Negli anni '70 l'avevano ribattezzata Cantucky: un po' perché vinceva spesso come la Kentucky University e un po' perché costruiva i suoi successi in casa come il famoso college statunitense. Adesso sono cambiati i tempi, il basket ha lasciato i contorni del puro sport e si è buttato a capofitto nello show-business, ma il capoluogo brianzolo ha ritrovato una squadra competitiva ai massimi livelli e il soprannome "Cantucky" calza a pennello vista la presenza di sette giocatori statunitensi nell'organico.
Ma come è stato possibile che in meno di due stagioni una società allo sbando sia ritornata ai vertici del campionato? Tre sono gli ingredienti fondamentali di questo cocktail vincente: il presidente Francesco Corrado, il general manager Bruno Arrigoni e l'allenatore Pino Sacripanti. Il primo, appassionato di lungo corso, ha letteralmente salvato la società quando il patron Franco Polti era pronto a cedere il diritto sportivo altrove. Con la saggezza del buon padre di famiglia, Corrado si è accontentato di un budget ridotto, ma ben speso.Qui entrano in scena i meriti di Bruno Arrigoni, assistente allenatore e uomo mercato dell'Oregon. E' stato lui ad assemblare il gruppo vincente che ora fa tremare anche la Skipper. Con Antonello Riva e, soprattutto, Dan Gay nel ruolo di chiocce, ha confermato Bootsy Thornton e poi ha pescato in giro per il mondo degli onesti lavoratori che si sono integrati a meraviglia nella realtà lombarda: Jerry McCullough giocava in Francia, Sam Hines era in Israele dopo aver cambiato 15 squadre in carriera, Todd Lindeman in una defunta lega minore statunitense, Ryan Hoover in Venezuela e Shaun Stonerook in Belgio.
Ultimo, ma non quanto a meriti, Stefano Sacripanti, l'allenatore cresciuto in casa che lo scorso anno aveva preso in mano la squadra ultima in classifica e l'aveva condotta alla salvezza. Tanto buon senso, determinazione e meticolosità del lavoro in palestra sono le chiavi del suo lavoro che lo ha portato a essere insieme al senese Ataman il coach dell'anno. Adesso i tifosi sognano lo sgambetto alla Fortitudo e sono tornati a riaffollare il Pianella come un tempo: tanto innamorati da essere pronti a dire no all'Eurolega 2002-03 per amore del loro gruppo yankee. Alla faccia di chi concepisce ancora lo stereotipo dello straniero mercenario senza un'anima.
Guido Guida
Ma come è stato possibile che in meno di due stagioni una società allo sbando sia ritornata ai vertici del campionato? Tre sono gli ingredienti fondamentali di questo cocktail vincente: il presidente Francesco Corrado, il general manager Bruno Arrigoni e l'allenatore Pino Sacripanti. Il primo, appassionato di lungo corso, ha letteralmente salvato la società quando il patron Franco Polti era pronto a cedere il diritto sportivo altrove. Con la saggezza del buon padre di famiglia, Corrado si è accontentato di un budget ridotto, ma ben speso.Qui entrano in scena i meriti di Bruno Arrigoni, assistente allenatore e uomo mercato dell'Oregon. E' stato lui ad assemblare il gruppo vincente che ora fa tremare anche la Skipper. Con Antonello Riva e, soprattutto, Dan Gay nel ruolo di chiocce, ha confermato Bootsy Thornton e poi ha pescato in giro per il mondo degli onesti lavoratori che si sono integrati a meraviglia nella realtà lombarda: Jerry McCullough giocava in Francia, Sam Hines era in Israele dopo aver cambiato 15 squadre in carriera, Todd Lindeman in una defunta lega minore statunitense, Ryan Hoover in Venezuela e Shaun Stonerook in Belgio.
Ultimo, ma non quanto a meriti, Stefano Sacripanti, l'allenatore cresciuto in casa che lo scorso anno aveva preso in mano la squadra ultima in classifica e l'aveva condotta alla salvezza. Tanto buon senso, determinazione e meticolosità del lavoro in palestra sono le chiavi del suo lavoro che lo ha portato a essere insieme al senese Ataman il coach dell'anno. Adesso i tifosi sognano lo sgambetto alla Fortitudo e sono tornati a riaffollare il Pianella come un tempo: tanto innamorati da essere pronti a dire no all'Eurolega 2002-03 per amore del loro gruppo yankee. Alla faccia di chi concepisce ancora lo stereotipo dello straniero mercenario senza un'anima.
Guido Guida