Cominciare dalla fine, dai ricordi più freschi, è più facile, ma può essere fuorviante e piuttosto ingeneroso se l'oggetto della questione è la Pallacanestro Trieste edizione 2001/02. Che è giunta al capolinea della stagione infrangendosi contro la Benetton, ma che, altrettanto vero, ha fatto vedere grandi cose nella regular season e nei playoff contro Varese. Parte dalla fine anche Cesare Pancotto, per raccontare un anno di basket vissuto oltre i limiti: "Per Trieste i quarti di finale sono stati un evento. Altre undici squadre non ci sono arrivate, e ci siamo trovati al fianco delle formazioni italiane più forti degli ultimi dieci anni. Con noi sono uscite Siena, Pesaro e Roma, che hanno speso tre volte tanto, e che erano partite con ambizioni ben diverse dalle nostre. Ricordiamoci sempre da dove siamo partiti per valutare serenamente quanto è stato fatto: ad agosto l'obiettivo era evitare il diciannovesimo posto, oggi siamo qui a parlare di come siamo usciti ai quarti".
Un salto clamoroso, che ha portato Trieste a centrare in serie obiettivi sempre più prestigiosi, e che ha toccato il culmine con le sfide alla Benetton: "Per noi spiega il coach, che fatica ancora a riprendere il ritmo quotidiano della vita "normale" i quarti sono stati un regalo, una gratificazione in più al termine di una stagione splendida. Ci siamo arrivati con la consapevolezza di trovarci di fronte un avversario più forte tecnicamente, ma soprattutto mentalmente più preparato, con una determinazione che noi, dopo le tre battaglie fisiche e mentali contro Varese, non potevamo avere. La sintesi della nostra stagione è stata garatre con la Metis: ci abbiamo messo tutti i valori la voglia di andare oltre le difficoltà, l'agonismo, l'orgoglio di appartenenza a una società e a una città che ci hanno permesso di fare un campionato memorabile". Questo non vuol dire che Trieste abbia affrontato la Benetton senza nemmeno provarci: "Questo lo escludo assolutamente. Nessuno ha pensato di essere già in vacanza. Il giorno dopo l'eliminazione ci siamo ritrovati tutti a cena, e il dispiacere per la brutta figura rimediata era presente in tutti noi. Ma c'era anche la consapevolezza di aver fatto molte cose buone, di aver creato un gruppo solido. E alla fine ci siamo abbracciati tutti".
All'inizio una montagna da scalare
Non c'era molto da scommettere su Trieste la scorsa estate, ricorda Pancotto. "Non dimentichiamo che a giugno abbiamo rischiato di non iscriverci al campionato. Se Trieste è rimasta nel basket che conta è per il grande impegno di Roberto Cosolini, che poi ha portato avanti un lavoro difficilissimo con l'apporto prezioso e determinante di Mario Ghiacci. La situazione è stata chiara per tutti dall'inizio: budget ridotto del 40%, con questo bisognava costruire la squadra e arrivare alla fine della stagione senza alterazioni. Perché programmare significa saper guardare oltre la singola sconfitta, senza farsi prendere ogni volta dallo "sfriccichio" di cambiare per vedere se cambia qualcosa. Con Ghiacci l'intesa è stata perfetta: lo stesso modo di affrontare i problemi, lo stesso entusiasmo nel cercare buone scelte, esaltandoci nelle difficoltà. Abbiamo trovato giocatori accomunati dalla voglia di dimostrare il loro valore anche come uomini, un gruppo disposto a condividere con tutti noi una stagione di sacrifici. E' arrivata gente alla prima esperienza in serie A, oppure scartata da altre squadre, o con qualche rischiosa asprezza caratteriale da gestire. Ma tutti hanno accettato la sfida all'insegna dell'entusiasmo, del lavoro duro e del sacrificio, della responsabilità di vestire una maglia importante per tradizione e aspettative. E' questa la benzina che abbiamo messo nel nostro motore, e che non si è mai esaurita, playoff compresi. Il gruppo è cresciuto passo dopo passo, trovando un limite solo quando infortuni e incidenti vari di percorso sono diventati un fattore quotidiano con cui fare i conti. E man mano che passa il tempo, mi rendo conto del grande lavoro fatto dai miei giocatori".
