LIONE - Lo cacciano. Anzi, l’hanno già cacciato: foglio di via consegnato un mese fa. A giugno, anche se avrà vinto lo scudetto francese, il Villeurbanne lo giubilerà rimangiandosi i propositi di lunga collaborazione. Ma lui, Bogdan Tanjevic, ha la battuta pronta: «Sono diventato un allenatore ‘‘global’’». Prego? «Sì, ‘‘global’’, avete capito bene. Non sono ‘‘no-global’’...» Proprio lei, uomo di sinistra, avverso ai poteri forti... «Nel mio mestiere, ormai, bisogna avere una valigia nella mano destra e una nella sinistra: pronto a restare o a partire».
Lo rivedremo allora in Italia, quasi sicuramente, questo personaggio dalla dialettica fine e dalle idee provocatorie tanto quanto le sue scelte tecniche. Boscia spesso non ha vinto ed è arrivato secondo («Me l’hanno appena rinfacciato pure qui: ho giusto perso la finale della Coppa di Francia...») perché non si è mai accontentato di imporsi; ha voluto tentare di farlo a modo suo, ma qualche volta è andata male. Ad esempio, lo scorso agosto agli Europei in Turchia. L’Italia aveva praticamente battuto la Grecia all’esordio e lui sfidò i manuali del basket ordinando una zona «lunga» sulla rimessa avversaria: tripla allo scadere di Alvertis e macchia indelebile sulle speranze di conferma degli azzurri. «Lo sapevo che me l’avreste ricordato, quell’episodio. I soliti ‘‘amici’’ giornalisti... Però io avevo buone ragioni, quella non era un’eresia tattica. Bisogna poi riconoscere la virtù di chi ha segnato quel canestro, dopo sette errori di fila. Eravamo ancora da titolo, ecco il dispiacere che resta».
Intanto, con rispetto parlando, Tanjevic ha sbagliato un’altra volta: Siena, che giudicava favorita per il titolo, non ha guadato nemmeno i quarti dei playoff. In semifinale, assieme alle due bolognesi e a Treviso, è andata Cantù. È forse «bollito», caro ex c.t.? «Lo ammetto, avrei scommesso sulla Montepaschi tricolore. L’avevo seguita, qui a Lione, nella finale della Saporta Cup: una vittoria convincente, la sua».
E invece...
«Invece Siena deve aver pagato lo scotto di una stagione lunga e, di base, da outsider . Merita comunque un elogio per aver allargato la lista delle favorite».
E adesso, essendo lei figura «super partes» ma emotivamente ancora coinvolta nelle vicende della serie A, che cosa succede?
«Succede che il mio ‘‘figlioccio’’, anzi mio fratello, insomma, Matteo Boniciolli, è favorito con la Fortitudo-Skipper. Ha il fattore campo dalla sua: non è un vantaggio decisivo, ma può essere importante».
Sospetto: ci sono troppi giocatori ai quali è legato. È un giudizio di parte.
«Può essere, ma tutti i pareri sono un po’ faziosi. Lo ammetto, ho un debole per la Fortitudo perché vi giocano Meneghin, Basile, Fucka, Galanda... Ma Matteo ha anche oggettivamente fatto giocare bene la squadra: può arrivare fino in fondo e lo dice il collega, più che l’amico».
Tuttavia il basket più scintillante è stato forse quello della Treviso di D’Antoni.
«Sì, un bel ritorno quello di Mike. La Benetton sarà un osso duro per tutti».
Una quotazione per la Kinder e per Cantù?
«Bologna ha lo scudetto sulle maglie e ha Messina alla guida: i vecchi pirati non si faranno affondare senza combattere. Invece l’Oregon è già andata oltre la soglia dei miracoli: vederla in finale mi pare troppo».
Torniamo al Tanjevic di Lione. Era il caso di lasciare l’Italia per farsi rifilare una pedata nel sedere?
«Sì. Ho vissuto una splendida esperienza in un Paese in cui lo Stato ha una presenza solida e positiva. I francesi hanno quello che a noi manca, cioè un sano nazionalismo: significa avere il rispetto di se stessi. Noi italiani ci sembriamo tanto belli solo perché non siamo in grado di vederci dall’estero...».
Nazionalismo: pronunciata da chi s’era addolorato per la frantumazione della natia Jugoslavia, è una parola che fa effetto.
«Il nostro non era nazionalismo, ma sciovinismo».
