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Cantù, un paradiso da sei miliardi

Bruno Arrigoni, manager dell´Oregon, racconta il miracolo della squadra che incontrerà la Skipper

BRUNO Arrigoni ha 57 anni, non deve aver mai passato il metro e settanta, eppure da ragazzo giocava a basket, nella Milano ai tempi capitale, con Lefebre, Eleni e Roggiani. Fonte Lefebre, «in quel quintetto tutti volevano fare i cervelli pensanti, così io tiravo come un pazzo». Tutti poi, nel basket, hanno fatto strada: Arrigoni allenando, meglio le donne degli uomini. E ha pure messo su casa, con una Piancastelli di Faenza, che giocava meglio di quei tre, e oggi lavora a Mediaset. Non è diventato un grande coach («io mi ritengo buonissimo, tiè»), forse diventerà un grande manager. Da grande, visto che lo fa solo da 4 anni e che ancora, nel piccolo mondo antico dei panieri, tutti lo chiamiamo Brunetto. E´ lui che ha portato Cantù in semifinale spendendo, conti suoi, «circa sei miliardi, compreso il gasolio del Pianella dove fa sempre un freddo porco». Se non è il manager dell´anno, poco ci manca, e così in tante real case lo stanno puntando (Varese la prima, tuttora in pole position). «Ci penseremo dopo, a stagione finita, sapendo già che la prossima sarà meno idilliaca. Ma sapendo pure che di presidenti come Corrado se ne trovano pochi in giro».
Arrigoni copre due ruoli: da gm, pesca americani giusti nelle plaghe più recondite; da vice allenatore, va in panchina e non intende rinunciarvi. «Ho una rispettabilità tecnica, perché qualcosa in vita mia ho vinto, e poi mi piace star vicino ai giocatori. Potevo vincere di più, vero. Ma non ho la virtù che ha Sacripanti, e lui sì che può diventare un grande. Pino accetta l´errore del giocatore, lo capisce. Io facevo la faccia brutta, gli mettevo più pressione e loro facevano peggio». Sacripanti è l´altro che ha riportato Cantù fra le prime quattro squadre d´Italia, dove mancava dal ´93. Che possa eliminare la Skipper è una scommessa: ma ne fanno, in Brianza, dall´inizio dell´anno e le hanno vinte tutte, «stando nei primi 5 posti dal primo giorno – calcola Arrigoni -, e sono già 39 partite».
E adesso, cosa dovrebbe accadere per far fuori la Skipper?
«Molte cose, non facili. Che limitiamo Fucka, se ne siamo capaci, anche se poi salta fuori il Kovacic che ci fece perdere a Cantù. Che teniamo basso il punteggio. Che facciamo le formichine in difesa. E che, come sempre, in attacco tiriamo fuori qualcosa di buono».
Sei americani in squadra, più nonno Gay: nessuno sbagliato, la favola dell´anno è stata questa. La vuole ri-raccontare?
«Volentieri. McCullough, il play, non era sconosciuto. Vince il titolo francese a Pau, arrivando a metà stagione, lì chissà perché lo mollano e lo prendiamo noi. E´ intelligente, orgoglioso, in attacco prende i suoi rischi e in difesa è furbo. Thornton l´avevamo già l´anno prima. E´ discontinuo a tirare, la gente non s´era innamorata, però faceva bene tante cose. Tenuto e azzeccato. Hines, l´ala, era stato il miglior marcatore in Polonia, poi era andato bene in Israele e dunque ci stava che segnasse tanto. Poi, ha pure i suoi vermi: è pigro, non stakanovista, forse s´è giocato una carrierona finendo nei campionati sbagliati, ma così è arrivato da noi. Stonerook è quello col pedigrèe meno pregiato, pescato però dai belgi che spesso arrivano prima di tutti. Lo vidi ad Anversa, duttile, sveglio, tecnico. Era giusto anche lui. Lindeman viene da Indiana, una grande scuola: era il classico gregarione bianco per occuparci l´area, qui è pure migliorato. Infine Hoover, il sesto. Tira da dio da tre punti, ma finchè non ha capito che passar davanti a McCullough era la sua gara sbagliata, non ha capito niente. Dopo sì. E ora ci serve tanto».
Tutto questo quanto costa?
«Sui centomila dollari a testa, chi dieci più, chi venti, poi ora dovremo pagarne altri 20-30 mila di premi. Pazienza, e poi ora batteranno cassa, da noi o altrove, perché l´anno buono l´agente lo monetizza. D´altra parte, abbiamo fatto solo contratti annuali. E quanto all´Eurolega, siamo qualificati, ma vedremo. Di questi, potremmo tenerne solo due, e si sa già che i giocatori europei costano il doppio».
Arrigoni, voltandosi indietro, sinceramente: qual è stata la botta di culo?
«Intanto questa faccenda dei soldi non è secondaria. E un po´ ci contavo, altrochè culo. Sono tutti suppergiù alla pari, così non capita quello che ho visto in molte squadre: bene, tu becchi 300? Ecco la palla, risolvi tu, fenomeno. I nostri si sentono azionisti della stessa ditta. Poi, è servito averli tutti entro il 20 agosto, lavorare subito insieme e stabilire gerarchie chiare: questi i titolari, questi i cambi. Non c´è stata confusione, hanno aiutato anche i ruoli ben definiti. Un play che è play, un´ala che è ala, eccetera. Pochi 1-2, 2-3, 4-5 o giù di lì. Il resto te lo dà partir bene. Vai a Pesaro e al PalaDozza quando non hanno ancora un quintetto base, tu ce l´hai, vinci, inizi a crederci e dopo stare in testa è più facile».
Adesso il quintetto ce l´hanno, in Fortitudo.
«Sì, ho letto, visto, ascoltato. Ma mi pare che fin dall´inizio abbiano camminato forte, e che semmai erano meno belli in coppa. Mah, per me Boniciolli e Lefebre hanno fatto un gran bel lavoro e adesso per la finale sono favoriti loro. Noi? Vogliamo solo vedere come va a finire. Come diceva Totò, in quel film in cui prendeva tutti quegli schiaffoni».
Non ho presente il film, ma mi fido. Brunetto Arrigoni, racconta il piccolo mondo antico, sa di cinema come di basket. Da grande, se non farà l´allenatore o il general manager, potrebbe pure fare il critico.
Walter Fuochi
Fonte: La Repubblica
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