Trieste, un certo stile
La costruzione di una grande stagione comincia subito. Non c'è garbage time, e le prime impressioni sono spesso determinanti per farsi un'idea della squadra che verrà. Pancotto ha cominciato da lì il suo piccolo capolavoro, spiegando anche che perdere con Udine, seppure in amichevole, non è esattamente il sogno dei tifosi triestini. Bisognava lavorare sugli stimoli e sugli spigoli di un gruppo nuovo di zecca, eterogeneo per tecnica e per cultura di provenienza: "Prima di firmare i giocatori spiega il coach io e Ghiacci abbiamo fatto loro un discorso chiaro, spiegando che accettando Trieste, avrebbero accettato anche un certo modo di essere. Un discorso che hanno capito tutti subito. Faccio un esempio per tutti, Mazique. E' arrivato per stare con noi una settimana in prova, ma dopo il primo allenamento io e Ghiacci avevamo già deciso che l'avremmo preso. L'ho chiamato nel mio ufficio per spiegargli che cosa mi attendevo da lui, ma dopo le prime parole mi ha bloccato dicendomi: coach, dammi la penna che firmo subito".
La triestinità ritorna sempre nell'identità di gruppo che il coach ha dato alla squadra. Per questo è stato fondamentale lo staff di "triestini doc" che l'ha affiancato: Furio Steffè, Mauro Trani, Mamo Sbisà, Andrea Bussani, Paolo Paoli. "Da loro ho avuto il 101 per cento, sempre. Professionalità e triestinità, per me sono una garanzia". La triestinità non è un luogo comune, è il riflesso di un ambiente appassionato, competente e patrimonio che la società, da quando è nata, non ha mai perso, nemmeno in serie B: "La cosa che mi ha dato più soddisfazione quest'anno è stata la capacità della squadra di conquistarsi la fiducia dei tifosi, regalando emozioni e spettacolo. La gente è uscita quasi sempre contenta dal PalaTrieste perché si è divertita. Anche questa è stata una sfida, perché dovevamo essere all'altezza dei nostri tifosi, il quarto pubblico d'Italia. Sul piano personale poi, festeggiare le mie 600 panchine in serie A a Trieste, con tutto il palazzetto in piedi ad applaudirmi, mi ha fatto capire una volta di più quanto sia bello il mio mestiere. Fatto anche di piccole cose quotidiane altrettanto importanti, come rispondere a tutte le lettere dei giovani tifosi con consigli su schemi, giocatori, formazioni...".
Un'identità ben precisa che la Coop ha portato in giro per tutta la penisola e che ha conquistato altri quarti di nobiltà in occasione del giorno dell'ira di Bologna, con la rivolta dei tifosi virtussini per la defenestrazione di Messina. Trieste, quel giorno a Casalecchio, era in campo: "L'unico nostro pensiero, in quel momento e dopo, è stato salvaguardare il basket, e l'unico modo per farlo era giocarsi la partita. Nessuno ha mai pensato a reclami o cose del genere. Per questo ci ha fatto piacere che lo stesso Madrigali abbia riconosciuto e sottolineato il nostro comportamento". Un certo stile, appunto.
