PESARO – La nuova parola d’ordine del basket pesarese (e non solo) è “imitare Cantù". Ovvero, spendere di meno e rendere di più, che è sempre meglio del contrario, come aggiungerebbe il vecchio Catalano di arboriana memoria… Fare come Cantù: hai detto niente! Sarebbe come dire “imitiamo quello là che ha fatto tredici al totocalcio"… Una cosa che manco a dirlo tutti “vorrebbero" fare, ma chi può riuscirci? Sai che frustrazione rincorrere ogni volta i colpi di fortuna altrui! Meglio sarebbe: programmare oculatamente, amalgamare e valorizzare al meglio quello di cui già si dispone, tagliare qualche ramo secco e, soprattutto, avere le idee chiare. La Scavolini avrà le idee più chiare dopo due anni di gestione Pillastrini? Dopo un annata buona, un’ultima stagione dall’esito deludente (rispetto alle aspettative e agli investimenti) ma non certo catastrofico, ed un obiettivo “storico" in fondo già raggiunto: ritornare nell’olimpo del basket che conta, dopo le stagioni quelle sì disastrose dell’A2 e dintorni. E allora, senza considerare ciò che al momento non è né programmabile né all’ordine del giorno, come il tredici al totocalcio di cui sopra oppure una palingenesi totale che tutto rinnovi, cerchiamo di vedere con logica pragmatica e “riformista" quello che servirebbe alla Scavolini non per vincere lo scudetto ma per restare ai vertici; non per battere tutti ma per… combattere con tutti, insomma per “provarci" ancora. Intanto, se proprio serve un po’ di austerity, la rosa andrebbe ristretta ad otto o al massimo nove titolari, con un giovane o due a farsi le ossa in allenamento e in qualche scampolo di partita. Il play dovrebbe (esortativo) essere ancora Booker, con Pecile pronto a subentrare, con sempre maggior continuità. La garanzia dell’asse play-pivot dovrebbe prevedere la riconferma anche di Blair, che si è ben comportato in campionato e in coppa, oppure, come alternativa autoctona peraltro già tentata due anni fa, il rilancio come centro titolare di Michele Maggioli, anima pesarese della squadra, affiancato però non solo dall’intoccabile Marko Tusek ma anche da un nuovo lungo nel ruolo di ala forte. E dovrà essere un tipo concreto, pericoloso in attacco e duro in difesa, buon realizzatore e in grado di dare una valida mano ai rimbalzi, magari meno talentuoso di DeMarco ma con più verve e più “cuore". E siamo già a quota cinque (o sei): chiaro che i vari Gigena, Traina, Beric e Middleton non possono restare tutti. Sarà la società a decidere i due (o tre) da salvare, con l’argentino in pole position. Quel ch’è certo, è che serve più pericolosità sul perimetro, una bocca da fuoco che giochi guardia o ala piccola, uno alla Charles Smith. Se si escludono i grandi nomi per le solite ragioni di bilancio, basterebbe rastrellare la Cba statunitense, dove di esterni ruspanti da playground, “affamati", ce ne sono fin troppi. Ecco, qui si potrebbe davvero tentare almeno un “dodici", calmierando i rischi compreso quello di ripartire disperatamente da zero.
Giancarlo Iacchini
Giancarlo Iacchini