Sembrava che la vittoria della Juventus fosse di buon auspicio, se non altro per un fatto cromatico. Invece, a pensarci bene, il paragone giusto andava fatto con i favoriti, come la Virtus. Cioè con l´Inter. Ecco perché questa sconfitta è anche peggio del peggior lutto della famiglia bianconera, datato 1981, con quella Coppa che da Strasburgo andò al Maccabi, tra veleni e maledizioni.
Ecco, questa volta è peggio, molto peggio. Questa volta il sogno si rompe sotto casa, dove anche il Nettuno era già pronto a fare festa, dove mezza Bologna bianconera era dentro a cantare, e mezza fuori con i petardi in mano. Vince Atene, e vince da Virtus. Vince nel silenzio rotto dai cori dei suoi, ma con i virtussini pietrificati che non sanno più da che parte guardare, e nemmeno decidersi ad andarsene. Parte una musica che dovrebbe essere ad effetto, ma sembra una marcia funebre. E il popolo della Kinder resta ancora lì, a riguardarsi quell´incubo col fantasma di Kutluay che si alza e tira. E segna, segna sempre. Sembrava facile prima, sembrava fatta all´intervallo. Sembrava anche a Madrigali, che ora ha lo sguardo nel vuoto, mentre Bodiroga viene eletto miglior giocatore, e il presidente mastica la prima sconfitta della sua veloce, e fin qui scintillante, carriera.
«Cosa è successo? Ecco, vorrei saperlo anch´io, cosa è successo. Sembrava che tutto dovesse funzionare per il meglio, avevamo preso un buon vantaggio, poi c´è stato un buco nero. Non lo so, a volte la chimica è strana, smetti di fare canestro e non capisci perché. Io almeno non l´ho capito, per questo chiedo a voi. Anzi, per questo andrò a parlare con la squadra e con Messina».
La squadra non parla, piange. Quasi tutti, racconta chi sale dallo spogliatoio, e racconta anche Messina, che arriva nella saletta stampa prima che Madrigali sia sceso nello stanzone delle lacrime. Non piange, Ettore, nei suoi occhi c´è qualcosa di peggio. Il vuoto, appunto. «E´ inutile che vi dica quanto sono, quanto siamo, amareggiati. Lo potete capire, o vedere, da voi. Fa male vedere i miei in lacrime, vedere i nostri tifosi uscire a testa bassa, vedere questa coppa che volevamo a tutti i costi andare nelle braccia degli altri».
Bisognerebbe parlare anche di basket, provare a rivedere con lui una partita sfiorita dopo aver promesso polline di felicità per tutti. Ma prima viene anche da chiedere cosa sarà del futuro di un allenatore che si diceva fosse deciso a partire col trionfo in tasca. E ora? «No, non è una partita che può decidere un futuro, ma non è nemmeno il caso di parlarne, del futuro, con questa delusione addosso. Né del mio, né di quello di Ginobili, Jaric e gli altri. Ora bisogna avere rispetto della Virtus e dei suoi tifosi, per rigenerarsi in fretta e puntare a questi play off del campionato col massimo della voglia. Se vogliamo portare a casa il titolo italiano, dovremo conquistarlo lontano dal nostro impianto, quindi sarà ancora più dura. Ma a volte le sfide più difficili nascono dalle grandi delusioni».
Il pallore di Messina non accenna a diminuire, semmai si accentua, ma poco alla volta gli piovono addosso le domande. La più cruda, è un appunto: non era il caso di insistere su Granger, anziché su altri? E Messina, che in certi casi sa anche sfoderare il ghigno più duro, questa volta quasi acconsente: «Può darsi, può darsi che Granger potesse darmi di più. Ma io ho preferito affidarmi ai giocatori che conosco meglio, a quelli con cui siamo arrivati fin qui, perché so cosa può darmi Rigaudeau, a prescindere dalla condizione del momento. Io non ho rimpianti in quel senso ma, ripeto, capisco che da fuori si potesse pensare che era giusto dare più spazio a Granger».
Arrivano altri interrogativi, sui problemi dei lunghi, i liberi tirati al peggio, il crollo emotivo del gruppo dopo il +14 del secondo quarto. Messina non si scompone nemmeno, incassa e non riattacca. «Avevamo un bel vantaggio, ma non l´abbiamo saputo difendere bene arrivando con solo 8 punti di vantaggio all´intervallo. Poi l´inerzia è passata a loro, e noi abbiamo fatto fatica a riprenderla in mano. C´eravamo quasi riusciti, quasi. Complimenti a loro, chi vince in questo modo ha ragione. Non credo che la Kinder sia andata lontanissima dalla vittoria, ma purtroppo non c´è arrivata».
C´è ancora gente dentro il Palazzo, quando anche la squadra ormai è andata via. Passa Madrigali, seguito dalla scorta e dalla famiglia. «Là dentro sono distrutti, meglio che vada a parlargli in settimana», mormora, prima di sparire. Se ne riparlerà a volontà, la città del basket certi lutti li elabora solo con le chiacchiere. E ci riesce anche. Dimenticare, però, purtroppo sarà impossibile.