La Trieste che verrà
Pancotto non vuole ancora affrontare il discorso sul futuro, perché ci sono ancora molte cose da capire. "Stiamo entrando in una fase importante, perché in questi giorni si stanno delineando gli scenari che potrebbero vederci protagonisti. Il budget che avremo a disposizione determinerà le nostre scelte, compresa la partecipazione alla Coppa Fiba. Partiamo da un settimo posto in campionato, un'impresa che tutti ci hanno riconosciuto, e da buonissime basi per dare continuità al lavoro già fatto. In questo momento io faccio il tifo per la società, per Cosolini e Ghiacci, che hanno grandi capacità e attaccamento ai nostri colori. I compagni di viaggio della Pallacanestro Trieste, gli sponsor che ci hanno sostenuto in questa stagione, danno un senso di grande fiducia. Il pubblico è meraviglioso. E tutti questi valori possono farci crescere ancora".
Un salto clamoroso, che ha portato Trieste a centrare in serie obiettivi sempre più prestigiosi, e che ha toccato il culmine con le sfide alla Benetton: "Per noi spiega il coach, che fatica ancora a riprendere il ritmo quotidiano della vita "normale" i quarti sono stati un regalo, una gratificazione in più al termine di una stagione splendida. Ci siamo arrivati con la consapevolezza di trovarci di fronte un avversario più forte tecnicamente, ma soprattutto mentalmente più preparato, con una determinazione che noi, dopo le tre battaglie fisiche e mentali contro Varese, non potevamo avere. La sintesi della nostra stagione è stata garatre con la Metis: ci abbiamo messo tutti i valori la voglia di andare oltre le difficoltà, l'agonismo, l'orgoglio di appartenenza a una società e a una città che ci hanno permesso di fare un campionato memorabile". Questo non vuol dire che Trieste abbia affrontato la Benetton senza nemmeno provarci: "Questo lo escludo assolutamente. Nessuno ha pensato di essere già in vacanza. Il giorno dopo l'eliminazione ci siamo ritrovati tutti a cena, e il dispiacere per la brutta figura rimediata era presente in tutti noi. Ma c'era anche la consapevolezza di aver fatto molte cose buone, di aver creato un gruppo solido. E alla fine ci siamo abbracciati tutti".
All'inizio una montagna da scalare
Non c'era molto da scommettere su Trieste la scorsa estate, ricorda Pancotto. "Non dimentichiamo che a giugno abbiamo rischiato di non iscriverci al campionato. Se Trieste è rimasta nel basket che conta è per il grande impegno di Roberto Cosolini, che poi ha portato avanti un lavoro difficilissimo con l'apporto prezioso e determinante di Mario Ghiacci. La situazione è stata chiara per tutti dall'inizio: budget ridotto del 40%, con questo bisognava costruire la squadra e arrivare alla fine della stagione senza alterazioni. Perché programmare significa saper guardare oltre la singola sconfitta, senza farsi prendere ogni volta dallo "sfriccichio" di cambiare per vedere se cambia qualcosa. Con Ghiacci l'intesa è stata perfetta: lo stesso modo di affrontare i problemi, lo stesso entusiasmo nel cercare buone scelte, esaltandoci nelle difficoltà. Abbiamo trovato giocatori accomunati dalla voglia di dimostrare il loro valore anche come uomini, un gruppo disposto a condividere con tutti noi una stagione di sacrifici. E' arrivata gente alla prima esperienza in serie A, oppure scartata da altre squadre, o con qualche rischiosa asprezza caratteriale da gestire. Ma tutti hanno accettato la sfida all'insegna dell'entusiasmo, del lavoro duro e del sacrificio, della responsabilità di vestire una maglia importante per tradizione e aspettative. E' questa la benzina che abbiamo messo nel nostro motore, e che non si è mai esaurita, playoff compresi. Il gruppo è cresciuto passo dopo passo, trovando un limite solo quando infortuni e incidenti vari di percorso sono diventati un fattore quotidiano con cui fare i conti. E man mano che passa il tempo, mi rendo conto del grande lavoro fatto dai miei giocatori".
