dalla Nuova Provincia di Biella
BIELLA – La prima stagione in serie A del basket biellese dopo trent’anni. I play-off mancati di un soffio e non solo per demerito della squadra. Un territorio “sordo” all’importanza e all’opportunità di cavalcare un fenomeno come quello della Pallacanestro Biella. Un futuro ancora incerto, difficile e in salita. Il nuovo Palacoop. Le voci sulla partenza del general manager Marco Atripaldi. Di tutto questo parla Alberto Savio, presidente della società rossoblu che in otto anni ha saputo passare dalla C2 alla A1 salvandosi con cinque giornate d’anticipo.
Presidente, che voto dà all’annata della «Per dare un voto a quest’annata bisogna dividerla in tre momenti. All’impegno e alla disponibilità di tutti do un 10. Per tutti intendo i giocatori, l’allenatore, i collaboratori di Pallacanestro Biella e il pubblico biellese. Credo, onestamente, che non si possa chiedere nulla di più... «Darei 8, invece, all’obiettivo che ci eravamo posti di rimanere in serie A e che abbiamo raggiunto con largo anticipo. «Il voto più basso lo devo assegnare all’inesperienza, un fattore di cui eravamo coscenti sin dall’inizio. I nove decimi della squadra non avevano mai affrontato questo campionato e questo ha fatto sì che alcune partite che si potevano vincere si siano perse. Per questo darei un 7. Il che non vuol dire che non sia
soddisfatto, ma che probabilmente era impossibile fare di più».
Guardando indietro e ai play-off mancati solo per colpa della classifica avulsa, c’è qualcosa su cui recriminare? «Si recrimina solo quando si pensa di non aver fatto tutto quello che si poteva. Più che di recriminazioni parlerei di risultati che alla vigilia era impossibile
immaginare e, invece, strada facendo sarebbero stati alla nostra portata. Mi riferisco ai play-off. «Allora rifletto, cercando di essere obiettivo, e mi
chiedo perché non siamo riusciti a cogliere 2, 4 o 6 punti in più? I motivi sono tre: perché eravamo una squadra giovane, e questo lo sapevamo. Perché talvolta abbiamo commesso degli errori e questo capita nello
sport come nella vita. Infine perché una neopromossa non può godere di quel rispetto generalizzato da parte degli arbitri che è normale che invece abbiano altre società ben più plasonate della nostra. Non lo dico
con polemica, ma solo per sottolineare che mettendo insieme questi tre elementi avremmo probabilmente raccolto i punti in più necessari».
C’è stato qualcuno o qualcosa che l’ha delusa in questa stagione?
«No, direi di no. Spesso si crede che l’unica cosa importante siano i 40 minuti della partita. Invece la partita non è che il risultato del lavoro svolto nel corso della stagione. Ho seguito personalmente la preparazione dei ragazzi. Non già per vedere come venivano allenati, ma per capire ancora una volta che tipo di gruppo avevamo messo insieme. Ho cercato di conoscere gli uomini prima dei giocatori e credo che
tutti, compresi gli allenatori e i preparatori atletici, abbiano fatto il massimo. «Si può parlare di sfortuna più che di delusione. Abbiamo avuto degli infortuni. Poi le 12 squadre che hanno incontrato Reggio Calabria nelle prima parte della stagione hanno avuto i due punti garantiti, cosa che a noi non è successa. Allo stesso modo quanti
hanno vinto ripetutamente con Verona dopo che la Scaligera ha avuto le note vicende societarie hanno trovato vittorie facili, mentre noi siamo andati a vincere in trasferta quando ancora la Muller aveva la
squadra era al completo. Ecco, non sono deluso, penso però che un po’ di sfortuna si sia accanita contro di noi».
Chi o che cosa, invece, l’ha sorpresa positivamente?
