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Ramagli racconta la stagione

Il coach sull'esperienza sulla panchina della Lauretana

dalla Nuova Provincia di Biella

All’esordio in A1 come capo allenatore, ma con l’aria del veterano. Ramagli sulla panchina della Lauretana ha zittito gli scettici con sostanza,
serietà e doti da condottiero. Tanto da far scomodare il paragone con “Alessandro il Grande”. E non solo per il nome che lo accomuna al generale macedone. Lo vedi al lavoro, guardi i risultati, lo senti parlare, rispondere ai giornalisti, e ti viene in mente (per tornare ai giorni nostri) Marcello Lippi. E non solo per la parlata toscana. Salvi con cinque giornate d’anticipo e play-off sfiorati. Come battesimo del fuoco in A1 non è male. «Sicuramente. Questo è stato un campionato ampiamente
positivo, soprattutto perché bisogna considerare da dove siamo partiti e gli obiettivi che ci eravamo posti ad inizio stagione. Credo che si possa essere soddisfatti». Ci sono partite che ancora ti sogni di notte, nel bene
e nel male? «No, nessuna partita. Guarda, una delle nostre doti principali di quest’anno è stata proprio la capacità di “resettare” rapidamente la mente, sia che avessimo davanti due giorni soltanto, sia che ci fosse una
settimana di tempo. Sia che avessimo vinto bene, sia dopo la delusione di una sconfitta. Forse l’unico momento in cui abbiamo fatto fatica a recuperare la necessaria serenità mentale è stato dopo le quattro
sconfitte consecutive iniziali. Poi abbiamo fatto tesoro di quell’esperienza per cancellare in fretta esaltazione e frustrazione». Potendo tornare indietro, cambieresti qualcosa del campionato rossoblu, faresti qualche scelta differente? «Direi di no: non cambierei nulla. E poi, in ogni caso, non avremmo la controprova che una decisione diversa avrebbe portato risultati migliori. Soprattutto alla luce del bilancio positivo della
stagione». Non dev’essere stato facile gestire e conciliare due talenti individualisti come Dixon e Niccolai... «Ma non è stato neppure troppo difficile. Certo, non sarebbe corretto dire che tutto è stato semplice e,
d’altra parte, sarebbe sciocco aspettarsi che tutto fili liscio come l’olio. Per quanto riguarda Malik le difficoltà potevano essere legate al suo modo
particolare di interpretare la pallacanestro. Lui gioca nel ruolo di play più per le caratteristiche fisiche che per vera vocazione. E’ un talento offensivo e sarebbe più portato a giocare come guardia. Nel corso della stagione, tuttavia, ha compiuto importanti passi in avanti per completare il suo gioco.
«Per Andrea, se di difficoltà si può parlare queste sono da ricollegare al suo tipo di approccio, anche caratteriale, alle partite. Non ci sta mai a perdere e le vive a modo suo. «Per tornare alla domanda, credo non si possa pensare di avere a che fare con dieci soldatini pronti solo ad
ubbidire. E credo anche che quello non sarebbe neppure il mix migliore per vincere. Spesso, infatti, proprio i giocatori che ti obbligano a delle scelte finiscono per essere quelli che mettono anche quel qualcosa in
più...». A proposito di Niccolai, cos’hai pensato quando nella partita con la Kinder, a Bologna, era convinto che mancassero 6 secondi e ha tirato da metà campo sotto lo sguardo attonito di compagni, avversari e pubblico? «Ho pensato che eravamo “bolliti”. Ma questa sensazione l’avevo già avuta anche durante gli ultimi allenamenti della settimana... Poi è venuto da me a scusarsi, dicendo che pensava fosse finito il quarto... Invece mancavano ancora 6 minuti». Tanto per restare in tema di aneddoti e di “leggende metropolitane”, sempre il “nostro” Niccolai è mai riuscito ad arrivare puntuale?
«Agli allenamenti, con qualche sforzo e “spaccando il secondo” direi di sì. Quando si trattava di prendere il pullman o di incontrare qualche sponsor, invece, ha fatto molta fatica... In alcuni casi, però, come ha
detto lui stesso, “ha preteso troppo da se stesso”». Ad esempio? «Quando sotto Natale stavamo partendo per una trasferta e lo abbiamo atteso un quarto d’ora. Poi si è scoperto che stava confezionando 20 regali per compagni, allenatori e staff tecnico. E’ stato
perdonato». Parliamo di futuro. In questi giorni è stato riconfermato Alex Bougaieff: la Pallacanestro Biella riparte da lui? «Alex è un giocatore importante, l’ho già detto durante la stagione, per l’approccio, l’impegno e per quello che sta facendo. E’ arrivato da noi con un certo tipo di ruolo e poco alla volta si sta conquistando uno spazio diverso. Quest’anno è stato il 4º interno per minutaggio, ma è chiaro che avendolo confermato c’è l’intenzione di scommettere su di lui dandogli maggiori responsabilità. Non dimentichiamoci che se ci basiamo sul rapporto qualità-prezzo è
probabilmente tra i migliori della serie A, un aspetto non da poco per una società come la nostra». Se un giorno arrivassero Atripaldi e Savio dicendo: “Ti facciamo un regalo, scegli il giocatore che vuoi”, chi prenderesti? «Tanto so che non succederà mai... Comunque, se il presidente o qualche consigliere dovesse vincere il Superenalotto, non vorrei uno superbravo tecnicamente. Penserei piuttosto a dei giocatori che hanno rappresentato tanto per la Pallacanestro Biella e per questa città e che essendo ancora ai vertici dell’attività sarebbe bello rivedere in rossoblu. Dico Blair o Granger, tanto per fare due nomi. Soprattutto Joseph è ancora oggi un simbolo per Biella, anche a livello umano.
«Ma stiamo facendo “fantabasket”, chiaramente». “Alessandro il Grande” ora si concede qualche giorno di vacanza a casa sua, a Livorno, con moglie e figlioletto. «Se il tempo butta bene magari si fa un salto all’Elba», dice. Poi dal 20 maggio sarà di nuovo ora di pestare il parquet del palazzetto e di costruire la nuova stagione.
Carloandrea Finotto
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