SIENA — Tutto sembrava condurre ad un grande finale di stagione. Le esuberanti dichiarazioni estive del primo coach turco giunto in Italia erano state seguite da grandi risultati, finali perse all'ultimo secondo e finali vinte davanti a 2000 tifosi giunti da Siena fino a Lione.
Ma la fame di Ergin Ataman non era stata ancora saziata. Mancava soltanto l'ultimo atto delle profezie: la finale scudetto.
Invece la Montepaschi si è sciolta al sole tra l'amarezza e l'incredulità generale. E lui, da uomo d'onore, ha rimesso in mano alla società ogni decisione per il futuro.
«Avevo promesso determinati risultati — spiega Ataman — e visto che sono stati raggiunti solo in parte, mi è sembrato giusto delegare allo staff dirigenziale ogni scelta. Per quanto mi riguarda, voglio restare a Siena, altrimenti non avrei firmato un contratto per altri due anni, ma tutto dipende dalla società».
Lo sfogo nel dopo Cantù è legittimo. La delusione è comune a tutti. Ma Ataman non si tira indietro.
«Così come sono stato onorato ed elogiato dopo la vittoria in Saporta, allo stesso tempo mi sento responsabile per ciò che è successo nei play off. Tutti si aspettavano un grandissimo finale di stagione. Tutti dicevano che potevamo vincere lo scudetto. E questo ci ha portato nervosismo. Abbiamo giocato con l'assillo di dover dimostrare qualcosa. La stessa cosa mi è succesa con l'Efes Pilsen nel 2000: dopo aver raggiunto le Final Four di Eurolega le energie sono calate ed in finale scudetto abbiamo perso 4-1 contro il Tofas. E guardate cosa è successo al Panathinaikos: ha vinto l'Eurolega ed è stato eliminato 2-0 in semifinale nei play off greci. Ho letto un'intervista di Kutluay: “Dopo la Coppa ci siamo rilassati”. Negli ambienti sportivi questo succede spesso e allora o sei la Kinder...».
Quello che è fatto è fatto. Ma a prescindere dal risultato finale, questo è stato un anno topico per Siena e per il suo coach.
«Per me è stata un'esperienza grandissima perché il campionato italiano è il migliore a livello europeo. Mi è mancata un po' l'Eurolega ma credo che vincendo la Saporta ho sopperito a questa “nostalgia”. Insieme alle Final Four con l'Efes, questa è stata la mia soddisfazione più grande».
Da Istanbul a Siena il passo è grande...
«L'impatto con la città è stato bellissimo. Ho visto un grande entusiasmo. Il pubblico ha creduto in questo progetto fin da subito. E questo ha contribuito a costruire un grandissimo rapporto».
Adesso bisogna iniziare a pensare al futuro. Nel dopo Cantù, Ataman ha parlato di «rivoluzione» ma la parola va senza dubbio ridimensionata. Sentiamo un po': dalla squadra di Frates ha voluto soltanto quattro giocatori. E da quella attuale?
«E' presto per dirlo — dribbla il coach —. Ciò che conta è capire cosa vuole fare Siena: se vuole costruire una squadra per andare più alto, per cercare di entrare nelle prime due tre squadre, allora ho in mente i giocatori da prendere, ed a quel punto dovremo valutare la situazione insieme alla società. Potrebbero arrivarne due, tre o quattro. L'importante è che la città creda in noi».
Certo, la sconfitta con Cantù è un boccone amaro da mandare giù. Ma, come insegnano i grandi, per imparare a vincere bisogna prima imparare a perdere...
Federico Cappelli
Ma la fame di Ergin Ataman non era stata ancora saziata. Mancava soltanto l'ultimo atto delle profezie: la finale scudetto.
Invece la Montepaschi si è sciolta al sole tra l'amarezza e l'incredulità generale. E lui, da uomo d'onore, ha rimesso in mano alla società ogni decisione per il futuro.
«Avevo promesso determinati risultati — spiega Ataman — e visto che sono stati raggiunti solo in parte, mi è sembrato giusto delegare allo staff dirigenziale ogni scelta. Per quanto mi riguarda, voglio restare a Siena, altrimenti non avrei firmato un contratto per altri due anni, ma tutto dipende dalla società».
Lo sfogo nel dopo Cantù è legittimo. La delusione è comune a tutti. Ma Ataman non si tira indietro.
«Così come sono stato onorato ed elogiato dopo la vittoria in Saporta, allo stesso tempo mi sento responsabile per ciò che è successo nei play off. Tutti si aspettavano un grandissimo finale di stagione. Tutti dicevano che potevamo vincere lo scudetto. E questo ci ha portato nervosismo. Abbiamo giocato con l'assillo di dover dimostrare qualcosa. La stessa cosa mi è succesa con l'Efes Pilsen nel 2000: dopo aver raggiunto le Final Four di Eurolega le energie sono calate ed in finale scudetto abbiamo perso 4-1 contro il Tofas. E guardate cosa è successo al Panathinaikos: ha vinto l'Eurolega ed è stato eliminato 2-0 in semifinale nei play off greci. Ho letto un'intervista di Kutluay: “Dopo la Coppa ci siamo rilassati”. Negli ambienti sportivi questo succede spesso e allora o sei la Kinder...».
Quello che è fatto è fatto. Ma a prescindere dal risultato finale, questo è stato un anno topico per Siena e per il suo coach.
«Per me è stata un'esperienza grandissima perché il campionato italiano è il migliore a livello europeo. Mi è mancata un po' l'Eurolega ma credo che vincendo la Saporta ho sopperito a questa “nostalgia”. Insieme alle Final Four con l'Efes, questa è stata la mia soddisfazione più grande».
Da Istanbul a Siena il passo è grande...
«L'impatto con la città è stato bellissimo. Ho visto un grande entusiasmo. Il pubblico ha creduto in questo progetto fin da subito. E questo ha contribuito a costruire un grandissimo rapporto».
Adesso bisogna iniziare a pensare al futuro. Nel dopo Cantù, Ataman ha parlato di «rivoluzione» ma la parola va senza dubbio ridimensionata. Sentiamo un po': dalla squadra di Frates ha voluto soltanto quattro giocatori. E da quella attuale?
«E' presto per dirlo — dribbla il coach —. Ciò che conta è capire cosa vuole fare Siena: se vuole costruire una squadra per andare più alto, per cercare di entrare nelle prime due tre squadre, allora ho in mente i giocatori da prendere, ed a quel punto dovremo valutare la situazione insieme alla società. Potrebbero arrivarne due, tre o quattro. L'importante è che la città creda in noi».
Certo, la sconfitta con Cantù è un boccone amaro da mandare giù. Ma, come insegnano i grandi, per imparare a vincere bisogna prima imparare a perdere...
Federico Cappelli