LE DUE teste migliori della Final four, quel valore aggiunto senza il quale i miliardi non faranno mai canestro, si giocano stasera la coppa. Tra Ettore Messina, il siculo di porta San Mamolo, e Zele Obradovic, il serbo di Kifisià, ne godrà uno solo; ma se c´è un marchio di fabbrica nelle squadre, quel timbro che, giocassero in maschera anziché in verde o in bianconero, le riconosceresti lo stesso, Kinder e Panathinaikos ce l´hanno. Potrà piacerne uno più dell´altro, ma il logo, appunto, si vede.
Quasi coetanei, Messina classe '59 e Obradovic classe ´60, i duellanti si sono affrontati, ma non così spesso come farebbe supporre una vita vissuta da entrambi in squadre da corsa. Zele cammina oggi dentro la sua sesta finalissima d´Eurolega (4 vinte), Ettore calpesta la quarta (2 vinte). Per sbagliar bivio e sfiorarsi, più che scontrarsi, è capitato che uno facesse la Saporta e l´altro la coppa grossa, o che uno stesse nell´Uleb e l´altro nella Fiba. Vite parallele con rade convergenze: 12 duelli in 10 anni, conteggerebbe il ragioniere.
Uno solo di questi fu una finale, e con due nazionali. Flash back. Barcellona ´97, Messina ha con sé Fucka e Myers, Obradovic Savic e Danilovic: vince la Jugoslavia, e poco conta che l´Italia l´avesse battuta nel girone. Risalendo invece le storie di club, fra la monogama vita virtussina di Ettore e le tante esistenze di Obradovic, l´incrocio più secco è un play-off. Zele guida il Partizan che elimina la Virtus e va poi a vincere la coppa del '92, ma intanto che la scuoia le fa anche del bene: in quelle tre partite amare, la Virtus scopre Danilovic. Farà, qui, due cosette. Un altro paio di sfide passano per Badalona (1-1), ma non ce n´è col Real, né col Pana. Così come, nei due anni trevigiani di Obradovic, non càpita mai un play-off: solo stagione regolare (3-1 Messina), più una semifinale di Coppa Italia, ancora per Messina, dopo due supplementari. Totale, alla campana di stasera: 7 round a Ettore, 5 a Zele.
Precoci, di sicuro. Messina ha 31 anni quando vince la sua prima Europa: Firenze, Coppa Coppe contro il Real, Sugar in campo a illuminare d´immenso. Obradovic ne ha 32 quando, a Istanbul, Djordjevic e Danilovic piegano il Badalona all´ultimo tiro (Sale, da tre). Pochi mesi prima Zele era ancora un giocatore, un bel cervello con istinti mastini. Gli chiesero, al Partizan, se si sentiva di sfilarsi la canottiera e annodarsi la cravatta: gli serviva un coach, lui decise in una notte. Lo vegliava Nikolic e anche quella sera a Istanbul, la sigaretta pendula dal labbro, la smorfia addolorata perché quei magnifici ventenni «fanno errori, troppi errori», il professore defilò tutta la sua discrezione e la sua felicità spiando la nascita di un firmamento di stelle da una porticina dello spogliatoio. Sasha venne a Bologna, Sale a Milano, Zele a Badalona. Erano appena l´inizio.
Messina non ha, a Basket City, apparenti segreti. Semmai, un futuro avvolto di nebbia. Solcando il foyer dell´Eurolega, fitto di tutti i pezzi grossi di mondo basket, s´ascoltano mille voci. Lo danno a Roma e a Milano, a Madrid e a Barcellona, ma potrebbe anche finire per star qui, sia che decolli la cordata che ha contattato Madrigali, sia che resti il signor Cto: non sarebbe il primo matrimonio che regge per interesse, malgrado l´amore ampiamente consumato.
Finalisti per meriti, non per grazie ricevute, Obradovic ha imposto al Maccabi il tango lento del suo Panathinaikos: se l´asso è Bodiroga, si gioca per lui e al suo passo, gli altri servono il cannone al pezzo. Messina ha divelto la Benetton di fisico, coi pivot, più che con le guardie. Entrambe le strategie riverberano sulla sfida di stasera. Messina ha il quiz Bodiroga, debordante in queste ore di vigilia. Obradovic deve rigiocare la partita offensiva opposta al Maccabi (utili anche Middleton e Papadopoulos, tonificante la raffica iniziale dei trepuntisti), e avrà in difesa la rogna più dura, quando opporrà la batteria di lunghi più avara dell´ultimo decennio dei trifogli (Vrankovic e Rebraca erano altro) al pacchetto che l´altra sera ha sommerso Treviso.
