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Dai Virtus, l´ultimo sforzo

Messina e la finale: "Chi tiene duro la vince"

Ride, scherza, chiacchiera e, bonariamente, stuzzica pure un po´ i giornalisti che hanno D´Antoni nel cuore. Arriva con l´allegria del sopravvissuto, Ettore Messina, in questa mattinata di vigilia, nella Sala Ercole di Palazzo d´Accursio. Arriva e si mette a ridere con Obradovic, scegliendo di parlargli in spagnolo, poi si siede per le domande ufficiali nella tribunetta dell´Eurolega, quindi scende in platea per le chiacchiere in confidenza con la stampa, e finalmente spiega perché sopravvissuto si sente davvero. «Voi non potete capire, o forse sì, la pressione che avevamo addosso, giocandoci l´accesso alla finale in casa nostra, ma contro un´altra italiana che quest´anno ci aveva battuto tre volte, senza che fossimo mai riusciti ad arginare due tipi pericolosissimi come Edney e Nicola. Non c´era domani, davvero, cioè nessuno pensava all´oggi, perché tutti potevano solo preoccuparsi di battere la Benetton».
Tutta la tensione di venerdì, oggi vi fa sembrare insolitamente, e paradossalmente, rilassati.
«Succede così: quando arrivi alla soglia di una semifinale difficile, ti dici che se fai tanto di uscirne vivo, poi non ti ferma più nessuno. Ce lo dicevamo anche con Giordano e Lele, l´altra sera, guardando Panathinaikos-Maccabi. Ma ora, naturalmente, non ce lo diciamo più».
E cosa vi dite?
«Ci diciamo che abbiamo una montagna da scalare, e dobbiamo metterci a ragionare con calma e soprattutto a far ragionare con calma la squadra. Il Panathinaikos gioca un basket molto diverso da Treviso, non cerca la soluzione più veloce, aspetta e ti tiene in difesa 22 se non 23 secondi. Devi stare lì, aspettare, e nemmeno farti prendere dalla frenesia del contropiede a tutti costi, altrimenti rischi di buttare al vento i tuoi possessi palla. Tenere mentalmente, in sintesi».
Lo sapete fare.
«Sì, lo sappiamo fare. Lo dico con molto orgoglio: questa squadra ha grande tenuta mentale. Ma anche quell´altra, il Panathinaikos, ne ha da vendere. E forse non è un caso che in finale ci siamo noi e loro».
Dice Obradovic che se uno va per strada e fa dieci domande, in dieci gli rispondono che vince la Kinder.
«Io
stamattina ne ho incontrati due, vestiti di verde, e mi hanno giurato che vince Atene».
Dice Obradovic che erano della Benetton e avevano appena perso…
«Bella battuta, Obradovic è simpatico e ci sa fare. Mi sembra normale che una finale passi anche per una certa pretattica, cercando di spostare tutta la pressione sull´avversario. Va bene così, io adesso ho un sacco di lavoro a cui pensare, devo mettermi a riguardare il Panathinaikos».
Domanda facile facile: il problema numero uno?
«Ovvio, Bodiroga. Più che un problema, direi il pericolo pubblico numero uno. Ci penseremo in queste ore, a chi affidarlo. Ma dubito che se ne occuperà uno solo dei nostri per tutto l´incontro».
Rispetto alle altre finali, questa che finale è?
«Diversa, per diversi motivi. A Barcellona, già prima di cominciare, sentivamo che la coppa era alla nostra portata. Ve l´ho già raccontata quella dei sigari?»
Prego…
«Prima della partita con l´Aek, io alla lavagna che spiego, e dietro i miei che mormorano: "Li hai portati?". Si riferivano ai sigari, ma anche a quella roba per colorarsi i capelli. Voglio dire, in un mondo come il nostro in cui la cabala è sacra, quella squadra prima di giocare la finale già pensava a come festeggiarla».
E a Monaco?
«A Monaco, dove avevamo anche problemi fisici, fu talmente alto lo scotto emotivo del derby di semifinale, in pratica la partita della vita, che all´ultimo atto arrivammo sgonfi. Dissero tutti stanchi, lo pensai anch´io: invece eravamo scarichi».
Questa volta come siete?
«Direi carichi al punto giusto: cioè soddisfatti di quanto abbiamo ottenuto, ma non certo appagati».
Messina, chi vincerà stasera?
«Chi avrà recuperato meglio lo sforzo di 48 ore prima, fisicamente e mentalmente. Vista alla rovescia, chi molla per primo è perduto».
Giovanni Egidio
Fonte: La Repubblica
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