Resta la pedata nel sedere: proprio non si sente offeso?
«No. Si è creato solo uno screzio con una persona tanto piccola: mangiava con me, ma remava contro. L’ho scoperto un mese fa. Offeso? Macché. Una sera, entrando in un palazzo di Lione, mi sono sentito James Bond. E dicevo a me stesso: ‘‘My name is Bond, James Bond...’’»
È pronto per la barella. O per allenare Pozzecco...
«Ah, il mio ‘‘amico’’: come sta?»
Bene, ma forse lo cacciano da Varese: non c’è un gran feeling con Beugnot, l’allenatore. Sa che cosa dice Gianmarco?
«No».
Che è tutta colpa di Tanjevic. Quando lei allenava la nazionale, lo escludeva. Ma ora che l’Italia è nelle mani di Recalcati e che Pozzecco è di nuovo in azzurro, lei doveva inventarsi qualcosa: così, andandosene a Lione al posto di Beugnot, ha fatto assumere dalla Metis il nuovo nemico.
«Curiosa teoria. Ma un grande giocatore non è anche colui che sa adattarsi ad ogni tecnico?...»
Myers le ha telefonato. Vuol dire che Tanjevic andrà a Roma?
«Quella squadra per ora ha un allenatore. Carlton mi telefona perché siamo amici: suo padre è perfino geloso del rapporto che abbiamo. Però nemmeno a lui ho concesso favori: per averlo agli Europei, avrei dovuto fare un’eccezione. Non è giusto: una nazionale non può dipendere dai singoli».
Finirà allora alla Fortitudo, perché pare che Boniciolli non sia amato dal padrone, nonostante i risultati.
«Scommettete che Matteo rimarrà? Eppoi i padroni devono imparare che i tecnici, nel basket di oggi, non possono avere sempre il controllo della forma della squadra. Devono accettare qualche scompenso. Vero è, però, che se continueremo a giocare di più, come nella Nba, non avremo più ‘‘cuore’’ e perderemo la nostra arte».
Sicuro che ci sia ancora posto per Tanjevic, da qualche parte?
«Lo spero. Sennò, dovrei inventarmi un lavoro meno stressante e meglio pagato: difficile, alla mia età. Anzi, ho elaborato una teoria estrema: per il bene del prossimo e per risolvere il problema del lavoro e delle pensioni, ci vorrebbe che la vita cessasse a 65 anni. Avete visto che, dopo essere diventato filo-global, do una mano pure a Berlusconi?...»
Flavio Vanetti
Lo rivedremo allora in Italia, quasi sicuramente, questo personaggio dalla dialettica fine e dalle idee provocatorie tanto quanto le sue scelte tecniche. Boscia spesso non ha vinto ed è arrivato secondo («Me l’hanno appena rinfacciato pure qui: ho giusto perso la finale della Coppa di Francia...») perché non si è mai accontentato di imporsi; ha voluto tentare di farlo a modo suo, ma qualche volta è andata male. Ad esempio, lo scorso agosto agli Europei in Turchia. L’Italia aveva praticamente battuto la Grecia all’esordio e lui sfidò i manuali del basket ordinando una zona «lunga» sulla rimessa avversaria: tripla allo scadere di Alvertis e macchia indelebile sulle speranze di conferma degli azzurri. «Lo sapevo che me l’avreste ricordato, quell’episodio. I soliti ‘‘amici’’ giornalisti... Però io avevo buone ragioni, quella non era un’eresia tattica. Bisogna poi riconoscere la virtù di chi ha segnato quel canestro, dopo sette errori di fila. Eravamo ancora da titolo, ecco il dispiacere che resta».
Intanto, con rispetto parlando, Tanjevic ha sbagliato un’altra volta: Siena, che giudicava favorita per il titolo, non ha guadato nemmeno i quarti dei playoff. In semifinale, assieme alle due bolognesi e a Treviso, è andata Cantù. È forse «bollito», caro ex c.t.? «Lo ammetto, avrei scommesso sulla Montepaschi tricolore. L’avevo seguita, qui a Lione, nella finale della Saporta Cup: una vittoria convincente, la sua».
E invece...
«Invece Siena deve aver pagato lo scotto di una stagione lunga e, di base, da outsider . Merita comunque un elogio per aver allargato la lista delle favorite».