Ma se la chiave è il ritmo, l´andamento dei giochi, si riabbandona la cronaca e si torna alla storia. O alle storie. Obradovic fa un basket più scabro e speculativo, tagliato ora come un abito sartoriale sul passo di Bodiroga (e anche di Alvertis e Kutluay, che non sono assaltatori frenetici). Ma lo faceva simile a Treviso, forse la sua puntata professionale più opaca: e allora Williams brontolava come una pentola perché non si correva, finchè Obradovic gli sbattè in faccia i numeri della sua brillante stagione. I 24 secondi vengono usati tutti, il possesso di palla raffredda pure il ritmo altrui, e se l´accusa è 'overcoaching´, ossia pilotare troppo i giocatori, Zele se ne frega. La squadra perfetta è quella che fa ciò che dice lui. Così, col Maccabi, gioca nelle svolte il manovale Kalaitzis più dell´architetto Kutluay: ma Kalaitzis annulla McDonald, e magari stasera rispunterà.
Messina è saltato in sella alla rivoluzione dei 24 secondi, ha cambiato lo spartito e zittito il luogo comune che sapesse solo alzare reticolati, ha allargato il campo a talento ed energia dei suoi purosangue. Venerdì la sua Virtus ha battuto a 90 punti una Benetton che, a quella quota, dovrebbe sguazzare. Invece, senza 'Ginodipendere´, e prescindendo anche da Granger, vice-bomber da addestrare, ha spaccato la partita quando l´uno e l´altro guardavano seduti, in avvio di quarto quarto, col 12-0 firmato Griffith & Andersen.
Se Messina fa il piacione solo alle convention per manager, Obradovic si porge pure peggiore di com´è, scostante al dialogo, diffidente, evasivo, quando invece chi lo conobbe nei due anni a Treviso lo trovò, fuori dalle sacre righe, affabile e cordiale. Eppure, nella Marca gli girò così così. Venne una Final Four a Barcellona (fuori con l´Aek all´ultimo tiro), venne una Saporta (Saragozza, finale col Valencia), venne una finale scudetto (0-3 con Varese, dopo la stoppata Marconato-Karnisovas che avvelenò la Fortitudo). Ma aveva ereditato la squadra con lo scudetto di D´Antoni sul petto, ne cambiò il gioco e i risultati avari lo accusarono. Quando uscì dai play-off con la piccola Reggio Emilia, Dado Lombardi ne cavò un carnevale, tormentandolo: poi, si sopravvive anche al dileggio, se stasera si è qui, alla sfida dei migliori.
Walter Fuochi
Quasi coetanei, Messina classe '59 e Obradovic classe ´60, i duellanti si sono affrontati, ma non così spesso come farebbe supporre una vita vissuta da entrambi in squadre da corsa. Zele cammina oggi dentro la sua sesta finalissima d´Eurolega (4 vinte), Ettore calpesta la quarta (2 vinte). Per sbagliar bivio e sfiorarsi, più che scontrarsi, è capitato che uno facesse la Saporta e l´altro la coppa grossa, o che uno stesse nell´Uleb e l´altro nella Fiba. Vite parallele con rade convergenze: 12 duelli in 10 anni, conteggerebbe il ragioniere.
Uno solo di questi fu una finale, e con due nazionali. Flash back. Barcellona ´97, Messina ha con sé Fucka e Myers, Obradovic Savic e Danilovic: vince la Jugoslavia, e poco conta che l´Italia l´avesse battuta nel girone. Risalendo invece le storie di club, fra la monogama vita virtussina di Ettore e le tante esistenze di Obradovic, l´incrocio più secco è un play-off. Zele guida il Partizan che elimina la Virtus e va poi a vincere la coppa del '92, ma intanto che la scuoia le fa anche del bene: in quelle tre partite amare, la Virtus scopre Danilovic. Farà, qui, due cosette. Un altro paio di sfide passano per Badalona (1-1), ma non ce n´è col Real, né col Pana. Così come, nei due anni trevigiani di Obradovic, non càpita mai un play-off: solo stagione regolare (3-1 Messina), più una semifinale di Coppa Italia, ancora per Messina, dopo due supplementari. Totale, alla campana di stasera: 7 round a Ettore, 5 a Zele.