Trieste, un certo stile
La costruzione di una grande stagione comincia subito. Non c'è garbage time, e le prime impressioni sono spesso determinanti per farsi un'idea della squadra che verrà. Pancotto ha cominciato da lì il suo piccolo capolavoro, spiegando anche che perdere con Udine, seppure in amichevole, non è esattamente il sogno dei tifosi triestini. Bisognava lavorare sugli stimoli e sugli spigoli di un gruppo nuovo di zecca, eterogeneo per tecnica e per cultura di provenienza: "Prima di firmare i giocatori spiega il coach io e Ghiacci abbiamo fatto loro un discorso chiaro, spiegando che accettando Trieste, avrebbero accettato anche un certo modo di essere. Un discorso che hanno capito tutti subito. Faccio un esempio per tutti, Mazique. E' arrivato per stare con noi una settimana in prova, ma dopo il primo allenamento io e Ghiacci avevamo già deciso che l'avremmo preso. L'ho chiamato nel mio ufficio per spiegargli che cosa mi attendevo da lui, ma dopo le prime parole mi ha bloccato dicendomi: coach, dammi la penna che firmo subito".
La triestinità ritorna sempre nell'identità di gruppo che il coach ha dato alla squadra. Per questo è stato fondamentale lo staff di "triestini doc" che l'ha affiancato: Furio Steffè, Mauro Trani, Mamo Sbisà, Andrea Bussani, Paolo Paoli. "Da loro ho avuto il 101 per cento, sempre. Professionalità e triestinità, per me sono una garanzia". La triestinità non è un luogo comune, è il riflesso di un ambiente appassionato, competente e patrimonio che la società, da quando è nata, non ha mai perso, nemmeno in serie B: "La cosa che mi ha dato più soddisfazione quest'anno è stata la capacità della squadra di conquistarsi la fiducia dei tifosi, regalando emozioni e spettacolo. La gente è uscita quasi sempre contenta dal PalaTrieste perché si è divertita. Anche questa è stata una sfida, perché dovevamo essere all'altezza dei nostri tifosi, il quarto pubblico d'Italia. Sul piano personale poi, festeggiare le mie 600 panchine in serie A a Trieste, con tutto il palazzetto in piedi ad applaudirmi, mi ha fatto capire una volta di più quanto sia bello il mio mestiere. Fatto anche di piccole cose quotidiane altrettanto importanti, come rispondere a tutte le lettere dei giovani tifosi con consigli su schemi, giocatori, formazioni...".
Un'identità ben precisa che la Coop ha portato in giro per tutta la penisola e che ha conquistato altri quarti di nobiltà in occasione del giorno dell'ira di Bologna, con la rivolta dei tifosi virtussini per la defenestrazione di Messina. Trieste, quel giorno a Casalecchio, era in campo: "L'unico nostro pensiero, in quel momento e dopo, è stato salvaguardare il basket, e l'unico modo per farlo era giocarsi la partita. Nessuno ha mai pensato a reclami o cose del genere. Per questo ci ha fatto piacere che lo stesso Madrigali abbia riconosciuto e sottolineato il nostro comportamento". Un certo stile, appunto.
La Trieste che verrà
Pancotto non vuole ancora affrontare il discorso sul futuro, perché ci sono ancora molte cose da capire. "Stiamo entrando in una fase importante, perché in questi giorni si stanno delineando gli scenari che potrebbero vederci protagonisti. Il budget che avremo a disposizione determinerà le nostre scelte, compresa la partecipazione alla Coppa Fiba. Partiamo da un settimo posto in campionato, un'impresa che tutti ci hanno riconosciuto, e da buonissime basi per dare continuità al lavoro già fatto. In questo momento io faccio il tifo per la società, per Cosolini e Ghiacci, che hanno grandi capacità e attaccamento ai nostri colori. I compagni di viaggio della Pallacanestro Trieste, gli sponsor che ci hanno sostenuto in questa stagione, danno un senso di grande fiducia. Il pubblico è meraviglioso. E tutti questi valori possono farci crescere ancora".