«L’attività sportiva ha il suo massimo momento quando si vincono partite importanti. Credo che le vittorie con Kinder, Skipper, Trieste, Scavolini, con Udine all’esordio che ricomponeva la coppia Gentile-Esposito siano state una grandissima emozione. Per una piccola realtà come la nostra hanno significato rendersi conto di poter competere con società ben più importanti. «A questo proposito, però, ricordo quanto dissi in tempi non sospetti: avrei barattato alcune di quelle vittorie con altrettante contro dirette avversarie per la salvezza. Oggi ne sarebbe bastata una sola per accedere ai play-off. Possiamo ancora parlare di
piccole delusioni, ma solo chi non ha mai praticato sport non sa cogliere anche da queste gli stimoli per guardare avanti».
Parliamo della pallacanestro in generale. Bilanci in
profondo rosso, girandole di allenatori, squadre che
cambiano fino a 30 giocatori, società che falliscono.
Questo sport non rischia di prendere gli aspetti
peggiori del calcio?
«Pallacanestro Biella ha sempre cercato di programmare
per tempo i mezzi a disposizione e gli uomini
attraverso i quali cercare di raggiungere certi
risultati. Noi non cambieremo mai 30 giocatori, non
abbiamo mai sostituito un allenatore nel corso di una
stagione, e sono convinto che su questi due principi
si possano fondare delle realtà sane dal punto di
vista economico e sportivo. In altre realtà, forse, i
bilanci economici e i rapporti umani non vengono
tenuti nella dovuta considerazione.
«Se il basket italiano vuole cambiare e superare il
momento che sta attraversando dovremmo tutti ritornare
a guardare ai valori e ai bilanci. Non puoi spendere
cento euro se nei hai solo 50 a disposizione e non
puoi cambiare continuamente le persone pensando che
questo dia un senso di continuità ad un progetto».
Forse, come accade anche in altri settori, le regole
ci sono ma andrebbero rispettate...
«Assolutamente! Io ho combattuto a giugno dello scorso
anno contro la regola del minimo di stipendio. La
ritenevo non corretta come continuo a ritenerla oggi.
Però, nel momento in cui la si è votata io mi sono
adoperato per rispettarla. Sono convinto che qualunque
associazione, e la Lega delle società di serie A è una
di queste, si fondi sul rispetto delle regole che i
soci autonomamente si vogliono dare.
Biella è considerata un “fenomeno” positivo
nell’ambiente della pallacanestro italiana: società
solida, bilancio a posto, un settore giovanile da fare
invidia. Qual è il segreto?
«Non mi stanco mai di ripetere che in qualunque
attività dell’uomo la molla che deve spingere è il
fare “qualcosa a favore” e non “fare qualcosa contro”.
In sostanza, bisogna mettere amore, bisogna mettere
passione e tutti quei valori positivi che ognuno di
noi ha dentro di sé, che se sono alla base di un
progetto e che negli anni danno dei frutti.
«Non so se noi all’esterno siamo considerati bravi o
addirittura un fenomeno, so che facciamo le cose con
amore e passione; commettiamo errori ma cerchiamo di
imparare da questi errori. Certamente, in un panorama
di società italiane che in questi anni hanno smesso di
investire sui giovani, Pallacanestro Biella è una
rarità. Io non mi stanco di ripetere che se dovessi
cancellare il settore giovanile avrei meno problemi
economici di quelli che ho, perché il settore
giovanile significa dare la possibilità a quasi 400
giovani di giocare a pallacanestro, farli seguire da
istruttori qualificati, mettere a disposizione
strutture... Certo che c’è anche la speranza di
formare dei possibili campioni, ma c’è soprattutto il
desiderio di insegnare i valori alla base dello sport:
spirito di sacrificio, voglia di migliorarsi
continuamente, non dare mai nulla per scontato,
mettersi sempre in discussione. Sono quei valori che
permettono a qualunque sportivo di essere anche una
persona migliore nella vita di tutti i giorni».
Solo i biellesi, forse non se ne sono ancora accorti
del tutto... se deve arrivare il sindaco a lanciare un
appello per sostenere la squadra. Cosa ne pensa?
«Parto sempre dal presupposto che se non sono capito è
colpa mia, perché non so spiegarmi bene. Se in questi
anni non sono stato in grado di coinvolgere
maggiormente la nostra città, la nostra provincia, il
nostro Biellese insomma, mi voglio prendere tutte le
responsabilità e la colpa è solo mia.