Precoci, di sicuro. Messina ha 31 anni quando vince la sua prima Europa: Firenze, Coppa Coppe contro il Real, Sugar in campo a illuminare d´immenso. Obradovic ne ha 32 quando, a Istanbul, Djordjevic e Danilovic piegano il Badalona all´ultimo tiro (Sale, da tre). Pochi mesi prima Zele era ancora un giocatore, un bel cervello con istinti mastini. Gli chiesero, al Partizan, se si sentiva di sfilarsi la canottiera e annodarsi la cravatta: gli serviva un coach, lui decise in una notte. Lo vegliava Nikolic e anche quella sera a Istanbul, la sigaretta pendula dal labbro, la smorfia addolorata perché quei magnifici ventenni «fanno errori, troppi errori», il professore defilò tutta la sua discrezione e la sua felicità spiando la nascita di un firmamento di stelle da una porticina dello spogliatoio. Sasha venne a Bologna, Sale a Milano, Zele a Badalona. Erano appena l´inizio.
Messina non ha, a Basket City, apparenti segreti. Semmai, un futuro avvolto di nebbia. Solcando il foyer dell´Eurolega, fitto di tutti i pezzi grossi di mondo basket, s´ascoltano mille voci. Lo danno a Roma e a Milano, a Madrid e a Barcellona, ma potrebbe anche finire per star qui, sia che decolli la cordata che ha contattato Madrigali, sia che resti il signor Cto: non sarebbe il primo matrimonio che regge per interesse, malgrado l´amore ampiamente consumato.
Finalisti per meriti, non per grazie ricevute, Obradovic ha imposto al Maccabi il tango lento del suo Panathinaikos: se l´asso è Bodiroga, si gioca per lui e al suo passo, gli altri servono il cannone al pezzo. Messina ha divelto la Benetton di fisico, coi pivot, più che con le guardie. Entrambe le strategie riverberano sulla sfida di stasera. Messina ha il quiz Bodiroga, debordante in queste ore di vigilia. Obradovic deve rigiocare la partita offensiva opposta al Maccabi (utili anche Middleton e Papadopoulos, tonificante la raffica iniziale dei trepuntisti), e avrà in difesa la rogna più dura, quando opporrà la batteria di lunghi più avara dell´ultimo decennio dei trifogli (Vrankovic e Rebraca erano altro) al pacchetto che l´altra sera ha sommerso Treviso.
Ma se la chiave è il ritmo, l´andamento dei giochi, si riabbandona la cronaca e si torna alla storia. O alle storie. Obradovic fa un basket più scabro e speculativo, tagliato ora come un abito sartoriale sul passo di Bodiroga (e anche di Alvertis e Kutluay, che non sono assaltatori frenetici). Ma lo faceva simile a Treviso, forse la sua puntata professionale più opaca: e allora Williams brontolava come una pentola perché non si correva, finchè Obradovic gli sbattè in faccia i numeri della sua brillante stagione. I 24 secondi vengono usati tutti, il possesso di palla raffredda pure il ritmo altrui, e se l´accusa è 'overcoaching´, ossia pilotare troppo i giocatori, Zele se ne frega. La squadra perfetta è quella che fa ciò che dice lui. Così, col Maccabi, gioca nelle svolte il manovale Kalaitzis più dell´architetto Kutluay: ma Kalaitzis annulla McDonald, e magari stasera rispunterà.
Messina è saltato in sella alla rivoluzione dei 24 secondi, ha cambiato lo spartito e zittito il luogo comune che sapesse solo alzare reticolati, ha allargato il campo a talento ed energia dei suoi purosangue. Venerdì la sua Virtus ha battuto a 90 punti una Benetton che, a quella quota, dovrebbe sguazzare. Invece, senza 'Ginodipendere´, e prescindendo anche da Granger, vice-bomber da addestrare, ha spaccato la partita quando l´uno e l´altro guardavano seduti, in avvio di quarto quarto, col 12-0 firmato Griffith & Andersen.
Se Messina fa il piacione solo alle convention per manager, Obradovic si porge pure peggiore di com´è, scostante al dialogo, diffidente, evasivo, quando invece chi lo conobbe nei due anni a Treviso lo trovò, fuori dalle sacre righe, affabile e cordiale. Eppure, nella Marca gli girò così così. Venne una Final Four a Barcellona (fuori con l´Aek all´ultimo tiro), venne una Saporta (Saragozza, finale col Valencia), venne una finale scudetto (0-3 con Varese, dopo la stoppata Marconato-Karnisovas che avvelenò la Fortitudo). Ma aveva ereditato la squadra con lo scudetto di D´Antoni sul petto, ne cambiò il gioco e i risultati avari lo accusarono. Quando uscì dai play-off con la piccola Reggio Emilia, Dado Lombardi ne cavò un carnevale, tormentandolo: poi, si sopravvive anche al dileggio, se stasera si è qui, alla sfida dei migliori.
Walter Fuochi
Fonte: La Repubblica