PESARO — Tamburella nervosamente i suoi ditoni sulla scrivania, Ario Costa: soffriva sicuramente meno quando era un giocatore, tutto lo stress accumulato dietro le quinte non se ne va nemmeno a campionato concluso: «Non siamo contenti, non possiamo esserlo, anche se questa stagione non è poi così negativa — attacca il gm biancorosso —. Ma sono stagioni, queste, che devono far riflettere molto».
Ha speso tanto la Vuelle quest'anno, circa 14 miliardi, ma sono sempre la metà della Virtus e dunque non bastano per vincere. Potevano bastare, però, per restare nel grande giro europeo, per fare qualcosa di più in campionato: Costa lo sa bene e ripercorre le tappe della costruzione della squadra.
«Avevamo deciso di aggiungere a un telaio già forte due pedine che tecnicamente potessero darci un quid in più: Blair come potenza sotto i tabelloni, Beric come potenziale offensivo visto che, scegliendo un pivot, perdevamo DeMarco. Pensavo, e continuerò a pensare, che le decisioni prese erano buone. Beric era un giocatore dalla pericolosità offensiva riconosciuta in tutta Europa da dieci anni e proprio per questo al suo arrivo non ci fu nessuno che storse la bocca».
E poi cos'è successo, mancanza di chimica?
«Chiacchiere. Con queste nuove regole è normale mixare insieme giocatori di diverse nazionalità, sono professionisti. Deve funzionare e basta. Difatti da altre parti funziona».
Allora cosa non è andato per il verso giusto?
«Che siamo partiti tra le favorite, diciamo tra le prime quattro, ma non ci credevamo nemmeno noi. E' stato un errore non considerarsi una squadra di vertice: dovevamo essere pronti ogni domenica a una battaglia vera, chi ci batteva non conquistava solo due punti in classifica, ma una settimana di gloria. L'esempio? Fabriano, che dopo averci battuto è andata in palla perdendo otto gare di fila».
E' stato un fattore così decisivo?
«Per me sì. Perdere anche solo uno scontro diretto in un campionato reso così equilibrato dall'apertura delle frontiere, ti faceva perdere parecchio terreno. Bè, poi qualche infortunio ha sicuramente fermato lo sviluppo del nostro gioco, in particolare quelli di Blair e Beric che sono stati i più lunghi e pesanti. L'anno passato arrivare secondi ci ha fatto saltare gli ottavi di playoff, giocare i quarti con la bella in casa e soprattutto entrare in Eurolega. Hai voglia a illudersi che certe sconfitte non sono pesate, sono pesate eccome. Perché non c'era la giusta mentalità: non dovevamo aver paura di nessuno e invece su certi campi abbiamo faticato».
E i playoff?
«Lo specchio della stagione: alti e bassi furiosi: momenti di grande basket e black-out paurosi nel corso delle stesse partite. La squadra è rimasta quella che era all'inizio. Purtroppo».
Del futuro quando si parlerà?
«Ci vediamo la prossima settimana col presidente e cominceremo a ragionarci su».
Elisabetta Ferri
Ha speso tanto la Vuelle quest'anno, circa 14 miliardi, ma sono sempre la metà della Virtus e dunque non bastano per vincere. Potevano bastare, però, per restare nel grande giro europeo, per fare qualcosa di più in campionato: Costa lo sa bene e ripercorre le tappe della costruzione della squadra.
«Avevamo deciso di aggiungere a un telaio già forte due pedine che tecnicamente potessero darci un quid in più: Blair come potenza sotto i tabelloni, Beric come potenziale offensivo visto che, scegliendo un pivot, perdevamo DeMarco. Pensavo, e continuerò a pensare, che le decisioni prese erano buone. Beric era un giocatore dalla pericolosità offensiva riconosciuta in tutta Europa da dieci anni e proprio per questo al suo arrivo non ci fu nessuno che storse la bocca».
E poi cos'è successo, mancanza di chimica?
«Chiacchiere. Con queste nuove regole è normale mixare insieme giocatori di diverse nazionalità, sono professionisti. Deve funzionare e basta. Difatti da altre parti funziona».
Allora cosa non è andato per il verso giusto?
«Che siamo partiti tra le favorite, diciamo tra le prime quattro, ma non ci credevamo nemmeno noi. E' stato un errore non considerarsi una squadra di vertice: dovevamo essere pronti ogni domenica a una battaglia vera, chi ci batteva non conquistava solo due punti in classifica, ma una settimana di gloria. L'esempio? Fabriano, che dopo averci battuto è andata in palla perdendo otto gare di fila».
E' stato un fattore così decisivo?
«Per me sì. Perdere anche solo uno scontro diretto in un campionato reso così equilibrato dall'apertura delle frontiere, ti faceva perdere parecchio terreno. Bè, poi qualche infortunio ha sicuramente fermato lo sviluppo del nostro gioco, in particolare quelli di Blair e Beric che sono stati i più lunghi e pesanti. L'anno passato arrivare secondi ci ha fatto saltare gli ottavi di playoff, giocare i quarti con la bella in casa e soprattutto entrare in Eurolega. Hai voglia a illudersi che certe sconfitte non sono pesate, sono pesate eccome. Perché non c'era la giusta mentalità: non dovevamo aver paura di nessuno e invece su certi campi abbiamo faticato».
E i playoff?
«Lo specchio della stagione: alti e bassi furiosi: momenti di grande basket e black-out paurosi nel corso delle stesse partite. La squadra è rimasta quella che era all'inizio. Purtroppo».
Del futuro quando si parlerà?
«Ci vediamo la prossima settimana col presidente e cominceremo a ragionarci su».
Elisabetta Ferri
Fonte: Il Resto del Carlino