«Però ho la sensazione che, forse (usando un
proverbio), “non c’è peggior sordo di chi non vuol
sentire”. E con questo non voglio dire che i miei
concittadini, il sistema economico biellese, le
aziende, non vogliano rendersi conto di quello che
potrebbe essere l’unico progetto di vera comunicazione
verso l’esterno per far capire quello che noi siamo.
Però, è indubbio che in altre parti d’Italia sono le
aziende che di solito si propongono alle attività
sportive e non viceversa.
«Posso dire di aver fatto partire questo progetto
cercando anno dopo anno di migliorare i risultati,
siamo arrivati sin qui con l’aiuto importante di
alcune aziende biellesi, siamo riusciti a fare la
prima stagione di serie A dopo trent’anni anche con
l’appoggio di tutte le amministrazioni (Regione
Provincia e Comune) e con l’aiuto di alcuni enti che
operano sul territorio come il Cordar o la Camera di
commercio.
«Oggi, però, per poter fare un salto di qualità, che
vorrebbe dire consolidare questo progetto e la nostra
presenza in serie A, c’è bisogno di tante altre
entità: siano esse aziende o privati. Io non mi stanco
di ripetere che sono pronto ad accogliere chiunque
voglia entrare in Pallacanestro Biella a titolo di
sostenitore, di azionista, di consigliere. Sono pronto
ad aprire dai libri contabili alla struttura
organizzativa a chiunque voglia partecipare ad un
ulteriore passo di questo nostro progetto. Spero che
qualcuno si faccia avanti e sono pronto a dimostrare
fino all’ultima lira come verranno spesi gli aiuti che
ci vorranno dare e a mettere in pratica fino
all’ultima parola i consigli che mi vorranno fornire».
Ci sarà ancora il nome Lauretana sulle maglie della
Pallacanestro Biella il prossimo anno?
«Cominciamo col dire che non mi stancherò mai di
ringraziare quello che i dirigenti di Lauretana,
Antonio Pola e Giovanni Vietti, hanno voluto fare per
Pallacanestro Biella. Quando l’anno scorso ad agosto,
per una serie di circostanze che ora è inutile
ricordare, è saltato un accordo che sembrava già
concluso con uno sponsor che ci avrebbe permesso di
affrontare con meno patemi d’animo questa stagione,
Lauretana ci ha fornito una vera ancora di salvezza.
Esiste con quest’azienda un accordo anche per la
prossima stagione ed è un accordo che, nonostante il
grande sforzo già prodotto quest’anno, verrebbe anche
incrementato. Tuttavia rappresenterebbe un valore di
sponsorizzazione ben al di sotto del minimo necessario
per sopravvivere in questo campionato. Ancora una
volta la grande personalità dei dirigenti Lauretana ha
fatto sì che ci sia anche un accordo fra gentiluomini
in forza del quale se io dovessi trovare uno sponsor
importante, loro sarebbero pronti a rinunciare a
questo secondo anno di contratto.
«Credo che questo fatto sia la miglior dimostrazione
di come Antonio Pola e Giovanni Vietti si siano
avvicinati alla nostra realtà con quella grande
passione verso lo sport di cui parlavo prima».
A proposito di futuro: che tempi sono previsti per il
nuovo palazzetto dello sport?
«Non sto seguendo direttamente l’iter autorizzativo,
ma credo che tra fine 2002 e inizio 2003 potrebbero
partire i cantieri del nuovo impianto. Se così sarà
siamo convinti che in 18 mesi si possa tagliare il
nastro dell’inaugurazione, il che vorrebbe dire avere
il Palacoop a disposizione per la stagione 2004-2005.
Insomma, per altre due stagioni noi giocheremo ancora
nell’attuale impianto di via Paietta».
Quest’anno ci siamo salvati con largo anticipo. L’anno
prossimo sarà la volta dei play-off e di un posto in
Europa?