Giovanni Egidio
Ecco, questa volta è peggio, molto peggio. Questa volta il sogno si rompe sotto casa, dove anche il Nettuno era già pronto a fare festa, dove mezza Bologna bianconera era dentro a cantare, e mezza fuori con i petardi in mano. Vince Atene, e vince da Virtus. Vince nel silenzio rotto dai cori dei suoi, ma con i virtussini pietrificati che non sanno più da che parte guardare, e nemmeno decidersi ad andarsene. Parte una musica che dovrebbe essere ad effetto, ma sembra una marcia funebre. E il popolo della Kinder resta ancora lì, a riguardarsi quell´incubo col fantasma di Kutluay che si alza e tira. E segna, segna sempre. Sembrava facile prima, sembrava fatta all´intervallo. Sembrava anche a Madrigali, che ora ha lo sguardo nel vuoto, mentre Bodiroga viene eletto miglior giocatore, e il presidente mastica la prima sconfitta della sua veloce, e fin qui scintillante, carriera.
«Cosa è successo? Ecco, vorrei saperlo anch´io, cosa è successo. Sembrava che tutto dovesse funzionare per il meglio, avevamo preso un buon vantaggio, poi c´è stato un buco nero. Non lo so, a volte la chimica è strana, smetti di fare canestro e non capisci perché. Io almeno non l´ho capito, per questo chiedo a voi. Anzi, per questo andrò a parlare con la squadra e con Messina».
La squadra non parla, piange. Quasi tutti, racconta chi sale dallo spogliatoio, e racconta anche Messina, che arriva nella saletta stampa prima che Madrigali sia sceso nello stanzone delle lacrime. Non piange, Ettore, nei suoi occhi c´è qualcosa di peggio. Il vuoto, appunto. «E´ inutile che vi dica quanto sono, quanto siamo, amareggiati. Lo potete capire, o vedere, da voi. Fa male vedere i miei in lacrime, vedere i nostri tifosi uscire a testa bassa, vedere questa coppa che volevamo a tutti i costi andare nelle braccia degli altri».
Bisognerebbe parlare anche di basket, provare a rivedere con lui una partita sfiorita dopo aver promesso polline di felicità per tutti. Ma prima viene anche da chiedere cosa sarà del futuro di un allenatore che si diceva fosse deciso a partire col trionfo in tasca. E ora? «No, non è una partita che può decidere un futuro, ma non è nemmeno il caso di parlarne, del futuro, con questa delusione addosso. Né del mio, né di quello di Ginobili, Jaric e gli altri. Ora bisogna avere rispetto della Virtus e dei suoi tifosi, per rigenerarsi in fretta e puntare a questi play off del campionato col massimo della voglia. Se vogliamo portare a casa il titolo italiano, dovremo conquistarlo lontano dal nostro impianto, quindi sarà ancora più dura. Ma a volte le sfide più difficili nascono dalle grandi delusioni».
Il pallore di Messina non accenna a diminuire, semmai si accentua, ma poco alla volta gli piovono addosso le domande. La più cruda, è un appunto: non era il caso di insistere su Granger, anziché su altri? E Messina, che in certi casi sa anche sfoderare il ghigno più duro, questa volta quasi acconsente: «Può darsi, può darsi che Granger potesse darmi di più. Ma io ho preferito affidarmi ai giocatori che conosco meglio, a quelli con cui siamo arrivati fin qui, perché so cosa può darmi Rigaudeau, a prescindere dalla condizione del momento. Io non ho rimpianti in quel senso ma, ripeto, capisco che da fuori si potesse pensare che era giusto dare più spazio a Granger».
Arrivano altri interrogativi, sui problemi dei lunghi, i liberi tirati al peggio, il crollo emotivo del gruppo dopo il +14 del secondo quarto. Messina non si scompone nemmeno, incassa e non riattacca. «Avevamo un bel vantaggio, ma non l´abbiamo saputo difendere bene arrivando con solo 8 punti di vantaggio all´intervallo. Poi l´inerzia è passata a loro, e noi abbiamo fatto fatica a riprenderla in mano. C´eravamo quasi riusciti, quasi. Complimenti a loro, chi vince in questo modo ha ragione. Non credo che la Kinder sia andata lontanissima dalla vittoria, ma purtroppo non c´è arrivata».
C´è ancora gente dentro il Palazzo, quando anche la squadra ormai è andata via. Passa Madrigali, seguito dalla scorta e dalla famiglia. «Là dentro sono distrutti, meglio che vada a parlargli in settimana», mormora, prima di sparire. Se ne riparlerà a volontà, la città del basket certi lutti li elabora solo con le chiacchiere. E ci riesce anche. Dimenticare, però, purtroppo sarà impossibile.
Giovanni Egidio
Fonte: La Repubblica