia gente di cuore e un buon timoniere in panchina che le partite prendono la strada della semifinale con la Kinder o del big match di campionato con la Skipper.
Il Panathinaikos no, e non sai mai da che parte prenderlo. Pensi che se ne stia lì addormentato come un cobra sopra un sasso arroventato o come un felino in mezzo a un prato e invece, se non presti attenzione, ecco il morso, ecco la zampata, ecco la partita che prende una direzione non voluta portandoti sull'orlo del burrone. Chiedete al Maccabi cosa vuol dire farsi stritolare lentamente tra le spire di un avversario che fa mancare lentamente l'ossigeno impedendoti di giocare in velocità, di prendere possesso dell'area, di innescare i tiratori perimetrali. Da tutto ciò dovrà difendersi la Kinder e ha gli uomini per farlo. Anche quelli che possono costruire una gabbia per quel genio del basket europeo che si chiama Dejan bodiroga.
Gianni Cristofori
Fonte: Il Resto del Carlino