«Non credo di avere mai fatto delle promesse che poi
non siano state mantenute. Per questo devo essere
molto realista: allo stato attuale delle nostre forze
finanziarie, anche per la prossima stagione il nostro
obiettivo non potrà che essere la salvezza.
«Tuttavia non ci siamo mai nascosti le potenzialità
che eventuali fatti nuovi potrebbero dare alla nostra
società. Mi spiego: se riuscissi a trovare uno sponsor
importante, se ricevessi l’attenzione di tante altre
aziende biellesi, se, in sostanza, potessi mettere
nelle mani di Marco Atripaldi il miglior budget per
questa nostra realtà, sono convinto che lui per primo
allestirà la squadra il più possibile competitiva. A
quel punto potrei anche fare delle promesse a ragion
veduta. In questo momento, però, sono costretto a
rimanere con i piedi per terra, e quindi, qualunque
sia l’attesa che i tifosi possano avere, mi sento
obbligato a ribadire che non possiamo guardare più in
là della salvezza». Parliamo del gm Atripaldi. Siccome corre voce che sia
corteggiato da altre società (se n’è parlato anche nel forum) non lo lascerà mica scappare? «Faccio una premessa: Marco potrebbe sicuramente avere soddisfazioni economiche e sportive molto maggiori in
tante altre società. Credo, però, che lui valuti più importanti altri aspetti che io chiamo “soddisfazioni personali”. Che sono quelle che l’hanno portato a far nascere questo progetto quando ancora era costretto a ritagliare del tempo al lavoro che stava facendo. «Se dovessere ricevere delle offerte credo che le valuterebbe, come è giusto fare, ma credo anche che sarebbe pronto a rinunciare a quelle maggiori prospettive, proprio in nome delle soddisfazioni personali che insieme abbiamo avuto.
«Dico questo parlandone in teoria. Perché io e Marco ci conosciamo da trent’anni e sono certo che se avesse avuto anche solo una mezza frase da parte di qualche società il primo a saperlo sarei stato io. Siccome non
mi ha detto niente sono sicuro che tutte le illazioni che si sono lette rimangono tali».
Carloandrea Finotto
BIELLA – La prima stagione in serie A del basket biellese dopo trent’anni. I play-off mancati di un soffio e non solo per demerito della squadra. Un territorio “sordo” all’importanza e all’opportunità di cavalcare un fenomeno come quello della Pallacanestro Biella. Un futuro ancora incerto, difficile e in salita. Il nuovo Palacoop. Le voci sulla partenza del general manager Marco Atripaldi. Di tutto questo parla Alberto Savio, presidente della società rossoblu che in otto anni ha saputo passare dalla C2 alla A1 salvandosi con cinque giornate d’anticipo.
Presidente, che voto dà all’annata della «Per dare un voto a quest’annata bisogna dividerla in tre momenti. All’impegno e alla disponibilità di tutti do un 10. Per tutti intendo i giocatori, l’allenatore, i collaboratori di Pallacanestro Biella e il pubblico biellese. Credo, onestamente, che non si possa chiedere nulla di più... «Darei 8, invece, all’obiettivo che ci eravamo posti di rimanere in serie A e che abbiamo raggiunto con largo anticipo. «Il voto più basso lo devo assegnare all’inesperienza, un fattore di cui eravamo coscenti sin dall’inizio. I nove decimi della squadra non avevano mai affrontato questo campionato e questo ha fatto sì che alcune partite che si potevano vincere si siano perse. Per questo darei un 7. Il che non vuol dire che non sia
soddisfatto, ma che probabilmente era impossibile fare di più».
Guardando indietro e ai play-off mancati solo per colpa della classifica avulsa, c’è qualcosa su cui recriminare? «Si recrimina solo quando si pensa di non aver fatto tutto quello che si poteva. Più che di recriminazioni parlerei di risultati che alla vigilia era impossibile
immaginare e, invece, strada facendo sarebbero stati alla nostra portata. Mi riferisco ai play-off. «Allora rifletto, cercando di essere obiettivo, e mi
chiedo perché non siamo riusciti a cogliere 2, 4 o 6 punti in più? I motivi sono tre: perché eravamo una squadra giovane, e questo lo sapevamo. Perché talvolta abbiamo commesso degli errori e questo capita nello
sport come nella vita. Infine perché una neopromossa non può godere di quel rispetto generalizzato da parte degli arbitri che è normale che invece abbiano altre società ben più plasonate della nostra. Non lo dico
con polemica, ma solo per sottolineare che mettendo insieme questi tre elementi avremmo probabilmente raccolto i punti in più necessari».
