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Oregon, giochi senza frontiere

Cantù a questo punto non si pone più limiti

CANTU' — Di rivelazione in rivelazione. Di sorpresa in sorpresa. L'Oregon Scientific non finisce più di stupire. Dall'obiettivo salvezza di settembre a un posto nei playoff a Natale, dalla final eight di Coppa Italia di febbraio al quarto posto a Pasqua, fino alla cavalcata trionfale di maggio con la porta della semifinale che si apre scardinando il Montepaschi Siena. E adesso sotto con la Skipper Bologna. Cantù non si pone più limiti. Dopo aver sfondato ogni traguardo che aveva di fronte, con un incedere paziente e sicuro, in Brianza la parola scudetto non è più tabù. Ora con il suo spirito battagliero e imprevedibile, con la sua truppa di americani che diverte e si diverte, che sta meravigliando se stessa e i tifosi per la forza che l'anima, punta dritta alla finalissima e allo scudetto. Senza paura, consapevole che la squadra può migliorare ancora.
Nel suo ritorno nell'olimpo del basket italiano, Cantù ha abbattuto con astuzia e intelligenza avversari ciclopici, ha resistito alle tentazione dell'appagamento, ha superato gli infortuni. Ogni sfida vinta era un incentivo per andare sempre più avanti, rafforzando la solidità del gruppo, alimentando l'altruismo, imparando a giocare a memoria, saldando giorno dopo giorno un legame d'amicizia fra i giocatori che è forse la forza vera di questa squadra. Mc Cullough, Thornton, Hines, Stonerook, Lindeman, Hoover: sei americani sconosciuti al grande pubblico e alla maggior parte dei club italiani ed europei, sei americani per costruire un sogno. Coach Stefano Sacripanti ha creduto in loro fin dall'estate. Il diesse Bruno Arrigoni li ha pescati nell'ombra del basket globale. Il presidente Francesco Corrado li ha incoraggiati come un padre con i suoi figlioli. Ma un ruolo chiave nel creare una grande famiglia l'hanno interpretato anche Riva e Gay, veterani silenziosi di un gruppo che si è cementato partita dopo partita. Con Damiao e Ansaloni a completare il mosaico.
«La difesa è diventata la nostra arma migliore», ha detto a caldo capitan Riva appena l'Oregon ha messo piede in semifinale. Ha ragione Nembo Kid: la difesa a tratti è perfetta. «E' il nostro punto di forza. Abbiamo piegato Siena con marcature serrate. Abbiamo insegnato agli americani che la "zona" può essere utile, anche se non è bella - spiega Riva -. Hanno imparato e capito. Per vincere, si può anche rinunciare allo spettacolo. La tattica è importante». E il milanista Sacripanti si è ispirato al suo allenatore preferito, Arrigo Sacchi. Il calcio applicato al basket: gioco a tutto campo, squadra che si muove compatta sul parquet, dove tutti sanno quale movimento compiere, quale posizione del campo occupare. Allenamenti feroci, gioco atletico, senza nessun risparmio. Trarre profitto da ogni errore. Un lavoro certosino. Una disciplina, un ordine, una geometria di gioco studiata a tavolino. Siena ne sa qualcosa.
E poi la crescita di alcuni giocatori ha permesso all'Oregon di maturare, crescere, affermarsi. A cominciare da Todd Lindeman (nella foto). Il pivot di Cantù è stato la torre decisiva per dare scacco matto al Montepaschi, umiliando Roberto Chiacig. Todd sta dimostrando di essere un centro di peso, in grado di spianare la strada di Cantù verso la finale. La serie contro la Skipper Bologna può essere la chance per una sua consacrazione. E poi il «soldato» Ryan Hoover, un gregario d'oro. Nei momenti difficili, Sacripanti ha sempre pescato l'asso nella manica dalla panchina. La sua mira chirurgica ha spesso raddrizzato la barca di Cantù, portandola in paradiso.
Paolo Marelli
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