E adesso, essendo lei figura «super partes» ma emotivamente ancora coinvolta nelle vicende della serie A, che cosa succede?
«Succede che il mio ‘‘figlioccio’’, anzi mio fratello, insomma, Matteo Boniciolli, è favorito con la Fortitudo-Skipper. Ha il fattore campo dalla sua: non è un vantaggio decisivo, ma può essere importante».
Sospetto: ci sono troppi giocatori ai quali è legato. È un giudizio di parte.
«Può essere, ma tutti i pareri sono un po’ faziosi. Lo ammetto, ho un debole per la Fortitudo perché vi giocano Meneghin, Basile, Fucka, Galanda... Ma Matteo ha anche oggettivamente fatto giocare bene la squadra: può arrivare fino in fondo e lo dice il collega, più che l’amico».
Tuttavia il basket più scintillante è stato forse quello della Treviso di D’Antoni.
«Sì, un bel ritorno quello di Mike. La Benetton sarà un osso duro per tutti».
Una quotazione per la Kinder e per Cantù?
«Bologna ha lo scudetto sulle maglie e ha Messina alla guida: i vecchi pirati non si faranno affondare senza combattere. Invece l’Oregon è già andata oltre la soglia dei miracoli: vederla in finale mi pare troppo».
Torniamo al Tanjevic di Lione. Era il caso di lasciare l’Italia per farsi rifilare una pedata nel sedere?
«Sì. Ho vissuto una splendida esperienza in un Paese in cui lo Stato ha una presenza solida e positiva. I francesi hanno quello che a noi manca, cioè un sano nazionalismo: significa avere il rispetto di se stessi. Noi italiani ci sembriamo tanto belli solo perché non siamo in grado di vederci dall’estero...».
Nazionalismo: pronunciata da chi s’era addolorato per la frantumazione della natia Jugoslavia, è una parola che fa effetto.
«Il nostro non era nazionalismo, ma sciovinismo».
Resta la pedata nel sedere: proprio non si sente offeso?
«No. Si è creato solo uno screzio con una persona tanto piccola: mangiava con me, ma remava contro. L’ho scoperto un mese fa. Offeso? Macché. Una sera, entrando in un palazzo di Lione, mi sono sentito James Bond. E dicevo a me stesso: ‘‘My name is Bond, James Bond...’’»
È pronto per la barella. O per allenare Pozzecco...
«Ah, il mio ‘‘amico’’: come sta?»
Bene, ma forse lo cacciano da Varese: non c’è un gran feeling con Beugnot, l’allenatore. Sa che cosa dice Gianmarco?
«No».
Che è tutta colpa di Tanjevic. Quando lei allenava la nazionale, lo escludeva. Ma ora che l’Italia è nelle mani di Recalcati e che Pozzecco è di nuovo in azzurro, lei doveva inventarsi qualcosa: così, andandosene a Lione al posto di Beugnot, ha fatto assumere dalla Metis il nuovo nemico.
«Curiosa teoria. Ma un grande giocatore non è anche colui che sa adattarsi ad ogni tecnico?...»
Myers le ha telefonato. Vuol dire che Tanjevic andrà a Roma?
«Quella squadra per ora ha un allenatore. Carlton mi telefona perché siamo amici: suo padre è perfino geloso del rapporto che abbiamo. Però nemmeno a lui ho concesso favori: per averlo agli Europei, avrei dovuto fare un’eccezione. Non è giusto: una nazionale non può dipendere dai singoli».
Finirà allora alla Fortitudo, perché pare che Boniciolli non sia amato dal padrone, nonostante i risultati.
«Scommettete che Matteo rimarrà? Eppoi i padroni devono imparare che i tecnici, nel basket di oggi, non possono avere sempre il controllo della forma della squadra. Devono accettare qualche scompenso. Vero è, però, che se continueremo a giocare di più, come nella Nba, non avremo più ‘‘cuore’’ e perderemo la nostra arte».
Sicuro che ci sia ancora posto per Tanjevic, da qualche parte?
«Lo spero. Sennò, dovrei inventarmi un lavoro meno stressante e meglio pagato: difficile, alla mia età. Anzi, ho elaborato una teoria estrema: per il bene del prossimo e per risolvere il problema del lavoro e delle pensioni, ci vorrebbe che la vita cessasse a 65 anni. Avete visto che, dopo essere diventato filo-global, do una mano pure a Berlusconi?...»
Flavio Vanetti