C’è stato qualcuno o qualcosa che l’ha delusa in questa stagione?
«No, direi di no. Spesso si crede che l’unica cosa importante siano i 40 minuti della partita. Invece la partita non è che il risultato del lavoro svolto nel corso della stagione. Ho seguito personalmente la preparazione dei ragazzi. Non già per vedere come venivano allenati, ma per capire ancora una volta che tipo di gruppo avevamo messo insieme. Ho cercato di conoscere gli uomini prima dei giocatori e credo che
tutti, compresi gli allenatori e i preparatori atletici, abbiano fatto il massimo. «Si può parlare di sfortuna più che di delusione. Abbiamo avuto degli infortuni. Poi le 12 squadre che hanno incontrato Reggio Calabria nelle prima parte della stagione hanno avuto i due punti garantiti, cosa che a noi non è successa. Allo stesso modo quanti
hanno vinto ripetutamente con Verona dopo che la Scaligera ha avuto le note vicende societarie hanno trovato vittorie facili, mentre noi siamo andati a vincere in trasferta quando ancora la Muller aveva la
squadra era al completo. Ecco, non sono deluso, penso però che un po’ di sfortuna si sia accanita contro di noi».
Chi o che cosa, invece, l’ha sorpresa positivamente?
«L’attività sportiva ha il suo massimo momento quando si vincono partite importanti. Credo che le vittorie con Kinder, Skipper, Trieste, Scavolini, con Udine all’esordio che ricomponeva la coppia Gentile-Esposito siano state una grandissima emozione. Per una piccola realtà come la nostra hanno significato rendersi conto di poter competere con società ben più importanti. «A questo proposito, però, ricordo quanto dissi in tempi non sospetti: avrei barattato alcune di quelle vittorie con altrettante contro dirette avversarie per la salvezza. Oggi ne sarebbe bastata una sola per accedere ai play-off. Possiamo ancora parlare di
piccole delusioni, ma solo chi non ha mai praticato sport non sa cogliere anche da queste gli stimoli per guardare avanti».
Parliamo della pallacanestro in generale. Bilanci in
profondo rosso, girandole di allenatori, squadre che
cambiano fino a 30 giocatori, società che falliscono.
Questo sport non rischia di prendere gli aspetti
peggiori del calcio?
«Pallacanestro Biella ha sempre cercato di programmare
per tempo i mezzi a disposizione e gli uomini
attraverso i quali cercare di raggiungere certi
risultati. Noi non cambieremo mai 30 giocatori, non
abbiamo mai sostituito un allenatore nel corso di una
stagione, e sono convinto che su questi due principi
si possano fondare delle realtà sane dal punto di
vista economico e sportivo. In altre realtà, forse, i
bilanci economici e i rapporti umani non vengono
tenuti nella dovuta considerazione.
«Se il basket italiano vuole cambiare e superare il
momento che sta attraversando dovremmo tutti ritornare
a guardare ai valori e ai bilanci. Non puoi spendere
cento euro se nei hai solo 50 a disposizione e non
puoi cambiare continuamente le persone pensando che
questo dia un senso di continuità ad un progetto».
Forse, come accade anche in altri settori, le regole
ci sono ma andrebbero rispettate...
«Assolutamente! Io ho combattuto a giugno dello scorso
anno contro la regola del minimo di stipendio. La
ritenevo non corretta come continuo a ritenerla oggi.
Però, nel momento in cui la si è votata io mi sono
adoperato per rispettarla. Sono convinto che qualunque
associazione, e la Lega delle società di serie A è una
di queste, si fondi sul rispetto delle regole che i
soci autonomamente si vogliono dare.
