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Meneghin tifa per il made in Italy

«La Fortitudo è la risposta a una serie A troppo piena di stranieri»

BOLOGNA - È una gioia per gli occhi, e per i futuri destini azzurri, a spanne poco tranquillizzanti dati i «buchi» di talenti nelle annate, vederlo giocare in quel modo. Protagonista o al servizio della squadra; incursore o uomo d’ordine; in ogni caso, sempre concentrato e «intenso». In una frase: il Meneghin da proteggere come una specie rara. Così è stato nella gara-1 delle semifinali, stravinta contro una Cantù stasera già condannata a replicare per non finire inghiottita da un’impressione avversa.
E se in un anno il popolo della Fortitudo ha cambiato opinione su Andrea (dal processo pubblico siamo, oggi, agli «osanna»), anche il basket rischia di modificare il suo corso, pur continuando a glorificare Bologna: vuoi vedere che è di nuovo il momento della «Effe», ora targata Skipper?
Meneghin, è tutta un’altra musica...
«Raccogliamo i frutti di un duro lavoro di mesi».
Vi peserà, se andrete in finale, il ruolo di favoriti?
«Non consideriamo Cantù ancora spacciata».
Sì, d’accordo. Ma pensate di avere tutto per vincere lo scudetto?
«Né io né i compagni ci poniamo il problema: si bada a ogni partita, non si guarda lontano per evitare di cadere negli errori di altre volte».
Pace fatta con i tifosi?
«Non ho mai fatto la guerra; diciamo che ora c’è, finalmente, un feeling. L’anno scorso è finita come era finita. Anche con insulti assurdi, sui quali ci sarebbe molto da ridire... Però quelli della "Fossa" sono venuti a spiegarmi che non ci avrebbero mai scaricato: si è creata un’inerzia positiva che ha trascinato il pubblico».
E Myers non è più un’ombra scomoda...
«È un tormentone stantio. Carlton è stato una bandiera; ora lo è di Roma».
Barba rasata perché teme di ritrovarsi Tanjevic davanti al naso?
«No, è stato Boniciolli a chiedermelo. Be’, essendo Matteo stato il delfino di Boscia, è come se me l’avesse chiesto di nuovo lui...»
Meneghin fulcro della nuova Fortitudo: regista o tiratore; insostituibile.
«No. Solo uno del gruppo. Il bello, oggi, è che nessuno sta sopra gli altri».
Meditazioni sui due ultimi insuccessi azzurri: il podio olimpico fallito e il disastroso Europeo 2001.
«L’occasione da mangiarsi le mani è quella di Sydney: ci ha tradito la pressione, sapevamo di poter fare un risultato storico; appena il tempo di realizzarlo e, zac, eccoci fregati. In Turchia, invece, siamo usciti in uno spareggio: ci sta».
Ci riprenderemo quel che ci è stato tolto?
«Il guaio è che altri Paesi trovano fior di giocatori, mentre da noi i vivai soffrono. Si faccia qualcosa, la mia generazione non può andare avanti fino a 40 anni: la gente si stufa dei soliti volti».
Voi della Skipper siete una «faccia italiana» in una serie A troppo americana.
«Forse è una molla in più. Non contro gli stranieri, incolpevoli, ma per aiutare chi, tra gli italiani, è sceso di categoria, pur di giocare, o non ha più ingaggi».
Una voce dice che lei e Pozzecco giocherete a Milano, l’anno prossimo.
«L’ho sentita, ma la domanda è: Milano fa la squadra? Mi sa che io e il "Poz" giocheremo in qualche torneo dei rioni. Con birra e salsicce a fine partita...»
Flavio Vanetti
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