Biella è considerata un “fenomeno” positivo
nell’ambiente della pallacanestro italiana: società
solida, bilancio a posto, un settore giovanile da fare
invidia. Qual è il segreto?
«Non mi stanco mai di ripetere che in qualunque
attività dell’uomo la molla che deve spingere è il
fare “qualcosa a favore” e non “fare qualcosa contro”.
In sostanza, bisogna mettere amore, bisogna mettere
passione e tutti quei valori positivi che ognuno di
noi ha dentro di sé, che se sono alla base di un
progetto e che negli anni danno dei frutti.
«Non so se noi all’esterno siamo considerati bravi o
addirittura un fenomeno, so che facciamo le cose con
amore e passione; commettiamo errori ma cerchiamo di
imparare da questi errori. Certamente, in un panorama
di società italiane che in questi anni hanno smesso di
investire sui giovani, Pallacanestro Biella è una
rarità. Io non mi stanco di ripetere che se dovessi
cancellare il settore giovanile avrei meno problemi
economici di quelli che ho, perché il settore
giovanile significa dare la possibilità a quasi 400
giovani di giocare a pallacanestro, farli seguire da
istruttori qualificati, mettere a disposizione
strutture... Certo che c’è anche la speranza di
formare dei possibili campioni, ma c’è soprattutto il
desiderio di insegnare i valori alla base dello sport:
spirito di sacrificio, voglia di migliorarsi
continuamente, non dare mai nulla per scontato,
mettersi sempre in discussione. Sono quei valori che
permettono a qualunque sportivo di essere anche una
persona migliore nella vita di tutti i giorni».
Solo i biellesi, forse non se ne sono ancora accorti
del tutto... se deve arrivare il sindaco a lanciare un
appello per sostenere la squadra. Cosa ne pensa?
«Parto sempre dal presupposto che se non sono capito è
colpa mia, perché non so spiegarmi bene. Se in questi
anni non sono stato in grado di coinvolgere
maggiormente la nostra città, la nostra provincia, il
nostro Biellese insomma, mi voglio prendere tutte le
responsabilità e la colpa è solo mia.
«Però ho la sensazione che, forse (usando un
proverbio), “non c’è peggior sordo di chi non vuol
sentire”. E con questo non voglio dire che i miei
concittadini, il sistema economico biellese, le
aziende, non vogliano rendersi conto di quello che
potrebbe essere l’unico progetto di vera comunicazione
verso l’esterno per far capire quello che noi siamo.
Però, è indubbio che in altre parti d’Italia sono le
aziende che di solito si propongono alle attività
sportive e non viceversa.
«Posso dire di aver fatto partire questo progetto
cercando anno dopo anno di migliorare i risultati,
siamo arrivati sin qui con l’aiuto importante di
alcune aziende biellesi, siamo riusciti a fare la
prima stagione di serie A dopo trent’anni anche con
l’appoggio di tutte le amministrazioni (Regione
Provincia e Comune) e con l’aiuto di alcuni enti che
operano sul territorio come il Cordar o la Camera di
commercio.
«Oggi, però, per poter fare un salto di qualità, che
vorrebbe dire consolidare questo progetto e la nostra
presenza in serie A, c’è bisogno di tante altre
entità: siano esse aziende o privati. Io non mi stanco
di ripetere che sono pronto ad accogliere chiunque
voglia entrare in Pallacanestro Biella a titolo di
sostenitore, di azionista, di consigliere. Sono pronto
ad aprire dai libri contabili alla struttura
organizzativa a chiunque voglia partecipare ad un
ulteriore passo di questo nostro progetto. Spero che
qualcuno si faccia avanti e sono pronto a dimostrare
fino all’ultima lira come verranno spesi gli aiuti che
ci vorranno dare e a mettere in pratica fino
all’ultima parola i consigli che mi vorranno fornire».
Ci sarà ancora il nome Lauretana sulle maglie della
Pallacanestro Biella il prossimo anno?
«Cominciamo col dire che non mi stancherò mai di
ringraziare quello che i dirigenti di Lauretana,
Antonio Pola e Giovanni Vietti, hanno voluto fare per
Pallacanestro Biella. Quando l’anno scorso ad agosto,
per una serie di circostanze che ora è inutile
ricordare, è saltato un accordo che sembrava già
concluso con uno sponsor che ci avrebbe permesso di
affrontare con meno patemi d’animo questa stagione,
Lauretana ci ha fornito una vera ancora di salvezza.
Esiste con quest’azienda un accordo anche per la
prossima stagione ed è un accordo che, nonostante il
grande sforzo già prodotto quest’anno, verrebbe anche
incrementato. Tuttavia rappresenterebbe un valore di
sponsorizzazione ben al di sotto del minimo necessario
per sopravvivere in questo campionato. Ancora una
volta la grande personalità dei dirigenti Lauretana ha
fatto sì che ci sia anche un accordo fra gentiluomini
in forza del quale se io dovessi trovare uno sponsor
importante, loro sarebbero pronti a rinunciare a
questo secondo anno di contratto.
«Credo che questo fatto sia la miglior dimostrazione
di come Antonio Pola e Giovanni Vietti si siano
avvicinati alla nostra realtà con quella grande
passione verso lo sport di cui parlavo prima».
A proposito di futuro: che tempi sono previsti per il
nuovo palazzetto dello sport?
«Non sto seguendo direttamente l’iter autorizzativo,
ma credo che tra fine 2002 e inizio 2003 potrebbero
partire i cantieri del nuovo impianto. Se così sarà
siamo convinti che in 18 mesi si possa tagliare il
nastro dell’inaugurazione, il che vorrebbe dire avere
il Palacoop a disposizione per la stagione 2004-2005.
Insomma, per altre due stagioni noi giocheremo ancora
nell’attuale impianto di via Paietta».
Quest’anno ci siamo salvati con largo anticipo. L’anno
prossimo sarà la volta dei play-off e di un posto in
Europa?
«Non credo di avere mai fatto delle promesse che poi
non siano state mantenute. Per questo devo essere
molto realista: allo stato attuale delle nostre forze
finanziarie, anche per la prossima stagione il nostro
obiettivo non potrà che essere la salvezza.
«Tuttavia non ci siamo mai nascosti le potenzialità
che eventuali fatti nuovi potrebbero dare alla nostra
società. Mi spiego: se riuscissi a trovare uno sponsor
importante, se ricevessi l’attenzione di tante altre
aziende biellesi, se, in sostanza, potessi mettere
nelle mani di Marco Atripaldi il miglior budget per
questa nostra realtà, sono convinto che lui per primo
allestirà la squadra il più possibile competitiva. A
quel punto potrei anche fare delle promesse a ragion
veduta. In questo momento, però, sono costretto a
rimanere con i piedi per terra, e quindi, qualunque
sia l’attesa che i tifosi possano avere, mi sento
obbligato a ribadire che non possiamo guardare più in
là della salvezza». Parliamo del gm Atripaldi. Siccome corre voce che sia
corteggiato da altre società (se n’è parlato anche nel forum) non lo lascerà mica scappare? «Faccio una premessa: Marco potrebbe sicuramente avere soddisfazioni economiche e sportive molto maggiori in
tante altre società. Credo, però, che lui valuti più importanti altri aspetti che io chiamo “soddisfazioni personali”. Che sono quelle che l’hanno portato a far nascere questo progetto quando ancora era costretto a ritagliare del tempo al lavoro che stava facendo. «Se dovessere ricevere delle offerte credo che le valuterebbe, come è giusto fare, ma credo anche che sarebbe pronto a rinunciare a quelle maggiori prospettive, proprio in nome delle soddisfazioni personali che insieme abbiamo avuto.
«Dico questo parlandone in teoria. Perché io e Marco ci conosciamo da trent’anni e sono certo che se avesse avuto anche solo una mezza frase da parte di qualche società il primo a saperlo sarei stato io. Siccome non
mi ha detto niente sono sicuro che tutte le illazioni che si sono lette rimangono tali».
Carloandrea Finotto